Il 25 luglio è senza dubbio uno dei luoghi della memoria dell’Italia contemporanea. Ma al contrario  di altre date il suo significato appare ancora oggi sfuggente. Quel giorno Mussolini è stato sconfessato dal gran Consiglio del fascismo. È stato arrestato per ordine del re Vittorio Emanuele III ed è stato sostituito dal maresciallo Pietro Badoglio.

Quel giorno è finito il regime avviato nel 1922. Molte pagine buie, come quelle riguardanti il partito nazionale fascista o il tribunale speciale sono state girate.Ma la guerra al fianco dei tedeschi è continuata; le leggi razziali sono rimaste in vigore e sono proseguite le repressioni.

E poi, dopo l’8 settembre 1943, sono tornati sia Mussolini che il fascismo e al conflitto militare si è aggiunta una terribile guerra civile.

Dietro al 25 aprile

La vera liberazione è arrivata solo dopo il 25 aprile 1945.

Quelle due date hanno quindi oscurato il significato del 25 luglio, che è rimasto la soglia di un limbo, i cosiddetti 45 giorni: un intermezzo in cui l’Italia ha smesso di essere quello che era, senza divenire ancora qualcos’altro.

In realtà l’ordine del giorno Grandi, l’udienza a villa Savoia, il comportamento di Badoglio sono stati da subito molto discussi.

Gli stessi attori hanno cercato di ricostruirli in modo dettagliato e anche di  razionalizzarli a posteriori; poi si sono ritrovati a discuterne in tribunale a Verona, dove cinque di loro sono stati condannati a morte e quelli che sono sopravvissuti sono stati più volte chiamati a risponderne davanti al tribunale della storia.

Il risultato è stato un evento sovrarappresentato, ma proprio per questo oscurato da molteplici  cortine di fumo, sparse ad arte dai protagonisti. In  assenza di documenti decisivi, ciascuno ha offerto la propria versione, e spesso più d’una nel corso del tempo, a seconda delle circostanze.

Come ravvisato da Emilio Gentile in apertura del suo volume del 2018, il migliore disponibile sul tema, ne è scaturita una specie di Rashomon: con Grandi e Federzoni, i due principali responsabili, che si contraddicono più volte; con Mussolini, protagonista suo malgrado, che prima non oppone resistenza, poi addebita ai colpevoli la caduta del regime; e con il re, l’eminenza grigia, che appare il più consapevole di quello che sta facendo, ma anche il più restio ad ammetterlo.

E alla fine della guerra si susseguono le rivelazioni di altri partecipanti, testimoni e osservatori, spesso pubblicate con intenti scandalistici; compresi alcuni oppositori non del tutto disinteressati, come Bonomi o Sforza. 

Il distacco serve a fare ordine

Di fronte a questo cumulo di memorie la storiografia fa fatica a districarsi e a indagare adeguatamente la questione.

Un primo salto di qualità si registra solo nel ventennale, quando la raccolta di ricordi si fa più sistematica e la distanza temporale comincia a consentire una migliore prospettiva.

In quella stagione esce la prima ricostruzione storica, basata sui documenti: il volume di Gianfranco Bianchi mette al centro il triangolo Vittorio Emanuele, Mussolini, Grandi, che peraltro «dissolvendosi, non salvò il ménage...».

L’autore stesso ammette di aver «lasciato ancora senza risposta qualche interrogativo».

Ma si tratta comunque di una attenta ricostruzione della crisi del fascismo, in cui emergono le incongruenze della diarchia tra duce e re; in cui i gerarchi sacrificano Mussolini per salvare il regime ma ottengono un risultato ben diverso in cui gli italiani perdenti in guerra sono anche politicamente perduti.

Nella fine senza gloria spicca il «repugnante anche se non imprevisto spettacolo dei cangiamenti politici».

Varietà di ricostruzioni

Negli anni successivi la storiografia antifascista prosegue l’indagine: spiccano il volume di  Nicola Gallerano, Luigi Ganapini e Massimo Legnani,L'Italia dei quarantacinque giorni, ricchissimo di documenti ancora oggi imprescindibili; e la biografia di Badoglio di Piero Pieri e Giorgio Rochat, che svela tutte le ombre del personaggio.

A questa linea interpretativa si contrappone a partire dal trentennale quella sviluppata da Renzo De Felice nel suo Mussolini, ma anche nei numerosi prodotti audiovisivi (segnalo il documentario Tragico e glorioso ‘43) e nella ripubblicazione delle memorie dei gerarchi, soprattutto quelle di Grandi e Bottai.

La svolta politica degli anni novanta segna anche una riconfigurazione della memoria pubblica, in opere collettive come I luoghi di memoria (Laterza, 2010) o il Dizionario del fascismo (Einaudi, 2002) si allarga il quadro dal colpo di stato all’Italia del 1943.

