La condanna a 8 mesi per finanziamento illecito del tesoriere della Lega, Giulio Centemero, non è un verdetto di primo grado come un altro. E non è solo faccenda da trattare in aula di tribunale. Per quanto ormai la politica italiana riduca tutto a ciò che è reato e ciò che non lo è, esiste per i partiti una dimensione di responsabilità etica che prescinde dagli esiti penali.

La gestione delle finanze della Lega da quando Salvini è stato eletto segretario nel dicembre 2013 è stata affidata a personaggi che non hanno brillato per trasparenza. E basterebbe questo elemento di opacità, che non è per forza di cose reato, per dare un giudizio politico dell’era Salvini.

Il caso Centemero processato per finanziamenti illeciti è solo uno dei capitoli di una storia che ha molti punti oscuri e ha il suo incipit in una sentenza del tribunale di Genova con cui i giudici dispongono la confisca dei 49 milioni di euro frutto di rimborsi elettorali ottenuti con bilanci taroccati dal vecchio tesoriere Francesco Belsito e dal fondatore Umberto Bossi.

Quando gli investigatori della guardia di finanza hanno iniziato a cercare il denaro sui conti del partito e delle articolazioni locali si sono accorti che non era rimasto granché. Eppure era stato lo stesso Belsito a dire che lui il tesoretto lo aveva lasciato sui conti correnti. Aveva lasciato una Lega Nord ricca, sosteneva l’ex tesoriere, e in ottimo stato di salute dal punto di vista finanziario. E dunque che fine avevano fatto tutti quei milioni? Per provare a dare una risposta dobbiamo fare un passo indietro.

Salvini segretario

15 dicembre 2013, Lingotto di Torino. Il congresso proclama il nuovo segretario della Lega. Con Matteo Salvini il partito poteva voltare pagina, archiviare gli scandali del 2012, le truffe, i rimborsi fasulli, le ruberie di fondi pubblici. Salvini rappresentava il nuovo, il giovane cresciuto con la venerazione di Bossi e le manifestazioni a Pontida.

Da quel momento il segretario ha iniziato a modellare il partito a sua immagine e somiglianza, piazzando i fedelissimi nei posti chiave dell’amministrazione del partito. I ruoli più delicati in quel frangente storico avevano a che fare con la gestione della cassaforte leghista. L’amministrazione finanziaria aveva creato fin troppi problemi fino ad allora. Così Salvini ha scelto Centemero: commercialista esperto, nominato tesoriere, incarico pericoloso nella Lega. Due dei suoi predecessori, Belsito e ancora prima di Alessandro Patelli, hanno dovuto affrontare inchieste giudiziarie e processi sulla gestione dei fondi del partito.

Arrivano i contabili

Centemero, con il consenso di Salvini, decide di ingaggiare due collaboratori esperti: Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, bergamaschi, colleghi commercialisti e vecchi amici di università. I due fanno carriera all’interno della Lega, nominati nei consigli di amministrazione delle società collegate al partito e pure in aziende pubbliche locali o di regione Lombardia.

La loro entrata in scena comporta lo spostamento del baricentro finanziario della Lega dalla storica sede di via Bellerio a Milano a Bergamo, in un’anonima strada centrale della città bassa: in una palazzina al civico 24 di via Angelo Maj, sede dell’ufficio dei professionisti Manzoni e Di Rubba. Qui sono registrate numerose società, alcune schermate da fiduciarie con la testa in Lussemburgo. E qui viene domiciliata l’associazione Più Voci, un organizzazione culturale costituita per promuovere la libertà di stampa. Almeno questa era l’intento ufficiale scritto sullo statuto.

Nella realtà Più Voci, da quando è nata, non ha mai fatto attività pubbliche. Un’inchiesta giornalistica dell’Espresso nell’aprile 2018 aveva rivelato che serviva a incamerare finanziamenti da aziende private, nomi importanti del panorama industriale e imprenditoriale del paese: 40 mila euro sono stati donati da Esselunga, 250 mila euro dal costruttore romano Luca Parnasi (successivamente coinvolti nell’indagine per corruzione sul nuovo stadio della Roma). In un anno e mezzo Più Voci ha raccolto oltre 300mila euro di donazioni private. Questi denari però non rimanevano sui conti dell’associazione, ma finivano a società legate al partito, come Radio Padania, o direttamente controllate dalla Lega, come Mc srl che editava la testata online Il Populista, brand identitario del regno di Salvini.

Soldi pubblici

Con Centemero tesoriere, Manzoni e Di Rubba percorrono parecchia strada. Nel 2018, dopo il trionfo elettorale del 4 marzo, il primo è eletto deputato, mentre i due commercialisti bergamaschi vengono scelti per amministrare i conti dei gruppi parlamentari del partito alla camera e al senato. Ruolo delicato, si maneggiano risorse pubbliche. Nello stesso anno però iniziano a trapelare le prime notizie sulle operazione anomale firmate dalla coppia che godeva della massima fiducia di Centemero e di Salvini, cioè i vertici del partito.

