«Marjan Jamali è assolta da tutte le accuse». Queste le parole del giudice dopo più di tre ore di Udienza al Tribunale di Locri. L’incubo di Marjan Jamali è finito. Ha trascorso 217 giorni in carcere, seguiti da 300 giorni agli arresti domiciliari. Dopo la revoca delle misure cautelari da parte del Tribunale del Riesame, ha dovuto attendere altri 81 giorni per la sentenza definitiva.

Dopo mesi di calvario, di cui cinque giorni nella struttura nota come “manicomio criminale” a Barcellona Pozzo di Gotto, la giovane iraniana può finalmente respirare da donna libera. Marjan Jamali era stata arrestata il 28 ottobre 2023, appena due giorni dopo essere sbarcata sulle coste calabresi insieme al figlio di otto anni, fuggendo dalla violenza domestica e dalla repressione del regime iraniano.

L’accusa era quella di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Nonostante le numerose incongruenze nel caso, Marjan è stata rinchiusa nel carcere di Reggio Calabria fino al 31 maggio 2024, quando il Tribunale del Riesame ha concesso i domiciliari, permettendole di riabbracciare suo figlio. Ma la sua libertà era ancora lontana: per dodici mesi ha vissuto sotto sorveglianza, in attesa di un verdetto che avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita.

«Sono felice, ma mi dispiace per Amir che abbia preso sei anni di carcere (riferendosi al ragazzo che ha fatto il viaggio insieme a lei, ndr)». Queste le prime parole di Marjan dopo la sentenza.

Criminalizzazione degli scafisti

Dall’inizio, il caso di Marjan Jamali ha mostrato tutte le contraddizioni di un sistema che spesso criminalizza le vittime invece di proteggerle. L’accusa si basava unicamente sulle parole di tre uomini, senza alcuna prova concreta. Al contrario, più testimoni hanno dichiarato che Marjan non aveva alcun ruolo nella gestione dell’imbarcazione e che, anzi, aveva cercato di proteggere altre persone dalla violenza degli stessi uomini che l’accusavano. Durante le udienze, il suo avvocato Giancarlo Liberati ha presentato anche la ricevuta del pagamento effettuato dalla famiglia di Marjan a un’agenzia turca per il viaggio verso l’Europa. Un documento che dimostrava chiaramente che la giovane madre era una passeggera e non una trafficante di esseri umani.

Il tribunale ha più volte negato la possibilità di effettuare riprese fotografiche, sostenendo la necessità di evitare un’«eccessiva esposizione mediatica». Tuttavia, all’esterno del tribunale, un gruppo di attivisti dell’associazione “Tre Dita” ha manifestato denunciando la criminalizzazione dei rifugiati politici: «I rifugiati non sono criminali, siamo tutti e tutte scafiste» hanno gridato con forza.

A guidare la protesta, Maysoon Majidi, presidente dell’associazione e attivista Kurda, impegnata nella lotta contro l’Articolo 12 del Testo Unico sull’immigrazione irregolare. Durante il sit-in, ha dichiarato: «I rifugiati non sono criminali. Il termine scafista è una parola vuota di significato. I trafficanti di esseri umani non salgono mai a bordo delle imbarcazioni e non mettono in pericolo la propria vita. Le persone che viaggiano in mare sono rifugiate, costretti ad affrontare questa rotta a causa di minacce alla propria vita nei loro paesi. Il percorso della fuga non è una scelta, ma una necessità. Marjan è vittima delle leggi patriarcali della Repubblica Islamica, come quella che assegna la custodia dei figli alla madre solo fino ai sette anni, dopo di che il figlio passa al padre. Voleva soltanto vivere serenamente con suo figlio di otto anni».

E aggiunge: «Secondo i dati dell’organizzazione per i diritti umani Hana, nel 2024 nel Kurdistan iraniano la sistematica repressione dei diritti civili e politici dei cittadini kurdi si è intensificata e la Repubblica Islamica ha continuato arresti arbitrari, esecuzioni, repressione degli attivisti e repressione di proteste pubbliche nelle regioni del Kurdistan, giustiziato almeno 124 cittadini curdi. Ecco perché siamo qui, per portare la voce della verità al mondo».

Decreto Piantedosi

Questa sentenza non è solo una vittoria per Marjan, ma per tutte le persone migranti che rischiano di essere ingiustamente criminalizzate sulla base di leggi che cercano un capro espiatorio come il Decreto Piantedosi e l’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione. Quest’ultimo, infatti, continua a essere utilizzato per colpire non solo presunti trafficanti, ma anche vittime di tratta e rifugiati politici, trasformando persone in fuga in criminali. Il Pubblico Ministero aveva infatti chiesto sei anni di detenzione per Marjan e il risarcimento di 15.000 euro per ogni persona sull’imbarcazione che ammonta a più di 1.5 milioni di euro.

Oggi, dopo 598 giorni di privazione della libertà, Marjan Jamali può finalmente voltare pagina. Può tornare ad abbracciare suo figlio senza la paura di essere strappata via di nuovo. Può iniziare a costruire una nuova vita lontana dall’oppressione, dal carcere e dalle ingiustizie.

Sono però ancora troppe le persone continuano a essere detenute sulla base di accuse infondate, in un sistema che preferisce trovare capri espiatori piuttosto che garantire un equo processo. In tutto ciò, nel 2024, lo Stato italiano ha speso 26,9 milioni di euro in risarcimenti per detenzioni ingiuste, mentre il sistema carcerario continua a operare in condizioni di grave sovraffollamento.

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