Bastano tre istantanee del 1° giugno per capire quanto le coincidenze, a volte, possano essere crudeli. A Chisinau, in Moldavia, la premier Giorgia Meloni ha partecipato al vertice della Comunità politica europea. Con lei, tra i capi di stato di governo di 47 paesi europei, c’era anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. E Meloni ha ribadito: «Per questo motivo saremo vicini all’Ucraina, aiutandola a 360 gradi per tutto il tempo che sarà necessario». A Bruxelles, più o meno nelle stesse ore, il parlamento europeo, dava il via libera al mandato negoziale per la proposta di regolamento Asap per la produzione di armi e munizioni per l’Ucraina tramite procedura d’urgenza. Bocciati tutti gli emendamenti, compresi quelli del Pd fatti propri dal gruppo dei Socialisti e democratici, con la richiesta di non usare i fondi del Pnrr e della coesione. Ma la notizia è un’altra. Sul voto generale il Pd si è diviso: 10 voti a favore, 4 astensioni e un contrario (l’eurodeputato indipendente, Massimiliano Smeriglio). Segno che sul tema della armi a Kiev la nuova segretaria Elly Schlein ha più di qualche problema.

Qualche ora dopo, a Roma, è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a parlare, in occasione del concerto per la settantasettesima festa della Repubblica italiana. Il tema centrale è stato ovviamente la nostra Costituzione. Ma il Capo dello stato si è soffermato soprattutto sull’articolo che «indica il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie».

«Si tratta di un principio attualissimo e profondamente sentito – ha detto –, di cui l’inaccettabile aggressione della Federazione russa all’Ucraina rappresenta la più brutale ed evidente negazione. Il conflitto che, da oltre quindici mesi, produce morte e devastazione nel cuore dell’Europa sta provocando anche gravissime conseguenze a livello globale, accentuando l’insicurezza alimentare e la povertà in molti Paesi, anch’essi vittime delle conseguenze di questa guerra insensata, i cui effetti si vanno ripercuotendo sull’ordine internazionale pazientemente costruito dopo il 1945. Assistiamo oggi con attenzione e interesse a tentativi di individuare sentieri di dialogo per giungere alla pace. I principi di solidarietà e di giustizia che debbono unire i popoli impongono la ricerca di una pace giusta e non di una pace raggiunta ai danni di chi è stato aggredito. È in questo spirito che l’Italia, nel quadro della sua convinta appartenenza all’Unione europea e all’Alleanza atlantica, continuerà ad assicurare il sostegno al popolo ucraino e al suo diritto all’indipendenza».

La linea non cambia

Sarebbe profondamente sbagliato legare i tre momenti immaginando che Mattarella abbia voluto parlare o richiamare all’ordine qualcuno, ma di certo è difficile non notare la sintonia tra il capo dello stato e la premier (che ha ascoltato, seduta in prima fila, il breve discorso). Così come un certa distanza da chi, con l’astensione, ha un po’ vacillato nel sostegno al popolo ucraino. O perlomeno nella forma che questo assume nel consesso europeo.

La posizione di Mattarella non è certo una novità così come il fatto che, esattamente come lo scorso anno, nella platea radunata al Quirinale, non erano presenti gli ambasciatori di Russia e Bielorussia. La posizione dell’Italia non cambia. E tutti, in parlamento e fuori, devono necessariamente farci i conti.

Su fronti diversi da quelli della guerra, forse qualcuno si aspettava che Mattarella, parlando di Costituzione, affrontasse il dibattito in corso sulle riforme. Il rispetto del capo dello stato verso la sovranità del parlamento lo ha ovviamente spinto a non parlare dell’argomento.

Ma nella lettera inviata ai prefetti sempre in occasione della festa della Repubblica, Mattarella ha riservato un passaggio al Pnrr che tanto sta facendo penare il governo.

«Il dotarsi di una visione condivisa, essere capaci di un lavoro ben coordinato – ha scritto –, sono ingredienti indispensabili a questo fine, così come la disponibilità a operare concordemente per un efficace utilizzo delle risorse disponibili, a partire da quelle messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza in una logica di orizzonte ampio».

Anche qui sarebbe meglio non cercare messaggi cifrati e richiami in codice, ma di sicuro a Meloni e al ministro Raffaele Fitto saranno fischiate le orecchie.

Così come saranno fischiate a Bruxelles quando, parlando a margine del concerto, il presidente della Repubblica ha ricordato che «soltanto un’autentica collaborazione fra i popoli può consentire di affrontare con successo problemi di natura globale di giorno in giorno sempre più pressanti: dai cambiamenti climatici alla tutela della salute, dalla gestione dei flussi migratori alla protezione dei diritti umani». Insomma, nessuno si salva da solo. Né a Roma, né in Europa.

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