«Stiamo vivendo, ancora una volta, purtroppo, giorni drammatici, con una intensità, una violenza e un odio che non abbiamo mai visto in precedenza. Siamo sgomenti per tutto quello che è accaduto in questa ultima settimana e non possiamo fare altro, in queste circostanze così dolorose, che unirci a tutti coloro che stanno soffrendo, i nostri fratelli, le nostre sorelle, e soprattutto rivolgerci a Dio Padre». 

Con queste parole, in un videomessaggio dello scorso 18 ottobre, il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, si rivolgeva ai fedeli della diocesi di Como; Pizzaballa è il primo cardinale della città santa, nominato alla fine di settembre da papa Francesco insieme ad atri 20 porporati. Il patriarca si è offerto anche di essere scambiato come ostaggio pur di far liberare i bambini che si trovano nelle mani di Hamas. «Da parte mia - ha detto - disponibilità assoluta». Quindi ha aggiunto una considerazione più politica rispetto alla crisi in corso: «È necessario trovare una via di uscita, trovare un modo di far ritornare gli ostaggi. Dobbiamo farlo. Altrimenti sarà molto difficile fermare questi sviluppi. Noi siamo disponibili, ci possiamo impegnare anche in prima persona, siamo pronti, qualsiasi cosa possa riportare un minimo di calma e di de-escalation, noi siamo pronti».

Con Ratzinger e Bergoglio

Il neo cardinale, francescano, 58 anni, originario di Cologno al Serio in provincia di Bergamo, si trova in Terra Santa dal 1997; l’esperienza, insomma, non gli manca.  È stato nominato a capo della Custodia francescana di Terra santa (presente dal 1300 circa a Gerusalemme, comprende i territori di Israele, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Egitto, Cipro e Rodi) la prima volta nel 2004 per un mandato di 6 anni, poi è stato rinnovato nell’incarico per altre due volte, nel 2010 e nel 2013 per due mandati di tre anni ciascuno.

In qualità di Custode ha avuto modo di accogliere Benedetto XVI In Israele nel 2009 e nel 2010 nel suo viaggio a Cipro. L’anno prima, nel 2008, Ratzinger lo aveva nominato consultore della Commissione per i rapporti con l’ebraismo al Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Mentre era alla guida dei francescani di Terra santa, Pizzaballa ebbe modo anche di conoscere l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, poiché nella capitale argentina è attiva una sede della Custodia (“commissariato”) con convento e collegio.

Nel 2014 padre Pizzaballa ha accompagnato Papa Francesco nella sua visita a Gerusalemme, e anzi gli ha fatto da interprete nei colloqui con varie personalità israeliane di lingua ebraica. È stato poi fra gli organizzatori dell’incontro che si svolse nel giugno de 2014 in Vaticano fra lo stesso pontefice, il presidente israeliano Shimon Peres, il leader dell’autorità nazionale palestinese Abu Mazen e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo.

Un debito astronomico

Nel 2016, il papa lo ha nominato amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme; succedeva al patriarca Fwad Tawl, giordano, che gli lasciava in eredità un bel problema da risolvere: 100 milioni di dollari di debiti. Una nota del patriarcato del 2020, chiariva la questione in termini concreti: «Negli ultimi anni il Patriarcato Latino di Gerusalemme - si spiegava - ha raggiunto un enorme deficit di circa 100 milioni di dollari Usa, causato dalla passata cattiva gestione operativa, collegata all’Università americana di Madaba (città di cui è originario lo stesso Twal, ndr) in Giordania.

I debiti sono verso alcune banche e non verso il Vaticano». Pizzaballa, proseguiva il testo, «è stato nominato amministratore apostolico al fine di risolvere il problema. Negli ultimi quattro anni è stato svolto un importante lavoro di riorganizzazione amministrativa, con adeguati controlli interni e limitazioni». Tuttavia, data l’entità del debito, «nonostante i molti sforzi profusi per raccogliere fondi, appare chiaro che l’unica soluzione possibile sia la vendita di alcuni immobili».

Per risolvere la questione erano state prese in considerazione «diverse proprietà in Giordania anche se le condizioni economiche nel Paese non sono buone e i prezzi sono bassi». Dal momento che nel Regno Hashemita «non ci sono abbastanza proprietà per saldare tutti i debiti» affermava la nota, «è stata assunta la decisione scomoda – approvata da tutti gli organi competenti, comprese le commissioni interne del Patriarcato latino e della Santa Sede – di vendere dei terreni a Nazareth. Sono esclusi dalla transazione oltre 100 dunam (10 ettari) di terra destinata a beneficio della comunità cristiana di Nazaret».

