Il filologo Erich Auerbach settant’anni fa ha descritto la strategia di falsificazione ampiamente usata nel raccontare le vicissitudini del vaccino anglo-svedese. Mettendo in luce i rari effetti avversi e lasciando in ombra i suoi enormi benefici si è alimentata una concezione della verità che distorce il «giusto rapporto fra le singole parti» che la compongono
- La connessione fra rari casi di trombosi e il vaccino AstraZeneca non è una questione strettamente scientifica, ma di rappresentazione della verità. Il grande filologo Erich Auerbach lo aveva capito già settant’anni fa, quando ha parlato della «tecnica del riflettore».
- «Di tutto un ampio discorso», scrive Auerbach in Mimesis, pubblicato nel 1946, «s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio».
- Spesso nel racconto del caso AstraZeneca si è usata tecnica del riflettore, illuminando alcuni elementi meno rilevanti e lasciando in ombra quelli macroscopici, secondo una strategia che Auerbach denunciava come sommamente pericolosa, specialmente nei momenti di agitazione