Il 6 luglio l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) esprimerà un suo parere sulla pericolosità del glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo in agricoltura e non solo. I paesi europei sono divisi sul suo utilizzo, in Italia le associazioni ambientaliste chiedono la sua messa al bando. Al momento il governo non ha preso una decisione ufficiale pubblicamente. «Penso che l’Italia continuerà a utilizzare il glifosato come diserbante e proverà a eliminarne fortemente l’uso negli spazi pubblici», spiega Felice Adinolfi, professore di economia e politica agraria all’università di Bologna.

Professore, lo Iarc (l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato il glifosato come possibile cancerogeno, per l’Efsa al momento non è così, ma si attende il suo nuovo parere. Cosa dicono gli ultimi studi?
Sull’argomento si dibatte da dieci anni ed emergono pareri contrastanti. Di recente una survey in Brasile ha verificato l’esistenza di glifosato nel latte materno nel 100 per cento dei campioni analizzati. Così come altri articoli recenti mostrano che ci sono potenziali rischi. L’Efsa ha di fatto dato il via libera alla proroga dell’utilizzo del glifosato ma è anche vero che ha dato lo spazio agli stati membri di assumere decisioni diverse. L’Italia, ad esempio, ha vietato l’uso del glifosato in preraccolta e nelle aree pubbliche frequentate. Anche l’Austria ne vieta l’uso nelle aree pubbliche, così come otto province del Canada, paese che più di altri è sotto la lente d’ingrandimento. Quindi c’è un dibattito acceso sul tema. Il parere dell’Efsa diventerà parte di una bozza di regolamento esecutivo che poi viene votato in Consiglio, per cui ci sarà una decisione politica che va al di là degli elementi scientifici presi in carico.

È anche vero, però, che la maggior parte degli studi sul glifosato sono stati eseguiti sul suo principio attivo e non sui mix con altre sostanze chimiche…
È vero. Gli studi vengono fatti principalmente sul principio attivo, anche se ultimamente ce ne sono di nuovi che valutano anche il cosiddetto “effetto cocktail”. Questo perché noi non assumiamo solo glifosato ma altri interferenti endocrini che insieme possono costituire un mix sul quale si conosce ancora poco.

Lei cosa pensa invece del glifosato?
La mia opinione è che bisogna differenziarne l’utilizzo. Vanno eliminati gli usi che più di altri tendono a far rimanere residui negli alimenti, come nella preraccolta che comporta livelli di detenzione piuttosto alti. Ad esempio, per ragioni tecniche e commerciali intorno al 2010-2012 abbiamo alzato i livelli di ammissioni del glifosato per le lenticchie di circa cento volte. La maggior parte di queste provengono dal Canada, che usa il glifosato come essiccante in preraccolta. Questo diventa un elemento di preoccupazione per la salute.

Oltre alla tutela della salute c’è anche la questione ambientale.
Nell’ultimo rinnovo l’Efsa ha autorizzato agli stati membri di verificare che l’uso del glifosato sia conforme anche a questioni ambientali. Nella acque italiane, così come in tutto il mondo, ci sono tracce evidenti di glifosato, soprattutto nelle zone a più alta densità agricola.

Cosa ci dobbiamo aspettare dal parere dell’Efsa?
Non ci sono delle anteprime a riguardo. Bisogna tener presente che la mole di dati che stanno prendendo in considerazione è molto ampia. Nel 2017 nove stati si sono espressi in maniera contraria al rinnovo dell’utilizzo del glifosato tra cui Italia, Belgio, Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Malta e Austria. Abbiamo un’Europa divisa sul tema. Inoltre, il fatto che la decisione venga lasciata successivamente alla politica rispetto al parere scientifico europeo significa che tiene anche conto degli studi condotti a livello nazionale.

In Italia che studi ci sono in corso?
L’Istituto Ramazzini sta facendo un grosso lavoro sulla valutazione degli effetti del glifosato. Ha iniziato un’indagine specifica sui residui presenti nel latte materno derivati dall’assunzione degli alimenti. Stanno chiudendo la sperimentazione, con lo scopo di verificare la presenza di trovare tracce di glifosato nel latte materno che viene poi somministrato ai neonati.

Negli ultimi cinque anni i governi italiani hanno cambiato parere sul glifosato.
Nel 2017 l’Italia si è espressa contro e nel 2022 invece ha dato il parere favorevole al rinnovo dell’autorizzazione. Ma c’è un tema, ed è l’impossibilità di fare il distinguo tra raccolta e preraccolta. In questa sessione che si aprirà dopo il parere dell’Efsa sarà probabile che venga lasciata agli stati membri l’autonomia di decidere su quali usi ammettere o meno il glifosato. 

Ci sono alternative al glifosato?
L’alternativa più importante, tra l’altro sviluppata in Italia, è l’acido pelargonico. Un mix di molecole naturali che ha ancora bisogno di sviluppo, ma siamo in dirittura di arrivo. Ovviamente più si investe sulle alternative e più è possibile averle.

Un bando completo del glifosato cosa comporterebbe per il settore agricolo italiano?
Sarebbe difficile da gestire. L’idea più interessante è quella proposta da paesi come il Lussemburgo e la Germania, che è quella di limitare gli usi del glifosato solo come diserbante e prevedere un periodo di graduale eliminazione. Nel mentre abbiamo tempo per sviluppare molecole alternative.

Il mercato del glifosato però non è indifferente. Si parla di un valore di 16 miliardi di euro nel 2031. Questo comporta anche un’intensa attività di lobbing per tutelare gli interessi economici…
Forse avrai sentito parlare del caso dei Monsanto papers. Fu verificato che la documentazione utilizzata dall’Efsa per esprimere il suo parere sull’autorizzazione in realtà era la stessa della Monsanto. Quindi è chiaro che la lobby è estremamente forte, parliamo del prodotto più venduto al mondo. Parliamo di un business miliardario ma anche di un prodotto che ha molti problemi. Negli Stati Uniti, la Bayer (che ha acquistato la Monsanto ndr.) ha affrontato una class action ed è stata costretta al risarcimento di dieci miliardi di dollari dopo che una persona ha dimostrato che la sua esposizione al glifosato gli ha provocato un linfoma non Hodgkin.

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