Sono passate due settimane dalla pubblicazione del rapporto dell’Istituto superiore di sanità che stabilisce «che siti di smaltimento di rifiuti, in particolare quelli illegali di rifiuti pericolosi, incluse le combustioni, possono aver avuto un effetto sanitario sulle popolazioni, in termini di causalità e/o con-causalità nell’insorgenza di specifiche malattie». Lo studio riguarda 38 comuni che si trovano in terra dei fuochi, tra le province di Napoli e Caserta, ma la politica tace. L’unico a parlare è stato l’ex ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, per denunciare l’immobilismo della regione: «Io ho fatto cambiare la legge ottenendo il sito di interesse nazionale dell'area vasta di Giugliano, adesso manca ancora che la regione faccia mappa perimetrale con le aree limitrofe, spero arrivi presto altrimenti le bonifiche non partono mai».

Lo stesso rapporto nelle conclusioni chiarisce l’urgenza di «bloccare qualsiasi attività illecita e non controllata di smaltimento di rifiuti, bonificare i siti (...); attivare un piano di sorveglianza epidemiologica permanente delle popolazioni; implementare interventi di sanità pubblica in termini di prevenzione-diagnosi- terapia ed assistenza». C'è una transizione ecologica da compiere in Campania da una gestione dissennata del pattume, da terra laboratorio dello smaltimento illegale di rifiuti tossici a regione modello per capacità di diagnosi, cure e bonifiche del territorio.

Lo studio realizzato dall’Istituto superiore di sanità, su impulso e in accordo con la procura della repubblica di Napoli nord, conferma la necessità di agire e presto per avviare questa trasformazione. Il primo errore da evitare è quello di confinare l’emergenza ambientale alla Campania, ormai non è più così da decenni, con le rotte di smaltimento illecito che riguardano, ormai da tempo, territori del settentrione.

L'altro errore è di trasformare questo studio, che evidenzia rapporti di causalità tra presenza di rifiuti e aumento di malattie, come qualcosa di nuovo. «I risultati della presente indagine sono in linea con quanto emerso da indagini epidemiologiche precedenti svolte nell’area delle province di Napoli e Caserta interessate da siti di smaltimento non controllato di rifiuti pericolosi», si legge nel rapporto.

Il caso Giugliano

Il gruppo di lavoro, guidato dalla responsabile scientifica Eleonora Beccaloni, prima di mettere in relazione i comuni più colpiti dalla presenza di roghi, cave contaminate, deposito di balle con i dati di incidenza tumorale, ha introdotto un indicatore di rischio da rifiuti assegnato a ogni singolo comune, da quello con un maggior numero di siti contaminati a quello che ne ospita meno (da 4 a 1).

A leggere la tabella ci sono comuni che presentano una situazione grave, come quello di Giugliano e Caivano. Nella prima cittadina, a nord di Napoli, ci sono 628 siti con diversi livelli di pericolosità e, tra questi, a 178 è assegnato il punteggio massimo di rischio. «Si tratta di aree di rogo di rifiuti, di pneumatici, plastiche, ecoballe (...) a queste tipologie si assegna il massimo punteggio poiché possono essere impattati tutti i comparti ambientali (aria, acqua e suolo) ed è ragionevole presumere che si possano trovare rifiuti molto pericolosi e pericolosi», si legge nel dossier.

Le ecoballe citate sono balle di rifiuti accatastate, circa 7 milioni di tonnellate, durante la ventennale emergenza rifiuti. Da tempo le istituzioni promettono la rimozione, ma sono ancora lì.

A Giugliano il 40 per cento della superficie comunale è impattata dalla presenza di aree contaminate e il 46 per cento della popolazione vive in queste aree, quasi un abitante su due. Lo studio conferma quanto emerso in questi anni, proprio a Giugliano c’è la discarica Resit, cava destinataria, a partire dagli anni Ottanta, anche dagli scarti della bonifica dell’azienda chimica che aveva sede a Cengio, in provincia di Savona.

