Ufficialmente la Taverna Clara si trova al confine fra due regioni. Immersa nei boschi e in un luogo di passaggio, perfetto per un ristorante tipico. Ma ora questa sua caratteristica assume un significato molto particolare, come racconta il Corriere del Veneto. L’insegna della taverna è in Veneto, in provincia di Vicenza, mentre la cucina si trova in Trentino. Per i ristoranti le regole sono diverse nelle due regioni: nel primo caso valgono i limiti del dpcm nazionale, con la chiusura imposta alle 18. Nel secondo caso, c’è l’autonomia: la chiusura è posticipata alle 22. Alla Taverna basta avere una sola stanza al di là del confine: così può tenere aperto qualche ora di più.

La storia della Taverna Clara può far sorridere, ma è l’emblema di una questione che sta facendo molto discutere nel nord est Italia. Perché la pandemia non ha confini, ma le decisioni su come combatterla sì. Lo sanno bene i ristoratori del Veneto. Dario Bond, bellunese e deputato di Forza Italia, scrive su Facebook: «Cosa possono fare gli inermi baristi e ristoratori di tutti quei territori bellunesi confinanti con l’Alto Adige? Niente. Di qua dal confine saranno costretti a chiudere alle 18 e rispettare il coprifuoco previsto dall’ultimo Dpcm. Dall’altra parte invece faranno come vogliono, lavorando fino alle 22».

La via autonoma

In Alto Adige i contagi sono in costante crescita: oggi ne sono stati comunicati 190, con quattro morti (i numeri sono alti, per una realtà così piccola). Soprattutto, nell’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità – con dati ormai di settimane fa – la provincia autonoma di Bolzano era terza in classifica per valore Rt, il famigerato indice di trasmissibilità della malattia. Il Veneto sesto.

Eppure a Bolzano e provincia le istituzioni sono sensibili alle lamentele dei ristoratori. A maggio furono i primi a uscire dal lockdown, a riaprire i ristoranti e a riaffacciarsi con fiducia nella fase due. Anche in Trentino si cerca di far valere l’autonomia, talvolta con esiti non troppo felici. A inizio marzo, le piste da sci rimaste aperte sono state prese d’assalto dai turisti provenienti dal Veneto e dalla Lombardia. Probabilmente contribuendo in modo decisivo alla diffusione del virus.

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