Brancaccio non è un quartiere qualunque. È l'anima di una Palermo periferica che tra luci e ombre insegue un eterno riscatto nelle sue mille contraddizioni. In una città sotto i riflettori per giorni dopo lo stupro di gruppo e poi di nuovo dimenticata.

Come abbandonate sono le sue periferie, i suoi luoghi più distanti dal benessere, traditi da chi promette una svolta solo in presenza di telecamere dopo eventi terribili. Promesse mai mantenute. Brancaccio è la processione della Madonna, l'acqua che nelle case scorre a intermittenza, i ragazzini con le moto che impennano sulle strade, la malasanità, la dispersione scolastica, il quartiere senza un asilo nido, le strade dissestate, i rifiuti che le riempiono.

È il quartiere dei diritti negati. Brancaccio è la mafia dei fratelli Graviano, protagonisti della stagione stragista di Cosa Nostra, un cognome che tra quei vicoli continua a pesare. Fino a pochi anni fa su un muro di una strada si leggeva la scritta “Viva la mafia”.

Ma Brancaccio è anche il sorriso dei bambini che possono andare a scuola, giocare in un campo di calcetto, è l'impegno delle tante associazioni abbandonate da uno Stato troppo spesso assente. Cercano con fatica di far rinascere il quartiere, di fornire ai cittadini i servizi essenziali per condurre una vita dignitosa.

Brancaccio è i muri che raffigurano padre Pino Puglisi, assassinato trent'anni fa su ordine dei fratelli Graviano. Il primo martire della Chiesa ucciso dalla mafia e beatificato da papa Francesco. Le sue ultime parole in quel 15 settembre 1993 furono: «Me l'aspettavo» e la sua ultima espressione un sorriso all'omicida. Puglisi cercò di togliere i bambini dalla strada sottraendoli alla vita mafiosa che li impiegava per rapine e spaccio. Un pericolo per Cosa Nostra.

Nulla cambia

Trent'anni dopo da quell'omicidio molto è cambiato. Dove prima abbandono e degrado dominavano incontrastati, ora c'è un centro polivalente sportivo, un centro anti-violenza, la scuola tanto voluta da Puglisi, presto sorgerà un poliambulatorio sanitario e nel 2026, forse, l'asilo nido. «Ma ancora c'è tanto da fare e i problemi sono tantissimi», spiega Maurizio Artale, presidente del Centro d'accoglienza Padre Nostro nato nel 1991 per volere di padre Puglisi.

«Assistiamo 640 famiglie. Qui la povertà è il problema più grosso. La mancanza di lavoro pesa come un macigno. In questi anni, grazie al reddito di cittadinanza, il loro benessere è in parte aumentato ma ora stiamo andando al tracollo. Toglierlo senza dare valide alternative è un grosso rischio e ci aspettiamo una bomba sociale», continua Artale.

I carabinieri fanno sapere che stanno monitorando il fenomeno. «L'abolizione del reddito è sicuramente un possibile innesco di ulteriori reati ma al momento non abbiamo registrato un picco. Ancora credo sia presto», spiega il capitano Aniello Falco che comanda la stazione dei carabinieri di Brancaccio.

Nel quartiere c'è grande scoramento. In tanti bussano alla porta del centro Padre Nostro. Non più per chiedere un pacco di pasta ma sperano che qualcuno paghi le loro bollette. In tutta la città di Palermo sono 11.600 i nuclei familiari a cui è stato tolto il reddito di cittadinanza.

«Senza lavoro e ora senza reddito di cittadinanza è difficile andare avanti», confessa Vittorio, 50 anni con un figlio disoccupato. «L'unico modo per sopravvivere è trovare qualche lavoretto in nero ma ho paura per mio figlio. Spero non prenda brutte strade». Ai ragazzi, infatti, la mafia offre lavoretti facili: il ruolo della vedetta, affida il confezionamento delle dosi di droga o nei casi dei “picciotti” più affidabili il ruolo del pusher.

