Romagnolo di nascita, milanese d’adozione, Giacomo Zani ha 29 anni e una guerra personale: salvare gli uomini da sé stessi. Presidente di Mica Macho, associazione che non fa sconti a nessuno – né ai maschi alfa da tastiera né ai progressisti con la battuta pronta – Zani parla con la secchezza di chi ha poco tempo e zero voglia di girarci attorno. «I primi carnefici degli uomini sono gli uomini stessi», dice.

Nata nel 2020 da un gruppo di amici e cresciuta fino a coinvolgere antropologi, educatori sessuali e designer, Mica Macho mette gli uomini davanti allo specchio: dal revenge porn alla solitudine incel, dalle bugie del “maschio forte” al voto a destra dei ventenni. Niente piagnistei, niente ridicole campagne social: solo ascolto, autocoscienza e, soprattutto, proposte. Perché, avverte Zani, se a riempire il vuoto maschile saranno i vari Andrew Tate, «ci travolgeranno. E ce lo saremo meritato».

Partiamo dall’inizio: qual è la missione principale di Mica Macho e come nasce l’associazione?

Nasce come collettivo, un gruppo di persone che si ritrovano intorno a una domanda: cosa possono fare gli uomini rispetto al femminismo e alle tematiche di genere? L’idea è nata nel 2020, in seguito a vari scandali di diffusione di materiale intimo non consensuale. Durante il lockdown, conversando con amici, abbiamo deciso di raccogliere storie di uomini e di come il genere avesse influito nella loro vita, sia nell’agire comportamenti tossici e abusanti sia nel subire discriminazioni, spesso da altri uomini. Col tempo ci siamo accorti che questo era solo un pezzo del problema.

Nel 2022 ci siamo costituiti come associazione e abbiamo capito che bisogna parlare di maschile non solo come soggetto agente, ma anche come oggetto. Il maschile è lo standard nella società, ma se ne parla poco. Per esempio: la ricerca medica si basa su corpi maschili, ma gli uomini vanno meno dal medico. Paradossi che nascono dal fatto che il maschile è stato preso per scontato.

Vorrei mettere l’accento su questa parola che lei ha usato: “Abusanti”.

La mascolinità è vigilata. Quasi tutti gli aspetti che riteniamo “maschili” sono controllati da altri uomini. Costruiamo la nostra idea di maschile dentro una gabbia, seguendo regole che ci vengono imposte da altri uomini. I primi carnefici degli uomini sono gli uomini stessi, e questo ha ricadute anche sugli altri generi. Per cambiare, servono uomini che raccontino le proprie storie e affrontino temi specificamente maschili.

Mi faccia qualche esempio.

Gap educativo: perché l’abbandono scolastico è più alto tra i ragazzi? Paternità e genitorialità: cosa significa essere padre oggi, quando non sei più “colui che mantiene” ma non sei nemmeno in una coppia etero tradizionale? Seduzione: il consenso è fondamentale, ma chi insegna ad applicarlo davvero? Lavoro: perché per molti uomini resta l’unica identità? Se non si parla di questi temi, diventano terreno di strumentalizzazione.

Cosa l’ha spinto personalmente a occuparsi di questo?

Vicende personali: relazioni, gelosie, tradimenti. Riguardandole, ho capito che certi comportamenti manipolatori non erano “miei” come Giacomo, ma frutto della socializzazione maschile. Cinque anni fa, a 24 anni, leggendo un articolo sul revenge porn, ho collegato i puntini. Uno dei primi temi su cui ho lavorato è stato proprio quello.

E qual è il suo punto di vista sul revenge porn?

A parte i casi più gravi, molti uomini condividono materiale intimo senza consenso perché lo vivono come un trofeo, non per dolo consapevole. Il termine “revenge porn” è fuorviante: si tratta di status sociale, di dimostrare il proprio successo sessuale. Io stesso, da ragazzino, ho mostrato foto a un amico. È un comportamento insegnato: il valore dell’uomo viene legato alle conquiste sessuali.

Quali sono i progetti o le iniziative di cui siete più orgogliosi?

I gruppi di autocoscienza. Li abbiamo resi un servizio gratuito: 60 incontri, 800 uomini coinvolti. Grazie a un bando di Action Aid, li amplieremo da ottobre. Sono spazi sicuri dove gli uomini possono parlarsi tra loro. Poi ci sono gli interventi di formazione nelle scuole e nelle aziende, per proporre un punto di vista diverso. Nei workshop con i ragazzi, ad esempio, partiamo da figure maschili dei manga per collegarci ai loro riferimenti culturali.

Come descriverebbe il vostro approccio alla parità di genere e al contrasto della violenza maschile sulle donne?

