Rendere flessibile il salario del calciatore? Si può. Lo dimostra l’intesa firmata nella giornata di lunedì 5 agosto dalla Lega di Serie A e dall’Associazione Italiana Calciatori (Aic), nel quadro del rinnovo del contratto collettivo.

Il principale elemento d’innovazione dell’accordo è la decurtazione automatica, nella misura del 25 per cento, degli ingaggi dei calciatori in caso di retrocessione in Serie B. Un esito che è anche un gesto di assunzione di responsabilità da parte dell’Aic, oltreché una tappa di pacificazione nel rapporto fra lavoratori del pallone e datori di lavoro rappresentati dalla principale lega professionistica italiana. Ma se l’esempio nostrano si propone come un caso virtuoso, esistono anche casi nei quali la flessibilità del salario del calciatore diventa il mezzo per condurre ulteriori esperimenti di contabilità creativa, con esiti discutibili e rischio di abuso sul calciatore-lavoratore. Succede a Barcellona, dove la capacità di tirare il collo ai quadri regolamentari è andata molto al di là del bene e del male.

Il malus retrocessione

La polemica era di lunga durata e a alimentarla erano i presidenti di club. Suonava più o meno così: «Quando un calciatore fa una buona stagione, immediatamente si fa vivo il suo procuratore per battere cassa e pretendere un ritocco in alto dell’ingaggio. Ma se quel calciatore fa una stagione negativa, o è protagonista di una retrocessione assieme ai suoi colleghi, nessuno parla di un ritocco al ribasso del contratto».

Argomentazione legittima, al di là degli eccessi padronali mostrati da molti presidenti del nostro calcio professionistico. E certo, qualcuno potrebbe ribattere che poi quegli stessi presidenti finiscono per soddisfare quasi sempre le pretese dei calciatori e dei loro agenti. Ma così facendo ci si sposterebbe sul terreno della polemica, lasciando da parte il tema della fissazione di principi generali, giunta al termine di un confltto sano e regolato fra organizzazioni che lavorano per la difesa di interessi di parte. L’accordo fissato fra la Lega di Serie A presieduta da Ezio Simonelli e l’Aic guidata da Umberto Calcagno segna una scelta coraggiosa, che va nella direzione di condivisione delle responsabilità.

Le 48 pagine del documento, di validità quinquennale, stabiliscono per il calciatore la decurtazione automatica del salario, nella misura di un quarto, in caso di retrocessione. Nel sito dell’Aic il documento è stato accompagnato da un flash informativo laconico, nel quale viene rimarcato «il dialogo costruttivo» a beneficio degli «interessi del sistema». Si diffonde maggiormente il presidente della Lega Serie A, Simonelli, che esterna soddisfazione attraverso il sito ufficiale dell’organizzazione. Di sicuro per lui, presidente da meno di un anno, è un risultato notevole. Si è dunque arrivati a fissare un accordo innovativo e per niente scontato. Adesso la palla tornerà ai presidenti. A loro è stato dato uno strumento di flessibilizzazione dei salari, buono a ammortizzare il danno economico da retrocessione. Dovranno dimostrare di tenere il punto, anziché cedere alle pressioni di qualcuno fra i calciatori più rappresentativi e dei suoi agenti. In fondo, l’escamotage è sempre dietro l’angolo.

Il peso salariale del certificato medico

Scena di tutt’altro tenore a Barcellona, sponda blaugrana. Il club guidato dall’avvocato Joan Laporta potrebbe inaugurare un Master in Finanza e Contabilità Creativa. Se si trattasse di un altro club, la bancarotta sarebbe stata decretata ab illo tempore. Ma è il Barcellona, e nonostante lo sfacelo morale e finanziario ormai conclamato continua a avere mano libera nel cartolarizzare il futuro e destreggiarsi fra i rigidi vincoli posti dal tetto salariale della Liga.

Nei giorni a cavallo fra 2024 e 2025 l’iscrizione di Dani Olmo e Pau Victor aveva provocato una soap opera grottesca, con tanto di contenzioso con la Liga risolto definitivamente soltanto nel mese di aprile, grazie a un pronunciamento del Consejo Superior de Deportes. In questi giorni la scena si ripete in farsa, con un tesserato che diventa protagonista suo malgrado: il portiere tedesco Marc-André Ter Stegen. Giunto a Barcellona nel 2014, Ter Stegen ha subìto un grave infortunio (tendine rotuleo) a settembre dello scorso anno, ciò che ha costretto il club catalano a tesserare l’ex juventino Wojceck Szczesny, appena ritirato dall’attività agonistica. Nello scorso mese di luglio il tedesco è stato vittima di un nuovo infortunio, stavolta alla spalla, che potrebbe metterlo fuori causa per diversi mesi. Quanti, non si sa. E proprio questo è il punto.

Il Barcellona si era già premunito acquisendo Joan Garcia (clausola rescissoria da 25 milioni di euro pagata ai cugini dell’Espanyol), ma rimaneva da risolvere la compatibilità fra il tetto degli ingaggi e l’inserimento del nuovo arrivato. L’intoppo potrebbe essere risolto dalla quantificazione del tempo di convalescenza di Ter Stegen. Un complicato gioco di parametri permetterebbe al Barcellona di iscrivere Joan Garcia e giustificarne ampia parte del salario qualora venisse certificato che l’entità dell’infortunio di Ter Stegen comporti un’assenza dai quattro mesi in su. Cioè, si è nelle condizioni per cui dall’entità del certificato medico dipende la gestione del foglio paga barcellonista e l’equilibrio contabile da presentare agli ispettori finanziari della Liga spagnola. A questo punto, tutto quanto dipende dall’accettazione di Ter Stegen. E qui arriva l’intoppo.

C’è che il portiere tedesco non ne vuole sapere. Nonostante la catena di infortuni (o, forse, proprio a causa di questa) scalpita per tornare in campo e dimostrare di essere ancora un calciatore da top club europeo. Soprattutto, ritiene che il suo infortunio non sia grave abbastanza da giustificare un’assenza così prolungata dai campi da gioco. Si sente ridotto al rango di esubero sanitario e non lo accetta. Il risultato di tutto ciò è che Ter Stegen va oltre il mero rifiuto di firmare il referto: non risponde proprio alle telefonate dello staff medico barcellonista. La situazione è impazzita nella giornata di lunedì, mentre la squadra tornava dalla tournée in Corea del Sud. In quelle ore è cambiato anche l’atteggiamento del club: che sperava in un atteggiamento ragionevole (ma per chi?) da parte del calciatore e invece, adesso, prefigura un procedimento disciplinare. Il cui effetto principale sarebbe trascinare a lungo la situazione di stallo e mantenere nel limbo il povero Joan Garcia.

Sullo sfondo rimane l’interrogativo che in Spagna si evita accuratamente, come fosse l’elefante nella stanza: come è stato possibile permettere che il Barcellona si riducesse in tali condizioni? Saperlo.

© Riproduzione riservata