«Il governo sta praticamente dicendo a molte famiglie di andare a delinquere. Molti padri mi dicono che andranno a rubare e si dedicheranno ad altre attività illecite», denuncia don Maurizio Francoforte, parroco da sedici anni della chiesa di San Gaetano che ha raccolto l'eredità di padre Puglisi. Insieme alla Caritas assiste 153 famiglie nel quartiere.

«Qui lo Stato non c'è. Siamo rimasti ancora al sacchetto della spesa offerto dai politici in cambio del voto. Molti cittadini si accontentano perché ne hanno bisogno ma non si rendono conto che viene tolto loro il futuro».

«O la mafia o noi»

Artale non usa giri di parole: «La gente a Brancaccio ha due punti di riferimento. Le associazioni del territorio e la mafia. Chi vuole rimanere libero sceglie le prime. La presenza di Cosa Nostra è forte. La mentalità mafiosa, la clientela, il politico che si apre il Centro di assistenza fiscale (Caf) per poi chiedere il voto».

In una sola strada, in via Brancaccio, di Caf addirittura se ne vedono quattro. E i politici vengono alla chetichella per siglare accordi e fare promesse. Nelle ultime elezioni politiche a Brancaccio non si è svolto neppure un comizio elettorale. Qui la partecipazione democratica si esercita in altri modi.

Di politica in tanti non vogliono sentire parlare. Tra i delusi dal M5S colpevoli di «non aver difeso il reddito di cittadinanza» e i meloniani dell'ultima ora che confidavano in un cambio di passo. «Questo governo è come gli altri, non si preoccupa per noi», dice Salvatore mentre sistema la sua bancarella di detersivi. «Ci stanno levando il futuro, mi chiedo che senso ha andare a votare».

Un futuro che soprattutto per i minori è difficile. Roberto (nome di fantasia) ha 14 anni. Occhi scuri, sguardo triste. Quest'anno andrà a scuola solo quando potrà perché «la mia famiglia ha bisogno che io lavori, devo portare i soldi a casa. Mio padre mi dice sempre 'ma che ci vai a fare a scuola?'. Non so cosa farò ma qualcosa m'inventerò».

La dispersione scolastica, seppur diminuita rispetto agli anni precedenti, a Brancaccio continua ad essere un problema. Le frequenze irregolari segnalate al Comune di Palermo nello scorso anno scolastico sono state 244, 11 gli abbandoni e 6 le evasioni. I numeri non possono essere precisi perché non tutti i casi vengono resi noti agli uffici comunali. La Sicilia è maglia nera in Italia con il 21,2 per cento di dispersione scolastica. La media italiana si attesta al 12,7 per cento.

«È forte l'idea di andare a lavorare piuttosto che formarsi. C'è una dispersione che troppo spesso si trasforma in abbandono. Il disagio socio-economico diventa prioritario e molti bambini vanno a lavorare. Nella mia scuola ci sono ragazzi che non hanno la colazione, non hanno vestiti adeguati. A Brancaccio mancano centri aggregativi, c'era un progetto inviato alla presidenza del Consiglio rimasto lettera morta», spiega Domenico Buccheri, vicepreside della scuola media “Padre Pino Puglisi”.

E sul decreto Caivano che prevede l'arresto per i genitori che non mandano i propri figli a scuola Buccheri è netto: «Non è la soluzione. Questo approccio repressivo non serve. Già interi nuclei familiari che commettono reati vengono azzerati dalle forze dell'ordine e spesso i figli si trovano da soli. Io credo che sia più utile investire sulla rete di assistenza sociale ancora inadeguata».

Intanto è passata la giornata del ricordo, dell'antimafia dei pennacchi e della retorica. Artale lo sa bene. «In trent'anni non ho mai trovato un'area politica che abbia voluto esaminare e risolvere realmente un problema a Brancaccio. Terminata la commemorazione si spengono i riflettori e i problemi rimangono. Degli slogan siamo stanchi. Don Pino Puglisi ha segnato la strada da percorrere ma non possiamo perdere altro tempo. Brancaccio non ha più pazienza».

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