Su Wikipedia hanno dedicato una voce alla storia dell’Acna e per descriverla hanno preso in prestito un passaggio del libro Un giorno di fuoco di Beppe Fenoglio: «Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle rive non cresce più un filo d’erba».

Quello che non sapeva Fenoglio è che gli scarti industriali che avvelenavano quell'acqua sarebbero stati portati in Campania per continuare ad avvelenare. Il disastro ambientale per spostamento territoriale, bonifichi Cengio e inquini Giugliano.

Per la Resit, oggetto di ripristino ambientale, la procura di Napoli, nel 2013, ha depositato una relazione che parlava di disastro ambientale. La Resit, è stata gestita da Cipriano Chianese, avvocato e imprenditore che, nel 1994, si è candidato con Forza Italia sfiorando l’elezione alla Camera dei deputati. Viene considerato l’inventore dell’ecomafia in Campania, condannato in via definitiva per disastro ambientale e collusione con il clan dei Casalesi.

Caivano è il secondo comune che si trova in classe 4, quella più esposta. In questo caso i siti totali contaminati sono 282 e, tra questi, 85 sono nella categoria con il punteggio massimo di rischio. Il territorio ospita la parrocchia di padre Maurizio Patriciello, nel parco verde, che alla terra dei fuochi ha dedicato, di recente, un’omelia oltre a un impegno costante: «Qualcuno ha detto “io non ho paura della cattiveria dei cattivi, io ho paura del silenzio dei buoni”. Ci hanno calunniati, ma ci siamo stati fino a quando finalmente chi di dovere ha detto che avevamo ragione».

Nelle parole di padre Maurizio la critica alla politica, a partire dal presidente di regione Vincenzo De Luca, che ha addirittura detto che la terra dei fuochi non esiste più.

Tumori in aumento

Nel rapporto dell’Istituto superiore di sanità dopo l’assegnazione ai comuni del punteggio in base all’Irc, indicatore da rischio da rifiuti, si analizza un altro indicatore elaborato, quello relativo all'esito sanitario che tiene conto dei numeri di mortalità, ricoveri e incidenza oncologica.

Il rapporto considera malattie «per le quali l’evidenza dell’associazione con i rifiuti pericolosi è stata definita “sufficiente” o “limitata”», ma anche «le patologie in eccesso, e per le quali erano state suggerite azioni specifiche di prevenzione, evidenziate negli studi epidemiologici svolti precedentemente nelle aree della Campania interessate da sversamenti di rifiuti».

Lo studio prende come riferimento l’intera popolazione regionale e quella meridionale residente in aree dove c’è il registro dei tumori. Il rapporto evidenzia quali sono i tumori che colpiscono di più in questi territori.

«Nell’intera area si osservano eccessi statisticamente significativi di mortalità per i tumori del fegato e della vescica in entrambi i generi, e per i tumori della mammella nelle donne», si legge.

Servono le bonifiche

Viene riscontrata un'incidenza maggiore per altri tumori: «Eccessi significativi di mortalità e incidenza si osservano in entrambi i generi per il tumore del polmone, e questi ultimi vanno segnalati anche in relazione alla presenza di siti di combustione incontrollata di rifiuti». Dal rapporto emerge anche altro: nei comuni in fascia 4, con l'indicatore di rischio da rifiuti più alto, c’è un maggior rischio di ammalarsi di tumore della mammella.

«L’ospedalizzazione per asma nella popolazione generale è significativamente più elevata nella terza e quarta classe dell’indicatore comunale di esposizione a rifiuti (…) La prevalenza dei nati pretermine è significativamente più elevata nei comuni della seconda, terza e quarta classe dell’indicatore, rispetto alla prima». Più sono inquinati i comuni e più aumenta anche un altro dato quello relativo alle leucemie nella fascia 0-19 anni.

Lo studio conclude che bisogna subito fare le bonifiche e attivare sorveglianza epidemiologica permanente, il tutto in condivisione con le popolazioni locali.

Per capire il disastro bastava leggere le parole dei collaboratori di giustizia. Un pentito, Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi, ha raccontato: «Quando aprivamo le cisterne e scaricavamo i liquidi tossici, i topi morivano stecchiti. All’istante».

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