Mimmo Franzinelli aggiunge le voci dei gerarchi critici, come Augusto Turati; e quelle degli antifascisti, come Emanuele Artom, Giaime Pintor, Ranuccio Bianchi Bandinelli.

Ricorda anche l’eccezione costituita da Manlio Morgagni, il direttore della agenzia Stefani, che si suicida per coerenza, in un mondo pieno di illustri voltagabbana, dal grande invalido Carlo Delcroix al ministro dell’Educazione Leonardo Severi che rinnega il suo mentore Gentile.

Nicola Tranfaglia ricostruisce la crisi di consenso del regime, dalle leggi razziali all’ingresso in guerra, dalle sconfitte militari agli scioperi del marzo 1943, mettendo a fuoco le reazioni negative dell’esercito e del partito, poi fatte convergere dall’iniziativa del re (ma solo dopo il fallimento dell’incontro tra Hitler Mussolini a Feltre).

Giovanni De Luna esamina il doppio registro dell’azione di Badoglio: da un lato l’incompleta ma ostentata defascistizzazione, si pensi ai commissariamenti, alla sostituzione dei prefetti o alla commissione d’inchiesta contro gli illeciti arricchimenti; e dall’altro la stretta repressiva, attraverso l’azione di Senise e Roatta, che impegna 11 divisioni su 17 nell’ordine pubblico, trascurando completamente di limitare i già avanzati piani di invasione tedeschi.

Consapevoli del passato

Negli ultimi vent’anni si sono poi messe a fuoco la strana defascistizzazione, definizione di Dianella Gagliani; le timidezze verso la questione ebraica (Michele Sarfatti); la dittatura monarchica imposta dal re e da Badoglio, a loro volta divisi dall’atteggiamento verso i partiti, ancora a metà agosto il sovrano accusa il maresciallo di improbabili eccessi antifascisti.

Vari studi locali, promossi soprattutto dagli istituti della resistenza della rete Parri, hanno ricostruito le drammatiche stragi di civili compiute dalle forze armate, a partire da quelle di Bari e Reggio Emilia.

La disponibilità delle fonti tedesche e alleate, ma anche di quelle sovietiche e vaticane, ha consentito un nuovo approccio alle relazioni internazionali, nel quale spiccano le tesi, recepite in Italia da Eugenio di Rienzo, circa i progetti di pace separata tra Hitler e Stalin e i loro effetti sulle dinamiche interne al fascismo. 

Si arriva cosi al 75° e al già citato libro di Gentile. Un volume che presenta una fonte nuova (gli appunti della riunione del gran Consiglio nelle carte Federzoni); una tesi forte, l’eutanasia del duce, ma che ha ricevuto finora più attenzione sui giornali che nelle aule universitarie.

Notevoli comunque le pagine sulle ipocrisie e i veri e propri voltafaccia di Grandi e Federzoni, sulle titubanze e gli opportunismi del re, sul disorientamento di Mussolini, fino al ricorso all’ultima carta rappresentata dalla cessione tattica della leadership militare, poi però vanificata dalla slealtà del sovrano.

Ma forse il filone più ricco è rappresentato in questa ultima fase dagli studi sulla giornata del 25 luglio come svolta simbolica, in cui gli italiani, singolarmente e collettivamente, si trovano a doversi ripensare di fronte alla caduta dei riferimenti del ventennio.

Il “carnevale di Mussolini” (Filippo Colombara) diventa cosi un punto di osservazione privilegiato per studiare l’identità nazionale dentro e oltre il fascismo, come sta facendo Joshua Arthurs. Lo studioso americano ha in uscita una monografia tutta dedicata a emozioni e rappresentazioni degli italiani dei 45 giorni, che vede nel 26 luglio una sorta di day after, cioè un punto di osservazione privilegiato per una prima storicizzazione del regime, antecedente alle turbolenze del ‘43-‘45.

Già il 27 luglio 1943 Benedetto Croce nei suoi diari esorcizzava  il fascismo come un fatto da relegare ormai al passato; ma ancora oggi, quasi 80 anni dopo, l’Italia non pare averci fatto pienamente i conti. L’unica epurazione, peraltro imperfetta, ha riguardato la stagione della Repubblica sociale; d’altronde la resistenza ha rappresentato per molti un modo per riscattarsi, per altri un alibi dietro cui nascondere le colpe del ventennio.

Le molte “pastasciutte antifasciste”, sorte per replicare e rinnovare quanto avvenuto a casa Cervi nel luglio 1943, sono dunque una buona occasione per festeggiare senza dimenticare, ma anzi chiamando gli italiani, tutti noi, a farsi carico di quell’ingombrante passato.

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