La vicenda giudiziaria che vede coinvolto il professore dell’università Cattolica di Roma e pneumologo del Gemelli, Luca Richeldi con una richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale aggravata non è ancora chiusa. Durante l’udienza di ieri, l’indagato ha presentato richiesta di patteggiamento con il parere favorevole della procura e la gup di Roma ha rinviato la decisione all’udienza del 3 luglio.

La giudice, infatti, si è riservata di valutare le condizioni proposte dalla difesa, con una pena di 10 mesi e 20 giorni convertiti in pena pecuniaria di 49.50 euro, sospesa insieme alle pene accessorie. Per arrivare a questo calcolo, la difesa di Richeldi ha applicato una serie di attenuanti tra le quali il risarcimento del danno. Per farlo, in udienza ha offerto alla parte offesa - la professionista romana G.P. - 10 mila euro, che sono però stati rifiutati. Sarà la giudice a dover valutare se, anche alla luce del rifiuto, la cifra sia congrua a risarcire il danno e dunque a ottenere l’attenuante.

Durante l’udienza due sono stati i punti in particolare su cui la gup si è riservata la valutazione. Secondo quanto introdotto dalla riforma Cartabia, la pena detentiva può essere sì convertita in pecuniaria, ma non anche sospesa. La difesa di Richeldi ha obiettato che i fatti sono avvenuti prima dell’entrata in vigore della riforma, quindi dovrebbe essere applicata la precedente normativa che prevede la conversione e contestuale sospensione.

Inoltre sono state espresse perplessità sul fatto che la difesa abbia proposto di far svolgere al medico il percorso riabilitativo previsto dalla legge presso il Gemelli, quindi l’ospedale dove lavora, invece che in uno dei centri per uomini autori di violenza (Cuav), che sono strutture convenzionate di cui però il policlinico Gemelli non fa parte.

La posizione della difesa

La linea difensiva del medico è stata quella di scegliere il patteggiamento perchè «questa spiacevole vicenda fino ad oggi ha già avuto una risonanza mediatica spropositata che sarebbe aumentata ulteriormente qualora si fosse celebrato il processo. Preferiamo quindi porre un termine attraverso un accordo e non cercare un’assoluzione in un tempo indefinito», ha detto l’avvocato Ilaria Barsanti. Il patteggiamento, invece, è «una libertà processuale voluta dal legislatore per consentire all’indagato di non sottoporsi ad un processo per anni con conseguente grave danno psicofisico e reputazionale».

Secondo la ricostruzione della legale, «l’ipotesi accusatoria contestata si limita a poco più di un tentativo di bacio» e «tale ipotesi accusatoria, peraltro già smentita dal professor Richeldi, non è supportata da prove». In realtà, il fatto descritto nella richiesta di rinvio a giudizio è decisamente più articolato.

Secondo la denuncia della parte offesa, infatti, Richeldi le avrebbe imposto di subire palpeggiamenti «sotto i vestiti e a contatto con la pelle», poi le si sarebbe gettato addosso «baciandola sulla bocca». Avrebbe continuato anche «dopo che lei si era alzata per sottrarsi alla condotta, esplicitando il suo diniego», infine «le cingeva alle spalle con le braccia stringendole il seno con le mani ed appoggiandosi con il suo corpo contro di lei». L’aggressione sessuale sarebbe avvenuta subito dopo una visita nell’ufficio del medico al Gemelli.

Durante l’interrogatorio del 19 novembre 2023, Richeldi ha confermato di aver visitato la donna, ma che «dopo la visita si è rivestita, abbiamo fatto due chiacchiere, non ricordo se sempre seduti sul divano e se ci siamo anche alzati», è stata la sua ricostruzione, e «la visita in sé sarà durata cinque minuti, poi qualche minuto per salutarsi».

Tuttavia, per sostenere la richiesta di rinvio a giudizio, la pm ha acquisito le chat tra la persona offesa e l’indagato per verificare l’appuntamento e i tabulati telefonici, oltre a una relazione psicologica della donna che ne certificasse lo stato di disagio.

«Parole umilianti»

Oltre a ridurre i fatti a «poco più di un tentativo di bacio», la difesa di Richeldi ha anche spiegato che il patteggiamento è stato scelto anche per «non alimentare il desiderio di visibilità e il protagonismo di chi sfrutta a fini personali la figura di uno stimato e riconosciuto professionista».

Queste parole hanno provocato la reazione della parte offesa, che era presente in udienza e attraverso il suo avvocato ha depositato richiesta di costituzione di parte civile: «I reati vanno chiamati con il loro nome: una violenza sessuale aggravata è una violenza sessuale aggravata, non si può chiamare in altro modo». E ancora, «mi umilia sentir dire che si sia trattato di un solo bacio e non di un aggressione sessuale, all'interno del Policlinico Gemelli», «cercare di sminuire i fatti è mortificante, una violenza nella violenza, e comunque anche un solo bacio senza consenso, frutto di aggressione da parte del tuo medico di fiducia, è violenza sessuale».

Per giurisprudenza ormai consolidata, infatti, rientrano nella fattispecie di violenza sessuale tutti gli atti che violano la libertà sessuale di chi li subisce, anche se non si concretizzano in un atto sessuale. «Così si umiliano tutte le donne che hanno avuto il coraggio di denunciare», ha concluso la donna.

Rispetto al presunto «desiderio di visibilità» della persona offesa, la sua legale Ilenia Guerrieri ha replicato duramente: «Non sono ammissibili né tollerate oltre, volgari insinuazioni sul desiderio di visibilità della vittima del reato di violenza sessuale aggravata dal rapporto di fiducia medico-paziente, così come emerge dalla sola lettura della richiesta di rinvio a giudizio, che ha sempre rifiutato ogni proposta di risarcimento economico e pretende a tutt’oggi l’anonimato». Alla prossima udienza il giudice dovrà quindi decidere se accogliere o meno il patteggiamento.

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