L’operazione Lombardia film commission è l’inizio della fine dei commercialisti che avrebbero dovuto far dimenticare la turbolente stagione dei 49 milioni di euro. Si tratta di una compravendita immobiliare, svelata sempre dall’Espresso, i cui protagonisti sono Di Rubba, Manzoni e un altro professionista, Michele Scillieri, anche lui connesso alla Lega (presso il suo studio era stata domiciliato il nuovo partito sovranista “Lega Salvini premier”). In pratica quando Di Rubba era presidente della fondazione Lombardia film commission, controllata dalla regione, ha deciso di spendere 800 mila euro per acquistare un capannone in provincia di Milano, che però valeva la metà.

La società da cui acquista la fondazione è del giro dei commercialisti e i soldi pubblici versati dall’ente per il capannone finiscono ad aziende direttamente e indirettamente collegate ai leghisti, che di lì a poco avrebbero iniziato a gestire le risorse pubbliche dei gruppi parlamentari. Di Rubba era diventato presidente della fondazione Lombardia film commission per volere del partito, su proposta di Centemero, hanno confermato le indagini della magistratura.

Di Rubba e Manzoni sono stati indagati per peculato e a luglio 2021 condannati in primo grado per l’operazione film commission: il primo a 5 anni il secondo a 4 anni. Salvini fino all’ultimo ha difeso i due professionisti, «di loro mi fido», ha ripetuto. Il giorno della condanna il leader della Lega ha voluto precisare: «La Lega non c’entra nulla».

Tuttavia non è esattamente così. Se è vero che il partito non ha commesso alcun reato nell’operazione film commission, non si può certo liquidare la vicenda a una truffa di due commercialisti qualunque: nel periodo in cui distraevano fondi della regione, amministrata dalla Lega, erano personaggi centrali nel partito con ruoli molto delicati, scelti dai vertici e strapagati dalla Lega, che ha versato allo studio bergamasco e ad altre aziende di Di Rubba e Manzoni quasi 2 milioni di euro in nemmeno tre anni. Soldi del partito. Di una Lega che secondo la narrazione del suo leader era povera e senza più un centesimo da spendere.

Paga la Lega

Subito dopo l’operazione film commission, con l’indagine in corso, Centemero diventa socio d’affari nel nuovo studio di Di Rubba e Manzoni, l’unico ufficio a non essere stato colpito da perquisizioni. Questa nuova società in pochissimo tempo, tra giugno del 2019 e maggio del 2020, beneficia di oltre mezzo milione di euro del partito. Una bella somma per lo studio del tesoriere dello stesso movimento politico.

Il capitolo giudiziario sui commercialisti non è chiuso. Ci sarà il processo d’appello e c’è ancora un’inchiesta in corso a Milano molto ampia di cui il filone Lombardia film commission era soltanto un rivolo.

Possibile che Salvini, il segretario, non avesse contezza di questa emorragia di denaro dal partito diretta a società del giro dei commercialisti? Non stiamo parlando di pochi spiccioli ma di milioni se consideriamo anche le altre sigle che hanno percepito fondi della Lega. O sapeva o gli è stata fatta sotto il naso senza che se n’è accorgesse. In entrambi i casi la responsabilità politica ricade sul leader, pur in assenza di reati contestati.

Certamente Salvini può considerarsi fortunato rispetto a Umberto Bossi. Negli anni di Tangentopoli per un finanziamento di Enimont il tesoriere Patelli non fu il solo a pagare con la condanna, anche Bossi venne processato e ritenuto colpevole.

A distanza di trent’anni da Mani Pulite la storia si ripete. Con una differenza: l’ultimo tesoriere scelto da Salvini è stato condannato a 8 mesi in primo grado per finanziamento illecito, ma il segretario non è mai entrato nel processo né nell’indagine se non per il fatto che quelle donazioni sono servite per organizzare eventi ai quali ha partecipato Salvini.

Centemero per lo stesso reato è stato rinviato a giudizio anche a Roma, accusato di aver usato l’associazione Più Voci per incassare donazioni destinate al partito. Salvini? Lui, naturalmente, non c’entra. Finanziato a sua insaputa.

Ora però ha un problema enorme da risolvere. Le fronde interne marginalizzate in questi anni di grandi successi imputano al segretario il fallimento delle nomine in posti chiave del partito. Il partito sovranista, nato sulle macerie della Lega Nord, avrebbe dovuto far dimenticare i guadi del passato, che invece sembrano ripetersi.

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