Il tesoriere che rischia il processo per finanziamento illecito. L’ex sottosegretario e l’inchiesta per corruzione. I commercialisti del partito arrestati e il governatore della regione, in cui il partito è più forte, sotto inchiesta. Con la fine del 2020 si chiude un anno difficile per Matteo Salvini, che guida la Lega dal nuovo spirito nazionalista, ancora prima nei sondaggi ma in forte calo rispetto alle elezioni europee del 2019. Un anno in cui Salvini ha mostrato tutta la sua fragilità politica dell’uomo solo al comando, con la macchina della propaganda, che costa cara, inceppata e con le procure che hanno fatto luce su alcuni misteri delle finanze leghiste. Salvini non prende mai sul serio, o almeno così vuol fare credere, le grane giudiziarie degli uomini a lui più vicini, dirigenti di partito che ha scelto e ha nominato. 

Che le cose avevano preso una brutta piega lo si era intuito a settembre 2019: il leader leghista dopo la spallata al governo di cui era ministro e vicepremier, alleato dei 5 Stelle, ha fallito miseramente la missione di andare al voto subito. L’inizio della fine del governo Conte 1 coincide con le settimane in cui i nuovi documenti sul “Russiagate” leghista non lasciavano via di scampo ai protagonisti della trattativa condotta a Mosca all’hotel Metropol: il negoziato portato avanti dal fedelissimo di Salvini con uomini vicini al Cremlino per ottenere un maxi finanziamento da usare per la campagna elettorale delle europee di maggio.

Dopo gli scoop giornalistici, è intervenuta la procura di Milano che continua l’indagine con l’ipotesi di corruzione internazionale. L’intervento della magistratura ha paradossalmente salvato Salvini da un altro tipo di responsabilità, quella politica, sempre più sottomessa a quella giudiziaria. «C’è un’indagine in corso, i pm accerteranno eventuali reati», è la frase ricorrente usata dai leder dei partiti. Come se fosse necessario un giudice per condannare politicamente la trattativa, documentata con foto, audio e documenti, per chiedere denaro alla corte di Putin. Come se un’assoluzione o un’archiviazione cancellasse il viaggio a Mosca per ottenere denaro e finanziare la corsa all’europarlamento.

Il tesoriere

Il 2020 era iniziato senza particolari clamori. Sullo sfondo c’era sempre l’inchiesta della procura di Genova sul riciclaggio di parte dei 49 milioni di euro da restituire allo stato perché ottenuti con la truffa dall’ex tesoriere Francesco Belsito, ma le novità destinate a stravolgere i piani di Salvini sarebbero arrivati da lì a poco. L’arrivo dell’estate porta i primi scossoni: il 2 luglio la procura di Roma deposita la richiesta di rinvio a giudizio per il tesoriere della Lega Giulio Centemero. È accusato di finanziamento illecito al partito per 250mila euro incassati dal costruttore romano Luca Parnasi, l’imprenditore arrestato per corruzione nell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma. Il denaro non era arrivato direttamente alla Lega ma all’associazione Più Voci, che secondo i pm è espressione della Lega.

Centemero si è difeso spiegando che l’associazione è stata fondata per sostenere la pluralità dell’informazione, e quindi anche Radio Padania. Parnasi interrogato dai pm guidati da Paolo Ielo ha spiegato che la pubblicità sulla Radio era solo una scusa per dare soldi alla Più Voci, che considerava una associazione legata al partito in grado introdurlo nel mercato lombardo. Le cene organizzate alla presenza dei politici a Roma sono una conferma.

É curioso però notare come il tema pubblicità e sostengo dell’informazione ricorre negli scandali della Lega fin dai tempi di tangentopoli. Centemero, senza saperlo o ricordarlo, per difendersi usa le stesse argomentazioni del fondatore Umberto Bossi quando era finito sotto inchiesta per finanziamento illecito nell’inchiesta passata alla storia con il nome di Mani Pulite.

Nelle cronache dell’epoca si ritrovano le indicazioni fornite da Bossi, secondo i testimoni dell’accusa, ai boss di Montedison per fare affluire il denaro nelle casse del partito: sarebbe stato sufficiente prevedere una «presenza pubblicitaria dei prodotti Montedison» sulle radio e le tv della Lega. Uno schema che a distanza di quasi trent’anni ritroviamo nelle risposte del nuovo tesoriere voluto da Salvini.

La differenza con la storia di Montedison sta in due piccoli dettagli: i soldi in ballo erano 200 milioni di lire, la metà di quelli dati da Parnasi all’associazione Più Voci; insieme al tesoriere dell’epoca di Tangentopoli è stato condannato anche il leader, Umberto Bossi, mentre oggi, nel caso della Più Voci, a rischiare è solo Centemero. 

