Continua con la sua terza puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.

La legalità sarà premiale finché una legge non la renderà normale. David Carlucci, sindaco ad Acquaviva delle Fonti (Bari), spiega le dinamiche con le quali prova ad attuare la metamorfosi "no cap" del tessuto agroalimentatare del suo territorio. «Si parla sempre più di sfruttamento del lavoro nelle campagne, di caporalato, di braccianti che perdono la vita e di tante altre tragedie legate a questi fenomeni. Ma al di là della giusta indignazione, esiste uno strumento concreto che le aziende agricole e le istituzioni possono attivare per neutralizzare criminalità e illegalità nelle campagne». Sono ad esempio le mense scolastiche anti caporalato e il bollino di qualità contro lo sfruttamento dei lavoratori agricoli, che Carlucci sta realizzando nel suo comune.

Una sorta di white list delle aziende agricole virtuose prevista dalla legge 116 del 2014 e dalla legge 199 del 2016 – ovvero la ''Rete del Lavoro Agricolo di Qualità'', istituita presso l'Inps – che in questo caso ha una ricaduta immediata e concreta sulle forniture alimentari delle mense scolastiche del comune. «In attesa della scadenza dei vecchi contratti con le cooperative che gestiscono le nostre mense – spiega Davide Carlucci, che è anche coordinatore dell'Area metropolitana di Bari di Avviso Pubblico – abbiamo inserito una clausola nel contratto che prevede l'uso di prodotti alimentari provenienti da campagne libere da sfruttamento del lavoro. Per ora è un accordo tra la nostra amministrazione e il consorzio ''La Città Essenziale di Matera'', sensibile al tema e che gestisce la mensa del nostro asilo nido. In futuro diventerà un elemento irrinunciabile del capitolato di gara con un meccanismo di premialità».

Ma come funziona esattamente? L'idea è di prevedere un punteggio da assegnare nel bando di gara a chi è iscritto alla ''Rete del Lavoro Agricolo di Qualità''. In assenza di una legge specifica che obblighi le aziende a farne parte e ai comuni di poter inserire l'iscrizione alla Rete come pre-requisito esclusivo all'interno del bando, per il momento è possibile solo prevedere un elemento premiale. «Secondo le norme attuali, infatti, si rischia di discriminare le aziende non iscritte alla Rete, poiché non tutte sono criminali: chi ha semplici ritardi nella contribuzione, ad esempio non può iscriversi, per questo abbiamo deciso di metterla su questo piano», spiega ancora Carlucci, che prima di fare il sindaco ha seguito questi temi come giornalista. La speranza, quindi, è che siano in molti ad affrettarsi per entrare nella white list delle aziende etiche, ma soprattutto che i comuni adottino pratiche amministrative simili a questa per contrastare il mercato del lavoro illegale e lo sfruttamento dei braccianti.

E qualcosa già si muove. Una prima sperimentazione è partita proprio in queste settimane, nonostante le difficoltà legate all'emergenza Covid-19, che obbliga gli enti locali a sforzi straordinari per tamponare lo stallo economico di molte famiglie. Si tratta del progetto ''Le 7 ceste'' dell'associazione “Cuore della Puglia” (una rete di dieci comuni presieduta da Carlucci) per la realizzazione di cesti natalizi solidali con prodotti a chilometro zero, biologici e provenienti da aziende iscritte alla ''Rete del Lavoro Agricolo di Qualità''. «Questo era l'unico vincolo per noi irrinunciabile», racconta ancora il primo cittadino di Acquaviva delle Fonti, soddisfatto del risultato perché «molte aziende agricole del territorio hanno deciso di iscriversi alla Rete e questo significa che la strada segnata è giusta». Le ceste, che contengono prodotti dell'eccellenza locale, sono state donate ai soggetti socialmente ed economicamente più fragili, attraverso realtà come la Caritas o gli empori solidali della rete.

