Il 2 agosto 2017 la procura di Trapani aveva disposto il sequestro della nave Iuventa. I magistrati avevano sottolineato subito che non era in discussione il carattere “umanitario” di quelle azioni. Nessun profitto o interesse segreto, nessuna partecipazione ai complotti della “grande sostituzione”, tema caro alla destra radicale. Per il pm che aveva condotto le indagini nella fase iniziale, le violazioni della legge sull’immigrazione che venivano contestate alla ong tedesca Jugend Rettet non avevano come obiettivo quello di far lievitare bilanci privati. Sono passati quattro anni e nei giorni scorsi i pubblici ministeri Brunella Sardoni e Giulia Mucaria, oggi titolari delle indagini, hanno concluso la fase istruttoria. Ribaltando quelle prime considerazioni del collega Andrea Tarondo e inserendo nei capi provvisori d’imputazione l’accusa di aver agito anche per profitto.

Contro la procura

Salvare per profitto. Una tesi sostenuta anche nella recente indagine a carico della nave Mediterranea, di proprietà di una ong italiana, sequestrata dalla procura di Ragusa. In questo caso i magistrati hanno contestato una fattura da 125mila euro emessa dalla ong nei confronti della società di trasporto marittimo Maersk Tankers. Un pagamento avvenuto molto tempo dopo che Mediterranea era intervenuta per trasbordare 27 migranti naufraghi salvati dalla nave Etienne, di proprietà della compagnia danese. La società, che nel 2020 ha fatto registrare un utile netto di quasi 3 miliardi di dollari, appreso dell’inchiesta ha diramato un comunicato durissimo: «Una volta salvati, i migranti e l’equipaggio sono rimasti bloccati per 38 giorni senza che alcuna autorità consentisse alla nave di fare scalo in un porto sicuro per sbarcare le persone soccorse. Dopo diverse richieste di assistenza rimaste inascoltate la situazione, dal punto di vista umanitario, è diventata disastrosa».

È a quel punto che Mediterranea è intervenuta e «mesi dopo l’operazione di salvataggio», sottolinea il comunicato della compagnia, «Maersk Tankers ha incontrato i rappresentanti di Mediterranea per ringraziarli per la loro assistenza umanitaria. A seguito di questo incontro abbiamo deciso di dare un contributo a Mediterranea per coprire parte dei costi sostenuti a seguito dell’operazione».

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A Trapani invece, se da una parte esce ridimensionata la vicenda della ong tedesca Jugend Rettet proprietaria della nave Iuventa – con la contestazione di solo tre salvataggi e la riduzione da dieci a quattro del numero di indagati – entrano nell’indagine le organizzazioni umanitarie Save the Children e Medici senza frontiere. I magistrati contestano la violazione della legge 231 sulla responsabilità delle società, chiamando le ong a rispondere per l’azione del proprio personale, accusato di falso.

Secondo la procura i volontari avrebbero inviato al centro di coordinamento dei soccorsi della Guardia costiera italiana (Imrcc) comunicazioni non corrispondenti alla reale situazione delle operazioni di salvataggio «nell’interesse e a vantaggio della ong che così otteneva maggiore visibilità pubblica e mediatica, con conseguente incremento della partecipazione – anche economica – dei propri sostenitori dato il costante impiego della nave nei numerosi eventi di soccorso». In altre parole alcuni interventi di recupero dei naufraghi tra il 2016 e il 2017 sarebbero avvenuti per ottenere più fondi dai donatori.

C’è anche un’altra accusa nella comunicazione della chiusura delle indagini notificata nei giorni scorsi a 21 indagati. Gli inquirenti siciliani sostengono che la nave Vos Hestia, affittata da Save the Children, sarebbe stata impiegata «per il fine esclusivo di ricerca e soccorso in mare». Ovvero per un obbligo di legge, previsto dai trattati internazionali, secondo cui tutti i natanti devono salvare i naufraghi.

