Lei costretta a una cautela inedita, lui pronto ad attaccare per distinguersi. Le differenze tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono esplose sul tema dell’accoglienza dei migranti. È una diversità legata al ruolo ricoperto – c’è chi guida il governo e chi sta al ministero dei Trasporti – e alle sirene della prossima campagna elettorale. Dopo le parole del segretario della Lega, che mercoledì aveva parlato di una «regia» e di un «atto di guerra» dietro gli sbarchi degli ultimi giorni a Lampedusa, ieri a parlare è stato il suo vice, Andrea Crippa. E il bersaglio è stata la premier.

La Lega all’attacco

Riprendendo le parole di Salvini alla stampa estera, Crippa ha detto che bisogna tornare a fare ciò che faceva lui quando era ministro dell’Interno nel governo Conte I. «Ha dimostrato che i problemi si possono risolvere con atteggiamenti più rigidi. Penso anche al ripristino dei decreti Salvini del 2018», ha detto il deputato e vicesegretario della Lega. Ma Meloni è stata troppo morbida? «Lei ci ha provato, giustamente, con la via diplomatica a risolvere il problema. Ma non ha portato a niente. A Lampedusa sono arrivati 121 barchini e seimila clandestini: è chiaro che il governo della Tunisia ha dichiarato guerra all’Italia».

Il Meloni pensiero

Ministri e governatori di Fratelli d’Italia usano parole diverse. Ricalcano le uscite della leader, con poche spigolature e moltissima prudenza. Nel suo videomessaggio per il forum “Risorsa mare”, a Trieste, ieri la premier ha ricordato che «questo governo ha deciso di lavorare perché venisse finalmente riscoperta e valorizzata la dimensione marittima e la millenaria vocazione agli scambi della nostra nazione». Tanti aggettivi e avverbi, toni felpati e poche accuse; senza colpi di testa o blocchi navali all’orizzonte.

Parole più dure, ma neanche tanto, al summit sulla demografia di Budapest, dove si parlava di denatalità. «Spesso si sostiene che la migrazione contribuirà alla crescita delle nostre popolazioni. Ma io non sono d’accordo: i migranti integrati possono dare un contributo, ma dobbiamo essere noi a costruire il nostro futuro», ha detto Meloni. Ad applaudirla in platea c’era anche l’amico Viktor Orbán, che la premier ha salutato con un abbraccio.

Via da Lampedusa

Intanto a Lampedusa la situazione resta tesa. Dopo lo sbarco di quasi settemila persone in 48 ore e gli scontri fra i migranti stipati e le forze dell’ordine, quella di ieri è stata una giornata relativamente tranquilla. Adesso sono 4.300 gli ospiti nell’hotspot di contrada Imbriacola. Tra loro anche 257 minori non accompagnati. L’isola affronta ancora una volta l’emergenza, mentre la Croce rossa ha soccorso decine di persone che sono svenute per il gran caldo.

Un giovane migrante con i postumi di un arresto cardiaco è stato trasferito in elisoccorso all’ospedale di Caltanissetta e cinque donne incinte sono state portate ad Agrigento. Ieri ci sono stati anche nuovi trasferimenti. I primi a partire sono stati 453 migranti a bordo della nave Lampedusa, diretta a Trapani. Altri 480 sono arrivati ad Augusta e 300 a Catania, a cui vanno sommati i 700 naufraghi sulla nave di linea Galaxy. «Abbiamo fatto il possibile ma ora siamo a un punto di non ritorno. Servono navi in rada che garantiscano trasferimenti immediati», ha detto il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, che ha chiesto al governo un cambio di passo.

L’accordo con Saied

Gli sbarchi record degli ultimi giorni, con migranti partiti soprattutto da Sfax, in Tunisia, uniti alle accuse “complottistiche” di Salvini e dei suoi, gettano una nuova luce sull’accordo che l’Unione europea ha siglato a luglio con Kais Saied. Un memorandum d’intesa con cui l’Ue si impegna a fornire un sostegno finanziario a Tunisi «per migliorare il suo sistema di ricerca e soccorso in mare, il pattugliamento delle acque territoriali e il controllo delle frontiere».

Eppure, da Tunisia e Libia i migranti continuano a partire. Fonti investigative hanno confermato l’esistenza di operazioni ben pianificate, con barchini in acciaio costruiti in serie che salpano da Sfax con due motori e uno scafista. Quest’ultimo viene poi recuperato da un motoscafo d’alto mare, che porta con sé uno dei motori e lascia i migranti in balia delle onde. Un sistema criminale ben organizzato esiste, anche se non c’è quella «regia» evocata da Salvini.

Gestire i flussi

Da parte dell’Italia, la lotta ai trafficanti è responsabilità dell’Aise (il servizio segreto per l’estero), che grazie a una soffiata degli agenti sul campo ha scoperto l’esistenza di fabbriche di metalli dove i barchini vengono costruiti. A palazzo Chigi c’è però chi contesta ai servizi di non fare abbastanza, con i loro omologhi tunisini, per bloccare l’azione dei trafficanti.

Il punto, rivela una fonte a Domani, è che il dittatore tunisino non ha dato ordine ai suoi agenti di bloccare i trafficanti, come invece era stato promesso all’esecutivo italiano. E per ora continua in una politica ambigua che punta ad alzare il prezzo con l’Europa: da qui il sospetto, esplicitato dai leghisti, di un «atto di guerra nei confronti dell’Italia».

Le strette di mano e i sorrisi di luglio hanno lasciato spazio ad accuse e ripicche incrociate. In questo contesto si inserisce anche la nuova mossa del governo tunisino, che ieri ha negato l’autorizzazione ad entrare nel paese ai membri di una missione del Parlamento europeo. Saied non ha motivato la decisione, ma due funzionari hanno riferito che si sarebbe risentito per una conferenza stampa: un incontro con i giornalisti in cui gli eurodeputati avevano criticato la Tunisia per un «chiaro arretramento sui diritti umani».

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