La percentuale del Pil non basta a definire il contributo di un paese alla sicurezza dell’alleanza atlantica. L’analisi dell’osservatorio Milex dimostra che l’Italia è tutt’altro che un partner inadempiente. Anzi: è tra quelli che già oggi contribuiscono con un impegno sproporzionato rispetto alla propria economia
Nel dibattito sulla spesa militare, il parametro più citato è quello della Nato: almeno il 2 per cento del Pil nazionale da destinare alla difesa. Una cifra che risuona come imperativo politico, ripetuto senza variazioni dalla maggioranza dei governi occidentali. Anche in Italia il governo continua a impegnarsi pubblicamente per “colmare il divario” con gli alleati.
Ma un’analisi approfondita dell’Osservatorio Milex smentisce radicalmente questa rappresentazione: l’Italia è già tra i maggiori contributori alla sicurezza collettiva dell’Alleanza atlantica. E spende addirittura più di quanto le sue capacità economiche giustificherebbero.
Il carico reale
Alla base del lavoro di Milex c’è il Burdensharing Index, un indicatore elaborato dalla RAND Corporation – think tank statunitense su incarico del Pentagono – che misura in termini qualitativi e operativi il contributo effettivo di ogni alleato alla sicurezza collettiva, al di là della mera percentuale di Pil investito.
A differenza del parametro Nato, che si limita a registrare la quota di spesa rispetto al prodotto interno lordo, il Burdensharing Index considera un’ampia gamma di indicatori: numero e prontezza delle truppe, dotazioni tecnologiche, capacità logistica, interoperabilità dei sistemi, partecipazione effettiva alle missioni internazionali, efficienza delle infrastrutture militari (porti, aeroporti, reti stradali), disponibilità a ospitare truppe alleate, capacità di comando e controllo, adesione a regimi sanzionatori e attività diplomatica in ambito di prevenzione dei conflitti.
A questo si affianca il Burdensharing Ratio, ovvero l’indice rapportato non al PIL nazionale in sé, ma al peso economico del paese rispetto al PIL complessivo degli alleati. Se il valore è maggiore di 1, significa che lo stato contribuisce alla sicurezza globale più di quanto la sua economia suggerirebbe.
Italia in cima per contributo
I numeri raccolti e rielaborati da Milex sono inequivocabili. L’Italia, nella classifica aggiornata sulla base del Burdensharing Index, è il terzo contributore assoluto tra tutti gli alleati Nato e asiatici, con un valore pari a 4,75. Solo gli Stati Uniti (indice 46,5) e il Giappone (valore non dichiarato esplicitamente, ma noto come superiore) si collocano più in alto. Seguono Francia (4,61), Regno Unito (3,54), Germania (2,51) e Paesi Bassi (2,23).
Ancora più significativo è il dato relativo al Burdensharing Ratio: l’Italia registra un valore di 1,12, cioè superiore all’unità.
Significa che il paese sta già contribuendo alla sicurezza NATO oltre le proprie possibilità economiche.
Tra gli alleati europei solo Grecia (5,29), Lituania (4,19), Bulgaria (2,40), Slovacchia (1,86), Ungheria (1,46) e Paesi Bassi (1,35) presentano un rapporto più alto. Ma, come osserva Milex, «l’Italia è l’unico Stato NATO ad avere sia un indice assoluto di livello A (sopra 3) sia un ratio maggiore di 1». L’unico altro alleato in questa condizione è la Corea del Sud.
Sono gli stessi dati, sebbene calcolati sulla base di parametri riferiti agli anni 2017-2018 confermati anche da King Mallory – il ricercatore RAND che ha diretto lo studio – in un articolo pubblicato sul Financial Times.
Nel frattempo, in Italia il dibattito pubblico ruota attorno alla proposta – avanzata in ambito Nato – di portare la spesa militare al 5 per cento del Pil entro il 2035. Un salto che per il nostro paese comporterebbe un incremento, secondo Milex, di oltre 100 miliardi di euro all’anno rispetto alla spesa attuale, pari a un investimento aggiuntivo di circa 400 miliardi in un decennio.
Una precisa scelta politica
Nessuno, nei documenti ufficiali o nei dibattiti parlamentari, ha finora messo in discussione la legittimità del parametro del 2 per cento o del nuovo benchmark al 5. Eppure, come sottolinea l’Osservatorio Milex, «non esiste alcun automatismo che giustifichi il ricorso alla percentuale sul Pil come unico criterio. È una scelta politica, non una necessità tecnica».
Inoltre, nel calcolo ufficiale della spesa militare fornito dal ministero della Difesa – circa 35 miliardi di euro nel 2025 – non vengono contabilizzati gli investimenti straordinari stanziati da altri ministeri (come lo Sviluppo Economico o l’Università) per programmi legati alla difesa. Se si includono queste voci, secondo Milex, «la spesa effettiva supera già ampiamente la soglia del 2 per cento, rendendo il gap puramente formale».
L’analisi di Milex, che ricostruisce nel dettaglio un quadro molto diverso da quello ufficiale, dimostra che l’Italia è tutt’altro che un partner inadempiente. Anzi: è tra quelli che già oggi sostengono l’architettura di sicurezza comune con un impegno sproporzionato rispetto alla propria economia.
Come nota l’Osservatorio, «questo tipo di analisi andrebbe considerato centrale nelle scelte di bilancio e nelle discussioni pubbliche», perché permette di valutare il contributo alla sicurezza non solo come una voce contabile, ma come una funzione reale e misurabile. Il problema, semmai, è che questo dato non conviene raccontarlo.
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