Il presidente

A fine luglio la procura di Milano ha iscritto Attilio Fontana nel registro degli indagati per la fornitura dei camici che la regione aveva affidato alla società Dama Spa, del cognato e della moglie del governatore. Fontana è indagato per frode in pubbliche forniture. È nell’ambito di questa storia che è emersa la titolarità di un conto estero del presidente. Deposito bancario in Svizzera ancora attivo sul quale si trova l’eredità lasciata dalla madre. Sul conto, peraltro, si trovavano al 20 maggio, 4,4 milioni di euro, parte dell’eredità di 5,3 i milioni della madre di Fontana nascosti al fisco italiano fino al 2016. L’anno, cioè, in cui il presidente leghista ha aderito alla voluntary disclosure con cui ha regolarizzato le somme all'estero ufficialmente di proprietà della madre defunta, la dentista Maria Giovanna Brunella.

Come svelato questa estate da Domani in realtà Fontana aveva la disponibilità di un conto estero fin dal 1997, cioè dall’inizio della sua carriera politica. Su quel conto intestato sempre alla madre, all’epoca 74enne, il presidente aveva la delega ad operare. Alle nostre domande specifiche Fontana non ha mai risposto nel merito, ma solo in maniera generica. Ma soprattutto ha eluso quella più importante sull’origine della provvista accumulata dall’anziana madre sui conti esteri. Il mistero, che la procura di Milano però sta cercando di risolvere. 

I commercialisti

L’11 settembre è stato il giorno dell’arresto dei commercialisti del partito: Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. La procura di Milano li accusa di avere organizzato l’operazione della fondazione Lombardia film commission: la distrazione, cioè, di fondi pubblici della regione tramite la compravendita di un capannone a Cormano, in provincia di Milano, pagato dalla fondazione, con denaro pubblico della regione, il doppio del suo valore di mercato.

Sono soldi veicolati a società riconducibili ai commercialisti attraverso la società immobiliare che ha venduto l’immobile. Di Rubba all'epoca dell’operazione era il presidente della Lombardia film commission nominato ai vertici della fondazione dalla giunta leghista di Roberto Maroni su volere della segreteria del partito.

Insieme al collega Manzoni ha goduto della massima fiducia di Matteo Salvini e di Centemero: i due sono stati nominati revisori contabili dei gruppi parlamentari e erano nei consigli di amministrazione di società partecipate dalla Lega Nord e in quelli, fino all’arresto, di alcune a società pubbliche nell'era del governo giallo-verde. «Mi fido di loro», continua a ripetere Salvini, anche in questo caso senza entrare nel merito delle accuse che chiamano in causa anche il partito. 

Uno degli indagati, infatti, si chiama Michele Scillieri, anche lui commercialista: presso il suo studio era stata domiciliata la nuova Lega Salvini premier fondata nel 2017. Interrogato per ore, alla fine ha raccontato il  viaggio che il denaro compie da chi ottiene incarichi in società pubbliche verso le casse della Lega di Matteo Salvini a titolo di contributo. E, per descrivere questo sistema, Scillieri ha spiegato agli inquirenti anche di aver presentato egli stesso una persona interessata a entrare in questo meccanismo, ma di aver ricevuto un rifiuto da parte del commercialista Andrea Manzoni perché bisognava prima guadagnarsi la fiducia. Insomma per entrare nel “giro” bisognava essere rodati.

Un meccanismo emerso anche da alcuni documenti interni al partito pubblicati dal Fatto Quotidiano: uno schema dettagliato in cui ogni nominato doveva donare una quota del proprio stipendio pubblico al partito. 

Mr flat tax

A ottobre la procura di Roma ha chiuso l’inchiesta per corruzione su Armando Siriz. All’epoca in cui la Lega era al governo con i grillini è stato sottosegretario alle infrastrutture. Salvini lo aveva scelto per rappresentare nella nuova Lega l’uomo che avrebbe riscritto la politica fiscale del paese con la flat tax, la tassa piatta, pezzo forte del menù del programma leghista. Peccato che per ridisegnare l’architettura fiscale dell’Italia Salvini abbia scelto un signore che aveva patteggiato una pena per bancarotta.

Siri quando sedeva al ministero dei trasporti da sottosegretario è stato coinvolto in un’inchiesta per corruzione a Roma e una per autoriciclaggio a Milano. Quella di Roma si è chiusa a ottobre e riguarda il suo rapporto con Franco Paolo Arata, ideatore del programma energetico della Lega. Arata è in rapporti d’affari con Vito Nicastri, il re dell’eolico già nel mirino dell’antimafia per essere considerato prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro.  

Il Capitano

Il 2020 è stato anche l’anno in cui sono iniziati i processi contro Matteo Salvini, Catania e Palermo, per le note vicende sul blocco delle navi Gregoretti e Open Arms. I magistrati lo accusano di sequestro di persona, per aver impedito ai migranti di sbarcare nei porti italiani. Migranti che, come abbiamo raccontato in questi mesi, erano in condizioni precarie e che in Libia avevano subito torture. Non sappiamo se Salvini abbia commesso reati. Ma non tutto è riducibile alla sfera giudiziaria. C’è un tema di responsabilità politica e di verità storiche che esulano dalle decisioni dei tribunali e dalle inchieste dei pm. Vale per l’accanimento sui migranti, vale per i rapporti con la Russia di Putin, vale per la selezione della classe dirigente. Per tutto questo i posteri non avranno bisogno di un verdetto di un giudice per farsi un’idea di cosa sia stata la Lega di Matteo Salvini. 

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