C’è un fatto inequivocabile: un Partito democratico che si sfarina quando si tratta di votare il regolamento “Asap”, che è noto come il provvedimento sulle munizioni a Kiev, e che è soprattutto una nuova cornice per distribuire fondi europei all’industria militare. Il capodelegazione del Pd fresco di riconferma, il bonacciniano Brando Benifei, ha votato a favore assieme a un folto gruppo di eurodeputati. Ma altri si sono astenuti, e tra questi altri ci sono anche i pochi schleiniani dell’Europarlamento: c’è Camilla Laureti, l’unica ad aver da subito fatto dichiarazione di fede per Elly durante le primarie, c’è Pietro Bartolo. Ci sono pure eurodeputate navigate come Patrizia Toia che poi però ritrattano: «Errore materiale». E c’è molta confusione. Se esisteva una linea, ognuno la vede a modo suo: erano molte, o forse nemmeno una. Qui si esce dal regime delle evidenze e si entra nelle letture politiche, dove l’unica certezza è l’obiettivo di Schlein: sgusciar via dalla trappola del dossier armi; e ancor più dopo il flop delle amministrative. L’esito paradossale è che la segretaria che doveva dare una visione nitida al partito – e a sinistra – si ritrova come unico strumento di sopravvivenza tattica il suo sfarinamento. 

Il dossier armi 

Questo giovedì il Parlamento europeo ha votato il regolamento “Asap”: l’acronimo, che letteralmente sta per Act in Support of Ammunition Production (legge a supporto della produzione di munizioni), è anche una allusione alla locuzione As soon as possible (il prima possibile). E prendendo alla lettera «il prima possibile» il leader della destra popolare Manfred Weber si era fatto capofila di una procedura d’urgenza, per cui la plenaria vota il regolamento saltando i passaggi in commissione. “Asap” non è una dichiarazione di supporto all’Ucraina, o meglio: non è solo questo. “Asap” serve a utilizzare fondi del bilancio europeo per finanziare l’industria militare. In origine il progetto europeo aveva come missione proprio quella di condividere risorse – carbone e acciaio – per prevenire i conflitti. Finora il supporto militare europeo a Kiev è stato fornito facendo leva su strumenti intergovernativi, come la peace facility, che non sono sottoposti al controllo dell’Europarlamento perché non rientrano nel budget comune. “Asap” invece interviene sul bilancio europeo, come aveva auspicato Josep Borrell più di un anno fa – «gli eurodeputati si tengano pronti a consentire l’uso del budget Ue» – trovando subito reazioni positive della presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola.

Per utilizzare i fondi comuni, la proposta legislativa “Asap” parte dalle basi giuridiche su mercato interno e politica industriale. C’è ovviamente un nesso con la guerra in corso in Ucraina: il nesso è che la elargizione di armi a Kiev implica il dimagrimento degli arsenali degli stati membri e quindi richiede, secondo la proposta di Bruxelles, un aumento della produzione. Ma finanziarla è un indirizzo politico di durata non effimera, come si legge nello stesso provvedimento: «Questo regolamento vuole rafforzare la capacità di reazione, e velocizzare gli adattamenti del comparto industriale a cambiamenti strutturali». Individuare colli di bottiglia nella produzione, «produrre di più e più veloce»: questa la missione di Asap, che «mira a supportare direttamente il lato "offerta" del mercato con particolare attenzione all'aumento della produzione di munizioni e missili». Non a caso il gran promotore di Asap è l’ex manager Thierry Breton, macroniano commissario europeo al Mercato interno. 

Le esperienze pregresse in fatto di finanziamento dell’industria militare mostrano, dati alla mano, che i soldi dei contribuenti europei si sono concentrati su pochi paesi e su poche grandi imprese. L’analisi di Enaat mostra che circa il 70 per cento dei fondi Ue a sostegno dell’industria militare si concentra sulla Francia (il 26 per cento), su Germania, Italia e Spagna; la metà degli stati membri dell’Ue ricevono meno dell’un per cento. I giganti dell’industria bellica dei quattro paesi più sovvenzionati coordinano anche il 68 per cento dei progetti. Leonardo, che è la più grande azienda a produzione militare dell’Ue, è anche il principale destinatario singolo dei fondi; dopo di lei, altri big come la spagnola Indra, le francesi Safran, Thales e la multinazionale Airbus. 

Schlein e la crociata sul Pnrr

Ma le riflessioni sull’utilizzo di fondi Ue a favore di colossi dell’industria bellica, che è il vero nucleo di Asap, sono state quasi completamente risucchiate in un dibattito ormai polarizzato su: è giusto o meno fornire supporto militare a Kiev? Come il politologo Ivan Krastev segnala da tempo, «ormai la linea di frattura politica è su questo: pace o giustizia». Ed Elly Schlein non ha alcuna intenzione di finire nella trappola, dando pretesti ai suoi nemici – dentro e fuori dal Pd – che non vedono l’ora di additarla come ambigua sull’Ucraina. Perciò nella sua diretta Instagram post amministrative la segretaria ha ribadito per l’ennesima volta che «non ci sono dubbi sul pieno supporto all’Ucraina». E ha aggiunto: «Siamo anche favorevoli a un avanzamento nella direzione di una difesa comune europea».

