Tutti abbiamo un destino. Pecco Bagnaia il suo lo sentì sgasare mentre andava ancora alle elementari. A raccontarlo è stata la sua maestra. Un giorno, durante l’intervallo, Pecco se ne uscì con l’idea che gli avrebbe cambiato la vita: «Sogno di far parte della squadra di Valentino Rossi».

Oggi, quasi vent’anni più tardi, siamo qui a dirci che Pecco è l’erede di Valentino. Non solo perché va veloce in moto o perché sta per vincere il suo secondo titolo di campione del mondo di fila in MotoGp con la Ducati (se la vedrà nel week-end a Valencia contro Martín). L’eredità di Pecco sta nel talento.

Certe volte lo sport rischia di essere una gabbia per la retorica. E dei discorsi che si ripresentano a ogni nuovo campione, quello della predestinazione è il più utilizzato. Bagnaia, però, è davvero un predestinato, uno dei pochissimi degni di entrare nel pantheon di chi già sapeva. Sofia Goggia scrisse in un tema che da grande avrebbe vinto le Olimpiadi. Più di vent'anni prima, in una scuola di Prato, la stessa domanda portò identico svolgimento da parte dell'alunno Jury Chechi, futuro signore degli anelli. E anche Valentino non avrebbe potuto mai essere altro.

Sono impulsi che arrivano dal futuro e che questi atleti hanno avuto la fortuna e il coraggio di (in)seguire. Pietro, il padre di Bagnaia, non lo voleva motociclista: lo immaginava fantino. «Io sono appassionato di cavalli, di moto non ci ho mai capito così tanto. In verità ci ho provato con tutti i miei figli, ma non c’è stato verso. Pecco ha fatto tutto da solo».

L’infanzia

Nella vita di Bagnaia le moto ci sono sempre state. Le sentiva dentro. Una volta Pietro lo portò a un evento, una fiera con motori dappertutto, «Pecco sembrava letteralmente impazzito: io non ho mai visto una luce così negli occhi di un bambino», ha raccontato. «Era piccolissimo, ma aveva già deciso». È su quella magia che Bagnaia ha affinato il suo talento. La prima motoretta la portò il Natale, era il 2005. «Papà e mamma mi dissero: “Pecco, andiamo in garage. Babbo Natale è passato anche di lì”. C’era una moto minicross bianca e blu con un fiocchetto stretto sopra. La guidai d’istinto nel giardino di mia nonna. Non senza qualche rischio».

L’istinto è una delle grandi qualità di Bagnaia. La stessa che aveva il Dottor Rossi, anche se lui sapeva tramutarla in show. Entrambi l’hanno sempre abbinata al puntiglioso studio della componentistica. Alla Ducati ufficiale, dove Bagnaia è sbarcato come messia nel 2021, dicono che rasenti la perfezione. Ne capisce di calcolo e di bulloni. Persino Mattarella, l’anno scorso, quando Pecco fu ricevuto al Quirinale per festeggiare il titolo in MotoGP, gli chiese di spiegargli il funzionamento della moto.

Della grande precisione di Bagnaia non ha mai fatto un segreto Cristian Gabarrini, il suo capotecnico a Borgo Panigale. Secondo i dati, Pecco è tra i piloti che frenano di più e meglio. «Quindi ha imparato molto rapidamente. È difficile vederlo fare lo stesso errore due volte». E ancora: «Ha trovato il modo di far funzionare meglio la moto, che è sempre stato il punto debole della Ducati. Non perfettamente, ma meglio dei vecchi piloti». Eppure, in questa forma di precisione abbinata alla velocità, l’apoteosi di Pecco sta nella capacità di sfruttare il momento. È stato Gabarrini a dirgli: «Se vuoi combattere per vincere, devi adeguarti».