Gli amministratori pugliesi sentono forte il bisogno di agricoltura trasparente, che dia garanzia di tutto quello che viene prodotto e venduto, in una filiera totalmente tracciata anche dal punto di vista dell'etica del lavoro. È necessario difendere chi si spacca la schiena nei campi, ma anche l'intera sopravvivenza di un'economia spesso appannaggio delle agromafie, che fanno dell'intermediazione del lavoro a basso costo la base del controllo del territorio, proiettando un cono d'ombra sull'intero mercato agroalimentare. «La modalità mafiosa si è intrecciata con quella parte di imprenditoria desiderosa di guadagni facili, che sceglie di competere sul mercato attraverso il dumping contrattuale e la concorrenza sleale – spiega Giovanni Minnini, segretario generale della Flai-Cgil – scaricando sui lavoratori il contenimento dei costi e l’aumento dei margini di profitto».

Negli ultimi due anni 180mila braccianti, per lo più stranieri, sono finiti nella rete dei caporali che alimentano gli interessi dei clan. Le organizzazioni mafiose, infatti, si infiltrano nella filiera per dirottare a loro vantaggio la ricchezza prodotta lungo la catena di valore che parte dalla semina e arriva sui banchi dei supermercati. Arginare le mafie, dunque, è questione di sopravvivenza economica, non solo pratica etica; così come assicurare cibo di qualità a tutti, indipendentemente dalla disponibilità economica di ciascuno. «Ecco perché è necessario che il rispetto delle regole e l'iscrizione alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità diventi l'unica condizione per entrare nella filiera – prosegue Davide Carlucci –, soprattutto per dare un segnale alla Grande Distribuzione Organizzata che col meccanismo dell'asta al doppio ribasso fa crollare i prezzi, scaricando sui lavoratori i costi di produzione. Per riuscire a stare sul mercato molti chiudono gli occhi davanti ad alcune regole».

Ma la strada è ancora in salita. «All'inizio del 2020 la città metropolitana di Bari era l’unica in Puglia dove non era ancora decollata la legge per lavoro agricolo di qualità. Dopo mesi di impegno, tra riunioni in Prefettura e continue richieste all'Inps perché questo diventi un discrimine vero, siamo arrivati a quasi mille aziende iscritte nel barese. In queste settimane ne sto parlando anche col vescovo della diocesi di Bari-Bitonto, che è anche il governatore dell’Ospedale “Francesco Miulli”, per fare in modo che questa cosa diventi una prassi diffusa non solo negli enti locali».

La Puglia è la seconda regione italiana per numero di imprese agricole individuali (oltre 77mila iscritte nel Registro delle imprese), con un fatturato di oltre 4 miliardi di euro, che però rischia un'erosione senza precedenti a causa dell'emergenza sanitaria. Secondo i dati CREA (Rete di Informazione Contabile Agricola e della Rete Rurale Nazionale), oltre il 40 per cento di queste è in crisi di liquidità a causa della pandemia. Una sirena d'allarme per gli addetti ai lavori, perché significa porte spalancate ai padrini in colletto bianco. Secondo la Uif (Unità di informazione finanziaria di Bankitalia) la crisi di liquidità è terreno fertile per le mafie che hanno denaro a sufficienza per acquisire società o prestare denaro a strozzo. L'usura, secondo i dati del ministero dell'Interno, ha avuto un'impennata del 6,5 per cento rispetto a un anno fa.

Dati confermati anche dalle realtà anti-usura sparse sui territori. «Il comune di Cassano – dice ancora Davide Carlucci – sta cercando di creare una sorta di tavolo sul tema, insieme a Santeramo, Sannicandro e altri, perché continuano ad arrivare segnalazioni di persone e aziende che ricorrono all'usura per sopravvivere. L'idea è di attivare uno sportello per seguire l'evolversi del fenomeno».

È un momento molto delicato nel rapporto tra amministratori e utenti, specialmente se sono utenze non domestiche, spiega il sindaco di Acquaviva delle Fonti. «Stiamo cercando – conclude – di recuperare i mancati introiti con formule da 72 rate, facendo sforzi per consentire di rimettere le aziende nella legalità. Ma ci mettiamo anche nei panni di chi ha sempre pagato e oggi ha difficoltà a restare aperto, proprio perché è sempre stato in regola. Stiamo attenti a non penalizzare nemmeno loro». Ecco perché è necessario spingere sull'acceleratore e scrivere una norma ad hoc: il rispetto delle regole sul lavoro non sia solo un giusto obbligo, ma diventi anche conveniente per chi vuole fare impresa, stimolando un mercato del lavoro sano e che non strizzi l'occhio alle agromafie per restare in pista.

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