«Le prove di Israele non sono prove». Hannoun, perché i giudici avevano archiviato (due volte)

Due archiviazioni. Una vent’anni fa, nel 2006, e l’altra nel 2010. Contro il leader pro Pal in Italia, Mohammad Hannoun, oggi agli arresti per presunti finanziamenti ad Hamas, sono state aperte inchieste nel corso del tempo sempre con la stessa accusa. Che non ha mai retto davanti ai giudici delle indagini preliminari. In particolare nel 2010, a leggere le carte, è lo stesso pubblico ministero a chiedere l’archiviazione. Il motivo? Le prove di Israele, quelle raccolte e alla base dall’impianto accusatorio, non sarebbero prove tout court. «Tutto ciò a prescindere dalla difficoltà, in alcuni casi, impossibilità di utilizzazione del materiale trasmesso dallo Stato di Israele, spesso raccolto nel corso di vere e proprie operazioni militari, pertanto senza l'osservanza dei principi fondamentali che regolano l'acquisizione delle prove nel nostro ordinamento», scrive la pm Francesca Nanni dieci anni fa rivolgendosi al gip Maurizio De Matteis, che dunque archivia. «I pm hanno riscontrato gli atti israeliani?». Hannoun e i dubbi sulle prove di Tel Aviv «Dall'analisi del copioso materiale raccolto risulta peraltro che l'indagato abbia sicuramente svolto anche attività di carattere esclusivamente umanitario nei confronti di altre categorie del popolo palestinese al fine di migliorarne le condizioni di vita, e proprio dalla inscindiblità, allo stato degli accertamenti svolti, delle due condotte deriva uno degli argomenti più forti che si oppongono al rinvio a giudizio», si legge nelle tre pagine di richiesta di archiviazione. E ancora: «Non risulta che il denaro o i beni inviati dal nostro paese siano stati impiegati per scopi diversi dalla assistenza alle famiglie dei deceduti, ad esempio per acquistare armi o esplosivi». Nel 2006, analogamente, come già raccontato da Domani, è sempre il gip De Matteis a sottolineare l’estraneità di Hannoun rispetto ad Hamas. «In questo carente cotesto probatorio assumono scarsa validità indiziante le frequentazioni dei due (Hannoun e un altro indagato, ndr) e le loro manifestazioni di simpatia verso Hamas, ove si consideri da una parte il loro ruolo di eminenti personaggi della comunità palestinese in Italia e dall'altro T'importanza crescente di Hamas nella comunità palestinese stessa, sancita dalla sua recente vittoria elettorale in Palestina. In altre parole, non stupisce che due eminenti militanti della causa palestinese, come gli indagati, frequentino esponenti di quello che è oggi il più importante gruppo palestinese e ne apprezzino in qualche modo i risultati politici. Ciò tuttavia non costituisce indizio sicuro della loro appartenenza ad Hamas», scrive appunto il giudice delle indagini preliminari. Nuove prove contro Hannoun. A destra parte lo sciacallaggio Che continua: «Alla luce delle considerazioni che precedono deve innanzitutto escludersi che il "sistematico sostegno economico alle famiglie di attentatori" (svolto peraltro nel caso in esame non direttamente, ma attraverso la mediazione di altre associazioni umanitarie operanti in Medio Oriente) integri ex se il reato di partecipazione e finanziamento di associazione dedita al terrorismo internazionale, e questo non tanto perché i familiari in questione siano terzi rispetto alle associazioni criminose e ai loro associati». Oggi la storia si ripete: nuove accuse sono state mosse ad Hannoun dalla procura di Genova insieme a quella nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo. Le contestazioni riguardano, ancora una volta, i presunti finanziamenti all’organizzazione terroristica attraverso società di beneficenza. E il quadro indiziario è frutto dei dossier trasmessi, in base alla cooperazione giudiziaria, da Tel Aviv all’Italia. Questa mattina Hannoun vedrà la gip del tribunale ligure per le sue dichiarazioni spontanee. Il 14 gennaio attesa l’informativa del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in Aula. «Hannoun è di Hamas». Così le associazioni benefiche finanziavano «attività militari terroristiche»