La sua libertà di vivere e di esprimersi vilipesa da insulti e derisioni. E mentre aumentano i casi di suicidio tra i giovani per bullismo, il ddl Valditara nega alla scuola la possibilità di affrontare davvero il problema
Sappiamo molto poco sulla morte di Paolo, il ragazzo di 14 anni, che si è tolto la vita impiccandosi nella sua abitazione a Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, lo scorso 11 settembre. Lui cosa pensava, cosa provava? Non si sa, nessuna relazione potrà mai raccontarlo.
La procura di Cassino ha aperto un’indagine e disposto il sequestro di tutti i dispositivi elettronici per provare capire. Da anni, ha denunciato la famiglia, era perseguitato dai bulli con messaggi, scherzi, insulti. Vittima di un pregiudizio feroce: aveva i capelli lunghi, amava la musica, pescare e cucinare, aiutava in casa, una cosa intollerabile per i coetanei imprigionati nell’immagine del «vero maschio».
Le sue passioni diventavano per gli altri motivo di derisione. Una logica ferrea che lo ha accerchiato. «Tua madre è una t….» sono arrivati a scrivergli e poi «Ti metto le palle in testa». E ancora «Sei una femminuccia», «Nino D’Angelo», «Paoletta».
Così si è tolto la vita nella sua cameretta il giorno prima di ricominciare la scuola, secondo anno di un istituto tecnico. Ha deciso «definitivamente di spegnersi» ha detto il parroco durante l’ultimo saluto al ragazzo. La sua morte racconta una storia antica, silenziosa, insondabile che dentro questo tempo però cresce assieme a una generazione che confonde il mondo reale con lo schermo dei telefoni e non ha argini.
Sappiamo molto poco, per questo è ingiusto raccontare la vicenda, avvitandosi sull’opposizione «era gay» «non era gay», sbagliato lasciarsi intrappolare dal pregiudizio che associa qualunque particolarità relativa al ruolo di genere all’identità omosessuale. Le sue passioni sono state per i coetanei pretesto per deriderlo e per i gli insegnati motivo per liquidare una vicenda delicata che richiedeva preparazione e non ignoranza o peggio silenzio.
In psicologia si parla di identità di ruolo, cioè quando noi identifichiamo una persona con più maschile o femminile all’interno dello stesso genere. L’identità di ruolo di Paolo era diventata un pretesto per allusioni pesanti a una sessualità non prevista. Il bullismo è servito anche per esorcizzare l’inquietudine che ancora oggi suscita chi non si adegua alle aspettative altrui.
Dopo la sua morte, purtroppo anche attivisti Lgbt hanno sentito il bisogno di definire se fosse gay o meno, non dimostrandosi all’altezza della situazione che richiede pensiero e umanità. Non sappiamo chi fosse Paolo, è certo però che la sua libertà di vivere e di esprimersi è stata vilipesa. Aveva 14 anni e una notevole sensibilità. L’ultima sera, prima della tragedia, ha preparato il pane e i biscotti. Poi si è tolto la vita. Trasformarlo in un ragazzo «gay» rischia di deformare la sua identità ed è il segno che dinanzi alle ambiguità, alle «atipie» siamo attoniti e disorientati e usiamo le parole in modo rozzo, svuotandole di senso.
Così come privo di senso resta il mondo adulto di fronte all’inferno di una generazione.
Quadro preoccupante
In Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, si è registrato un aumento del 75 per cento dei casi di tentato suicidio: la fascia di età più coinvolta è quella dei giovanissimi con la media di un tentato suicidio al giorno (dati Osservatorio suicidi della fondazione Brf).
La fragilità di questa generazione dovrebbe essere tra i primi punti dell’agenda politica del paese. Invece il ministro dell'Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara spinge da mesi per approvare il ddl sul consenso genitoriale per l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole.
Un disegno di legge che nei fatti bloccherà quei corsi che entrano nelle scuole per rompere quei pregiudizi sull’espressione di genere che hanno prodotto quella babele di insulti che ha soffocato Paolo. I dati ci dicono che il numero di suicidi riusciti o tentati contempla anche ragazzi che vengono bullizzati “solo” per la loro espressione di genere, cioè adolescenti maschi, che non si atteggiano secondo i canoni previsti dall’ordine di genere costituito: «Un bullismo simile a quello omotransfobico dove il comune oggetto delle violenze sono gli atteggiamenti che rimandano a una generale non conformità di genere», spiega Guido Giovanardi, psicologo clinico e ricercatore presso l’Università Sapienza di Roma.
Il ddl Valditara rischia di respingere ogni tentativo di parlare di tutto questo, lasciando che quelle parole che hanno ucciso Paolo, continuino a scavare in silenzio nelle camerette dei nostri figli.
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