Dati preoccupanti emergono dal rapporto “il male in comune” di Avviso Pubblico, che conferma quanto il fenomeno resti diffuso, soprattutto nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa
«Nei trentacinque anni di applicazione della legge sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, in Italia è stato sciolto mediamente un Comune al mese». È il dato centrale del rapporto “il male in comune” di Avviso Pubblico, che conferma quanto il fenomeno resti diffuso, soprattutto nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa. Ma da questo quadro severo emergono storie di riscatto: Monte Sant’Angelo, sciolto nel 2015, è oggi indicato come un modello nazionale di rinascita grazie ad una partecipazione collettiva al rilancio del comune. Non sempre, però, lo scioglimento basta: in molti territori si torna rapidamente agli stessi assetti e agli stessi amministratori, segno di una fragilità democratica ancora irrisolta.
I dati
Dal 1991 a oggi gli scioglimenti dei consigli comunali per mafia hanno raggiunto quota 402, un numero che racconta quanto il condizionamento criminale continui a insinuarsi nei livelli più vicini ai cittadini. Un fenomeno che, seppur visibile su tutto il territorio nazionale, non appare come uniforme e sembra anzi rispecchiare la tradizionale geografia delle organizzazioni mafiose. Calabria, Campania e Sicilia da sole sommano l’89 per cento dei decreti di scioglimento, percentuale che sfiora il 96 includendo la Puglia.
A essere travolti sono soprattutto piccoli comuni, spesso con organici ridotti e meno strumenti di controllo interno: il 72 per cento degli enti sciolti ha meno di 20mila abitanti, un terzo addirittura sotto i 5mila. Ma la vulnerabilità non riguarda solo le realtà periferiche: quasi il 10 per cento dei provvedimenti colpisce città oltre i 50mila abitanti, segno che le mafie cercano spazi anche nei nodi economici più strategici.
Riscatto
Ma se i dati sembrano poco incoraggianti, negli ultimi anni arrivano segnali diversi da quei territori che, dopo lo scioglimento, hanno scelto di non restare nell’ombra. È il caso di Monte Sant’Angelo, oggi uno degli esempi più citati di rinascita civile. Sciolto per mafia nel 2015, il paese si è ritrovato con un’immagine ferita e una comunità disorientata. Ma invece di lasciare che lo stigma si radicasse, ha avviato un percorso che ha coinvolto non solo l’amministrazione ma l’intero tessuto sociale.
Durante il commissariamento, mentre venivano ripuliti uffici e procedure, è maturata una volontà diffusa di partecipare e ricostruire fiducia. Scuole, associazioni culturali e cittadini hanno iniziato a promuovere incontri, iniziative pubbliche, momenti di confronto. Quando la città è tornata al voto, la nuova amministrazione ha trasformato quell’energia in un progetto condiviso: eventi culturali, percorsi educativi sulla legalità, manifestazioni che hanno riportato le persone nelle piazze e l’apertura di spazi dedicati alla comunità, anche in immobili confiscati ai clan.
Il momento più emblematico è arrivato dopo le intimidazioni mafiose che negli ultimi anni sono tornate a scuotere il comune: migliaia di persone in strada per la marcia “Il silenzio non fa per noi”, un gesto che ha segnato la rinascita di una comunità più consapevole e più unita. Oggi Monte Sant’Angelo è riconosciuta come una delle esperienze più positive del post-scioglimento, perché mostra che la rinascita non passa solo dai regolamenti, ma dalla capacità di un territorio di riconoscersi nei valori della legalità e difenderli insieme.
Le criticità
Ma Monte sant’Angelo, e tanti altri comuni, mostra come un riscatto sia possibile, dal rapporto di Avviso Pubblico emerge anche un dato che non può essere ignorato: 83 enti sono stati sciolti più di una volta. Non solo, «Su 374 Comuni tornati al voto dopo lo scioglimento - scrive il professor Vittorio Mete - 31 sindaci precedentemente rimossi sono stati nuovamente eletti e altri sono rientrati in Consiglio». In molti territori, denuncia Avviso Pubblico, «lo scioglimento è vissuto come una punizione» e la successiva rielezione dei soggetti coinvolti nel provvedimento è l’espressione di un «profondo malessere» e di un diffuso senso di sfiducia nelle istituzioni.
Una mancanza di fiducia in questo strumento alimentata anche dall’assenza, in molti casi, di strumenti e risorse adeguate per rilanciare l’amministrazione. «Spesso - denuncia l’ex magistrato, Pietro Grasso - la commissione che viene chiamata ad amministrare il comune non può far altro che attendere nuove elezioni sperando che i cittadini rinsaviscano e votino bene». Una situazione che mette in evidenza tutti i limiti della normativa sullo scioglimento. Limiti che, sottolinea il Presidente dell'Anac Giuseppe Busia, rappresentano una stortura da curare per «creare un baluardo di democrazia e legalità e ridare ai cittadini la possibilità di partecipare».
Per questo avviso pubblico promuove una revisione della legge con una serie di aggiustamenti che la rendano più efficace: una legge che, secondo Avviso Pubblico, andrebbe ripensata prevedendo una serie di accorgimenti che possano renderla più efficace: dall’istituzione di commissari esperti supportati da task force multidisciplinari; alla prosecuzione del monitoraggio anche dopo le nuove elezioni; fino alla creazione di una “terza via” tra archiviazione e scioglimento, sotto forma di affiancamento per gli enti parzialmente contaminati.
Prevenire, informare e coinvolgere sembrano dunque essere i fari da seguire per restituire autorevolezza e fiducia in questo strumento: Regole nuove, strumenti più efficaci e una visione condivisa tra amministrazioni e comunità locali. Il caso di Monte Sant’Angelo dimostra che è possibile.
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