La testa

Quella con Martín in questo 2023 è dunque una sfida di nervi, non solo di chi mette davanti la moto. Nervi che Bagnaia ha sempre saputo tenere a freno. Pare che alzare la voce con Pecco sia impossibile. «È veramente un bravo ragazzo e anche quando combina qualcosa ha quel modo lì, che gli perdoni tutto. Anche a scuola era bravo, ha fatto il suo percorso scolastico senza particolari problemi», ha raccontato ancora Pietro.

Calmo, pacato, riflessivo. Gli amici lo hanno sempre descritto come un ragazzo tranquillo, uno di quelli con cui è dura arrabbiarsi: «Pecco non è sopra le righe neanche quando sta sopra le righe: è un talento tutto suo. Ha quella semplicità lì che ti disarma». L’unica volta che ha confessato di essere consumato dall’ansia è stato un anno fa, era novembre come adesso. Disse: «Obiettivamente, domani potrei vincere il titolo». Era la vigilia dell’ultimo gp, aveva 23 punti di vantaggio su Quartararo. «Da venerdì non riesco a mangiare molto. Per fortuna dormo bene. Ma sono umano: emotivamente sensibile».

Già campione del mondo di Moto2 nel 2018, Bagnaia non ha mai prevaricato nessuno. Tanto meno Bezzecchi, l’amico-rivale con cui sarà bagarre nei prossimi anni. «Siamo due amici che diventano rivali in pista». Una delle cose che più lo incuriosiscono è la cucina (ricetta preferita: spaghetti all’amatriciana con pancetta e pecorino). Il padre gestiva alcuni ristoranti e «sono sempre stato affascinato dalla dedizione delle persone che preparavano il cibo. Ho sempre coltivato questa passione».

È il ragazzo della porta accanto. Anche se la sua porta ideale apre sul paddock. E dentro ci sono sempre le persone che più contano per lui: il padre, la mamma Stefania, la fidanzata Domizia e la sorella Carola, che lo aiuta anche a curare l’immagine.

Il non-personaggio

A Chivasso, dov’è cresciuto, ha ancora il giro di amici della scuola che ha frequentato, gli stessi che hanno messo in piedi il suo fan club. L’affetto, la famiglia, gli amici: sono sempre stati componenti essenziali nella vita di Pecco. Ha tatuaggi tribali perché «hanno molti significati, tantissimi valori. Dentro si intrecciano la famiglia, il rispetto, la forza, la protezione. Tutte cose che contano, contano davvero».

E poi c’è il mito, naturalmente. Lui: Valentino Rossi. «Ricordo molto bene la prima volta che l’ho incontrato. Stavamo cenando e Vale entrò nel ristorante. Ero molto nervoso di incontrare il mio idolo, era strano vederlo di fronte a me e stringergli la mano».

Aveva diciassette anni quando Vale e il suo braccio destro Uccio si presentarono da lui per portarselo nell’Academy VR46, quella che ha plasmato Pecco e tanti altri piloti. Le cose per Bagnaia non stavano andando granché, all’epoca correva per il Team Italia. Fu l’unica volta che Pecco confessò al padre di volersi ritirare. Quando la VR gli fece la proposta, Pietro e suo figlio non ci pensarono due volte. «Credevano molto nel talento di Pecco, ma che lo vedevano tremendamente triste e mi parlarono della VR46».

Vivere con Valentino e con gli altri piloti dell’Academy è stato un romanzo di formazione. Motociclistico e di vita. Le gare al ranch, le serate, i consigli. Vale & Friends. Ma con Pecco il feeling è stato speciale. Diversi, quasi un’antitesi. Vale luminoso, Pecco pensieroso. Vale divertente, Pecco riflessivo.

Leader, però, lo sono tutti e due. Bagnaia gli ha chiesto di fargli da coach, Vale ci sta ancora pensando. Ma una cosa è sicura: «Lui è il mio idolo fin da bambino. Mi ha insegnato a rimanere calmo, a stare tranquillo, a cercare di godere ogni momento e a festeggiare quando è il momento di festeggiare. La sua tranquillità e la modestia sono le cose più importanti che lo hanno caratterizzato». Insieme a quella faccenda del destino, che sa sempre cosa c'è dietro la curva.

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