Dopo la débacle nel primo test elettorale da leader, Schlein ha dovuto rinviare la sua trasferta brussellese, trasferendo online l’incontro con la delegazione Pd all’Europarlamento, e tentando di sminare le possibili controversie. Mentre l’eurodeputata dem – ma centrista – Elisabetta Gualmini lanciava bombe su Twitter sulla gestione del partito, e mentre la vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno andava lancia in resta in difesa di Asap, Schlein per l’appunto sminava. 

Così tutto lo scontro politico è stato dirottato sull’utilizzo dei fondi di ristoro e di coesione per l’industria militare. Il Pd, d’accordo con il gruppo socialdemocratico, ha presentato una sfilza di emendamenti concentrandosi su uno specifico snodo di Asap: la possibilità di disegnare anche Pnrr e fondi di coesione per irrobustire la produzione di armi. Il fatto è che, com’era prevedibile e previsto, quegli emendamenti sono stati bocciati.

Lì è partita la schermaglia con la destra di governo: «La destra italiana non supporta i nostri emendamenti per escludere Pnrr e fondi di coesione per la produzione di armi, il governo chiarisca!», ha tuonato Benifei. La segretaria Schlein aveva già anticipato il giorno prima, anche nella sua diretta, che lo scontro su armi e Pnrr si sarebbe spostato al Senato, a cominciare dal question time di questo giovedì. I capidelegazione di Fratelli d’Italia e Lega – Carlo Fidanza e Marco Campomenosi – per spiegare perché si sono opposti agli emendamenti dem danno entrambi risposte dello stesso tenore: il governo ha già detto che non userà quei fondi, ma se altri paesi vogliono farlo… 

In direzione sparsa

Chiarito che gli emendamenti – bocciati – non sono stati recepiti nella versione finale, gli eurodeputati Pd si sono trovati dunque il bivio previsto: votare pro o contro Asap? Nella sua diretta, Schlein dice due cose: supporto a Kiev, e no all’utilizzo dei fondi Pnrr per le armi. Il testo che i dem hanno dovuto votare però contiene entrambe le cose: sì all’aiuto a Kiev, e sì all’utilizzo anche di quei fondi. Qual è la linea, quindi?

Il capodelegazione Benifei ritiene che non ci siano dubbi a riguardo: si vota come il gruppo socialdemocratico, salvo indicazioni diverse. Ma da Roma pare non ne siano arrivate. Dunque la delegazione Pd, seguendo questo criterio, avrebbe dovuto votare compattamente il sì ad Asap. Eppure la lista dei voti nominali consegna altro: certo, un folto gruppo di dem che vota a favore c’è, Benifei in testa, e Bresso, Covassi, De Castro, Gualmini, Picierno, Rondinelli, Tinagli. Massimiliano Smeriglio, nella delegazione S&D ma non iscritto al Pd, vota proprio contro; ma questo era previsto. È il numero e la composizione delle astensioni che salta all’occhio: nella lista, Bartolo, Laureti, Moretti, Roberti, Toia, Variati. Patrizia Toia è europarlamentare navigata, quando le si chiede come mai l’astensione se la cava così: «Sto per mandare una nota, si tratta di un errore materiale». Pochi minuti dopo, esce una nota congiunta con Alessandra Moretti, per comunicare che in realtà l’astensione intendeva essere un voto a favore. Ad ogni modo nella conversazione Toia riporta il travaglio della decisione, «ci sono sensibilità diverse – spiega – e dal mio mondo cattolico e democratico mi arrivavano segnali diversi; io ho pensato: nella mia scala di priorità, c’è aiutare l’Ucraina». Per dirla con Toia, «il voto del Pd ha rispecchiato le diverse sensibilità del nostro mondo di riferimento».

Camilla Laureti, l’unica schleiniana quando tutta la delegazione Pd all’Europarlamento si spendeva per Stefano Bonaccini, e «cattolica e moderata» come lei stessa si definisce, si è pure astenuta. Pietro Bartolo, che si è iscritto al Pd per Schlein «quando ha detto mai più memorandum con la Libia», si definisce «orgogliosamente pacista e buonista». Lui è convinto che sul voto finale «ci sia stata lasciata libertà totale, quindi secondo coscienza». Insomma, a quanto pare l’unica vera linea era quella sparigliata. C’è chi lascia trasparire che possa trattarsi di una tattica, per non deludere l’elettorato di riferimento di area pacifista o cattolica, ma senza far deflagrare i più centristi pronti alla guerra con la segretaria. Certo, l’esito è paradossale: la segretaria che doveva restituire un’identità – di sinistra – al partito finisce per usare la confusione come tattica di sopravvivenza.

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