La logistica nelle feste: chi lavora anche a Natale, rendendo possibili le celebrazioni altrui

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è il fantasma del natale presente. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Oriocenter è uno dei simboli più evidenti della trasformazione del consumo in Italia. Nato nel 1998 e ampliato nel 2017, si estende oggi su oltre 105mila metri quadrati, ospita più di trecento negozi, decine di punti ristoro, sale cinematografiche e migliaia di posti auto. Un'infrastruttura imponente, pensata per funzionare come una città autosufficiente, capace di attrarre ogni giorno flussi continui di persone. Proprio questa dimensione, quasi urbana, rende ogni sua scelta operativa un fatto che va oltre il commercio. Nel dicembre 2017, pochi mesi dopo l'apertura della nuova ala che l'ha portato a diventare il centro commerciale più grande d'Italia, Oriocenter finì al centro di un acceso dibattito pubblico: la decisione di mantenere aperta l'area food anche nei giorni di Natale e Santo Stefano scatenò proteste sindacali, prese di posizione sui giornali locali e un'ondata di indignazione sui social network. Le sigle del commercio denunciano quella scelta come una forzatura simbolica prima ancora che economica: lavorare nei giorni delle feste significava sottrarre tempo alle famiglie, normalizzare un'idea di consumo senza interruzioni, spostare ancora più avanti il confine tra tempo privato e tempo di lavoro. Le proteste non portarono a un passo indietro, ma il tema entrò con forza nel dibattito pubblico. Natale tra tavole reali e inventate: quando il cenone serve al plot Il natale lontano dalla narrazione dominante Oggi, nel 2025, lo scenario si ripete quasi identico sul piano dei fatti, ma radicalmente diverso sul piano della reazione. Oriocenter ha annunciato l'apertura dell'area food nella serata del 25 dicembre e di tutti i negozi il 26 dicembre, con una comunicazione essenziale sui propri canali. Nessuna mobilitazione sindacale, nessuna polemica sui quotidiani locali, nessuna indignazione collettiva. I commenti scorrono senza attrito, segno che l'eccezione è diventata abitudine. È in questa normalizzazione che si rivela l'altra faccia del Natale contemporaneo. Mentre milioni di italiani si siedono a tavola, centinaia di migliaia lavorano perché quella tavola possa esistere: cucine operative, turni che si allungano, consegne da rispettare, servizi che non si fermano. Per loro il Natale non coincide con un pranzo che finisce tardi, ma con una presenza richiesta, spesso silenziosa, ormai data per scontata. È un Natale vissuto altrove, lontano dalla narrazione dominante, che raramente trova spazio nel racconto pubblico, proprio perché è diventato parte integrante - e invisibile - del nostro modo di consumare. Nella ristorazione il Natale non è mai stato un giorno come gli altri: le feste rappresentano in modo chiaro e significativo un incremento di lavoro e, quindi, di guadagno. È molto raro trovare un locale chiuso il 25 dicembre, oggi come dieci o vent'anni fa. Le feste nelle Rsa: il panettone non basta, ma senz’altro aiuta Chi non conosce pause Poi ci sono i ristoranti dei centri commerciali, una categoria spesso dimenticata, che continuano a lavorare persino la sera di Natale o di Santo Stefano, all'interno di spazi illuminati e climatizzati che non conoscono pause e che assorbono manodopera giovane, quasi sempre sottopagata, spesso invisibile. Qui il Natale non entra, se non sotto forma di playlist e decorazioni: il ritmo è quello di sempre, con un'intensità che non concede tregua nemmeno in quei giorni. Accanto alla ristorazione c'è il mondo della logistica del cibo, che rappresenta l'infrastruttura meno romantica – ma ancor più indispensabile – della nostra convivialità. Mentre le famiglie tolgono il coperchio ai tortellini in brodo, c'è chi guida per ore tra magazzini refrigerati, chi garantisce che l'ultimo carico possa partire comunque, chi monitora temperatura, cadenze, itinerari, perché la filiera non può permettersi un fermo, nemmeno a Natale. La festa impone paradossalmente un surplus di attività: più ordini, più prodotti da distribuire, più scorte da garantire. Più responsabilità e meno tempo per sedersi a tavola. Secondo un'elaborazione di Osservatorio Assolavoro Datalab, nel 2024 le festività natalizie (in particolare i soli giorni del 25 e del 26 dicembre) in Italia hanno generato oltre 40mila posti di lavoro tra magazzinieri, mulettisti e addetti al picking, lavapiatti, aiuto cuochi e camerieri. E se si prende in esame il periodo novembre-dicembre 2024 il numero di opportunità di lavoro nate nel solo settore della somministrazione vendita addirittura a 150mila. Il Natale in carcere fa soffrire e consola: tra cibo, condivisione e momenti malinconici Festa della responsabilità Il Natale lavorato è un'esperienza sotterranea, spesso taciuta. Chi la vive raramente la racconta: c'è una forma di pudore, ma anche la consapevolezza che è un lavoro che serve a rendere possibile la festa altruistica. Chi servire, chi consegna, chi produrre, chi presidia i servizi essenziali non si percepisce come protagonista, ma come anello necessario di una catena che tiene insieme la grande messa in scena della convivialità italiana. Eppure, proprio da questo punto di osservazione, il Natale assume un significato diverso. Non è la festa del focolare, ma quella della responsabilità. Non è la lentezza, ma la continuità. Per molti è un giorno in cui il sacrificio personale permette a migliaia di altre persone di vivere un momento di serenità. Raccontare l'altro cenone significa mettere a fuoco questa zona d'ombra, non per pietismo e nemmeno per retorica, ma per dare volto e voce a chi non si vede. Significa riconoscere che mentre un'Italia si discute, ce n'è un'altra che lavora affinché quella riunione avvenga. Significa ascoltare chi ti dice che «il mio Natale è domani, oggi ho turno», e capire che dietro ognuna di queste frasi c'è una storia personale, una scelta economica, un bisogno, a volte una passione, sicuramente un impegno. Natale, per molti, è un tavolo. Per altri è un servizio che continua. Entrambi fanno parte della stessa festa. La differenza è labile, ma significativa: l'uno non esisterebbe senza l'altro. [Missing Caption][Missing Credit]