Per i magistrati di Trapani, però, l’attività della organizzazioni non governative impegnate nel recupero in mare dei migranti su gommoni a rischio di affondamento non sarebbe prevista «dall’ordinamento giuridico italiano per le navi private e non contemplata nelle certificazioni statutarie». Il salvataggio dei migranti, in altre parole, rimarrebbe un’esclusiva dello stato. O della Guardia costiera libica che si limita a riportare i migranti salvati nel paese nordafricano effettuando, di fatto, un respingimento. E questo nonostante, in più occasioni, la Libia sia stata definita dagli organismi internazionali come un luogo non sicuro per i migranti e quindi non idoneo ad accoglierli dopo un naufragio. E se né lo stato né le motovedette libiche intervengono? Questa ipotesi nell’atto d’accusa non è neppure contemplata.

La santa alleanza

L’anno zero della lunga campagna contro le ong portata avanti dalle destre italiane ed europee, è il 2017. A ottobre 2016 la fondazione olandese Gefira accusa gli operatori umanitari di agire come trafficanti di uomini. Qualche mese dopo, a dicembre, il Financial Times pubblica alcuni stralci di documenti Frontex (oggi l’Agenzia europea è sospettata di aver compiuto respingimenti illegali) dove si ipotizza una connivenza tra le milizie libiche e le organizzazioni umanitarie. Le ong vengono accusate di operare in mare in coordinamento con i trafficanti di migranti. Pochi mesi dopo un giovane studente di comunicazione di Torino, Luca Donadel, rilancia il dossier di Gefira, pubblicando un video con le rotte delle navi delle ong.

Il comitato Schengen del parlamento italiano, presieduto nel 2017 da Laura Ravetto (passata recentemente da Forza Italia alla Lega di Matteo Salvini), avvia una serie di audizioni partendo dall’articolo dello sconosciuto studente torinese, ripreso nel frattempo dalle testate Mediaset. Ma proprio in parlamento arriva una autorevole smentita alle accuse lanciate contro le ong: l’ufficiale della Guarda costiera Nicola Carlone spiega che non esiste alcuna correlazione tra l’aumento dell’arrivo dei migranti e la presenza delle imbarcazioni umanitarie nel Mediterraneo centrale. E aggiunge un ulteriore dettaglio: tutte le azioni svolte fino ad allora dalle ong erano avvenute in pieno coordinamento con la Guardia costiera italiana.

Nell’estate del 2017 Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 stelle rilanciano le accuse di Gefira amplificate anche da diversi blog dell’estrema destra come ZeroHedge. Luigi Di Maio parla di «taxi del mare», Matteo Salvini sposa la tesi della «grande sostituzione», teoria complottista nata all’interno della nuova destra francese. Giorgia Meloni chiede blocchi navali e l’affondamento delle navi umanitarie. A fine luglio l’organizzazione di estrema destra Generation identitaire, sciolta nei giorni scorsi dal governo francese per istigazione all’odio razziale, lancia l’operazione “Defend Europe”, dando la caccia alle imbarcazioni delle ong con la nave C Star.

I contractor amici

In questo contesto arriva il sequestro della nave Iuventa e la prima indagine giudiziaria dei confronti delle organizzazioni umanitarie. Il fascicolo viene aperto dopo la segnalazione di un gruppo di operatori della sicurezza privati, ingaggiati dall’armatore della Vos Hestia, la nave utilizzata da Save the Children. Secondo la denuncia in diverse occasioni i volontari della Iuventa avrebbero agito in accordo con i trafficanti libici.

Prima di inviare l’informazione in procura, almeno due operatori avevano contattato la segreteria di Matteo Salvini e spedito un rapporto via email all’Aise. Intercettati su richiesta del pm di Trapani Tarondo, due contractor commentavano riferendosi a Save the Children: «Li hanno salvati loro per mare per farsi dare più soldi e donazioni». Parole, nessuna prova. Tanto è bastato per diventare la tesi su cui fondare il gran finale dell’indagine della procura.

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