«La vendita, a un uomo d’affari arabo – era la conclusione - viene effettuata secondo i prezzi commerciali e secondo una valutazione formale». «In questi anni - spiegava poi lo sesso Pizzaballa in alcune dichiarazioni - abbiamo riorganizzato l’economia del Patriarcato, con verifiche e controlli interni ed esterni. Abbiamo fatto tutto ciò che viene richiesto ad una istituzione che ha quasi duemila salari da pagare ogni mese. Un giro molto alto, ma i debiti si devono pagare». «Se il problema è stato creato qui – aggiungeva – è qui che deve essere risolto e ci si deve assumere la responsabilità di pagare».

La politica di risanamento ha avuto un costo in termini di risorse sottratte alle comunità cristiane della regione che già vivono situazioni di forte difficoltà, ma ha evitato il fallimento dell’istituzione. Il 24 ottobre del 2020, Pizzaballa veniva nominato dal papa patriarca latino di Gerusalemme, a coronamento sia del modo efficace in cui aveva affrontato il nodo del dissesto finanziario, sia della lunga esperienza maturata sul fronte della crisi mediorientale.

Chiesa di minoranza

D’altro canto, fra le sfide che deve affrontare il patriarcato, c’è quella della progressiva diminuzione della componente arabo-cristiana in Terra Santa. I cristiani sono, nell’area, meno del 2 per cento della popolazione, intorno ai 150 mila; nel 2021 gli arabi cristiani vivevano soprattutto a Nazareth, dove sono poco più di 21mila, a Haifa (16.700), Gerusalemme (12.900) e Shefar’am (10.500). in un’intervista rilasciata al mensile Jesus in occasione della sua nomina a patriarca, monsignor Pizzaballa spiegava: «I cristiani in Terra Santa sono meno del 2 per cento mentre gli ebrei sono quasi 7 milioni. La nostra vocazione può serenamente esprimersi anche nell’essere una Chiesa di minoranza. Nel corso della storia lo siamo sempre stati. Tutte le volte che c’è stato un tentativo di diventare forti e potenti – penso alla stagione dei bizantini prima e dei crociati poi – i tentativi sono falliti. Credo sia la nostra identità: nel luogo dove il cristianesimo è nato, i cristiani devono essere di frontiera, non avere troppo potere e testimoniare la propria presenza con lo stile di vita. Il Vangelo passa da lì. Unicamente da lì».

Quindi aggiungeva, sul senso stesso di considerarsi minoranza: «quando sei in minoranza, devi essere propositivo: non devi cercare di difenderti o di proteggerti. Credo sia questo l’errore che i cristiani hanno spesso commesso in Medio Oriente. La cosa importante è non cercare delle protezioni ma fare proposte. Che, ovviamente, possono essere accettate o respinte ma segnano la presenza vivace dentro il territorio. Senza paura, con serenità, con passione e – perché no? – con la fierezza della propria identità e tradizione».

Il 30 settembre arriva la nomina cardinalizia del pontefice, è la prima volta per la Chiesa di Gerusalemme. Un fatto dal valore storico e simbolico rilevante, il patriarcato fu infatti istituito nel 451 tuttavia un patriarcato latino nacque solo ai tempi delle Crociate e smise di esistere nel 1291, con la fine della presenza dei regni crociati in Terra Santa.

La sua restaurazione la si deve a Pio IX, nel 1847, che strinse un accordo con l’impero ottomano, mentre il Medio Oriente, in forza anche agli interessi coloniali delle potenze occidentali, si andava aprendo al mondo. Se questo è il lontano passato, il presente è fatto di conflitti feroci, di migrazioni, di guerre e di flebili speranze di pace. A ridosso della nomina cardinalizia, il patriarca in un’intervista con l’agenzia missionaria Asia news, spiegava: «in un contesto di conflitto qual è il nostro, la Chiesa - e le religioni in generale - devono avere un ruolo politico in senso alto, devono dare orientamenti, indicazioni, usare un linguaggio che non sia esclusivo, ma tenere presente che apparteniamo alla comune umanità e da lì dobbiamo partire. A Gerusalemme ci saranno sempre ebrei, cristiani e musulmani con i quali dovrò fare i conti. Partire dal presupposto ‘io e non l’altro’ significa negare la realtà, quindi negare la mia fede in Dio che deve illuminare il mio vivere civile, non solo quello religioso».    

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