Se parti parlando di “violenza”, perdi subito parte del pubblico: chi si sente attaccato smette di ascoltare. Noi partiamo dall’esperienza maschile e, da lì, risaliamo allo stereotipo e al ruolo di genere. Se un uomo si riconosce in una situazione, puoi farlo riflettere sul perché accade.

Un esempio concreto?

In un’azienda molti padri separati dicevano: «La mia ex moglie mi ha fregato, non posso vedere i bambini». Puoi rispondere in due modi: dire che “il mondo è patriarcale” oppure chiedere “perché il tempo con i figli viene affidato più spesso alla madre? Perché ha un congedo più lungo. Non è anche questa una battaglia?”. Lo stesso vale per la violenza: se parti dalla fine, li perdi. Bisogna partire dai problemi percepiti come personali e farli risalire a radici comuni a un discorso femminista, mostrando che molte difficoltà attribuite alle donne nascono dallo stesso sistema culturale.

Ho notato una cosa che mi ha incuriosito: Mica Macho segue una pagina incel molto violenta e piena di fake news. Può spiegarmi il motivo?

Quella pagina è seguita da uomini che hanno un problema e si riconoscono in quel problema. Studiare questa community ci permette di cercare risposte alternative. Se figure come Andrew Tate hanno voce, è perché rispondono a una domanda reale. Se non capisci il disagio, non puoi combatterne le conseguenze. Il nostro interesse è proprio capire il disagio e proporre un’altra prospettiva.

E qual è la risposta che vi siete dati?

Un uomo brutto, povero, timido, con i brufoli, spesso non vive un’adolescenza felice. La “red pill” dice: è colpa delle donne, della cultura woke, loro hanno tutto il potere sessuale. Questa visione è sbagliata, ma va contrastata offrendo un’alternativa. È una vita difficile, ma perché? Chi ha deciso che l’uomo deve fare la prima mossa? Chi ha fissato standard di bellezza come immutabili? Bisogna mostrare che si può cambiare prospettiva e vivere la seduzione diversamente. Il nostro approccio: ti lamenti di un problema, ma non fai nulla per cambiarlo. Socialmente e mediaticamente, restano in una passività totale.

Restiamo sugli incel italiani. Quale impatto hanno sulla società?

Hanno caratteristiche diverse dagli americani. Stanno emergendo in opposizione a molte narrazioni e questo conferma la loro passività: è un’ideologia di resa. Sui social, figure come Yasmina Pani hanno successo opponendosi a qualcosa, ma trovare proposte è difficilissimo. Se pensi che ci sia un problema dell’identità maschile, la prima cosa è costruire e trovare soluzioni, non solo lamentarsi.

Invece è il mondo della lagna.

Esatto. In Italia il fenomeno è stato più silenzioso, ma lo si vede nelle intenzioni di voto: i giovani uomini votano a destra.

C’è un cambio di paradigma: come se lo spiega?

Prima non c’erano politici così vicini a questi mondi. Ora, nella destra italiana, emergono figure come Roberto Vannacci, che riprendono ragionamenti “red pill”: gli uomini fanno lavori faticosi, muoiono di più sul lavoro. Temi maschili veri, che però rischiano di essere monopolizzati. Se non diamo risposte alternative, saremo travolti.

Quali strategie funzionano per dialogare o contrastare gruppi tossici online?

Non ridicolizzarli, cosa che nei contesti progressisti accade spesso. Ho visto talk e TED dove si leggono frasi dei blog e si deridono: pessima strategia. È responsabilità degli uomini prendersi carico della questione maschile. Le donne hanno una coscienza di genere e reti sociali; per gli uomini, soprattutto etero, non è così.

Non so se sono d’accordo. Noi maschi facciamo squadra, spesso branco.

Solo in contesti sportivi o goliardici, non come comunità emotiva. Questa mancanza porta a casi estremi di giovani uomini violenti. Serve ascoltarli ed empatizzare, e di questo compito deve farsene carico un uomo, non una donna. Molti dicono: “Le femministe non pensano agli uomini”. La risposta è: pensaci tu. Penso al caso di Filippo Turetta: vedere amici e fratelli incapaci di leggere i segnali è stato devastante.

Nuove iniziative?

Negli ultimi mesi abbiamo lavorato per istituzionalizzare il nostro lavoro. Con il Comune di Milano stiamo creando una consulta ufficiale per osservare il cambiamento del maschile e offrire consulenza a enti, aziende e pubblica amministrazione. Come primo passo, organizzeremo un festival dal 19 al 21 settembre alla Fabbrica del Vapore, con ospiti anche lontani dal mondo femminista, come Immanuel Casto. Non sarà un festival classico: vogliamo rompere gli schemi.

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