Mentre il governo si dimostra incapace nel gestire l’accoglienza di chi viene dalla sponda sud del Mediterraneo, il nome del prefetto Valerio Valenti, commissario delegato all’emergenza migranti, è finito nel dimenticatoio.

Scelto lo scorso gennaio per guidare il Dipartimento delle Libertà civili e immigrazione del Viminale dal ministro Matteo Piantedosi, dopo la strage di Cutro e la dichiarazione dello stato d’emergenza si è visto assegnare maggiori poteri.

Oggi ha a disposizione uno staff di 15 persone (oltre alla possibilità di attingere a figure esterne al ministero) e un budget extra già stanziato di 5 milioni di euro.

Nonostante ciò, l’estate e i prevedibili sbarchi record hanno colto impreparato il governo dopo l’illusione degli accordi con Tunisia e Libia. Lo dicono i sindaci, che non sanno più dove allocare i migranti; lo raccontano le immagini del caos nell’hotspot di Lampedusa; lo dicono le associazioni, che da anni si caricano sulle spalle la gestione dell’accoglienza.

Metodo Valenti

Chi ha avuto a che fare con Valenti lo descrive come abile a sfilarsi da situazioni complicate e poco propenso al dialogo. E non è un caso se, in questi giorni, il suo nome non compare tra i responsabili di un’accoglienza al collasso.

Ma la scelta di riunire in seduta permanente il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr), che sotto il coordinamento del sottosegretario Alfredo Mantovano si occuperà del dossier migrazione, è di fatto una sfiducia al lavoro fatto sinora dal Viminale. Per le associazioni del terzo settore è l’approccio utilizzato dal governo ad aver contribuito all’emergenza.

Partendo dai decreti sicurezza del governo Conte, voluti da Matteo Salvini, e arrivando fino al decreto Cutro, si è smantellato il sistema di accoglienza messo in piedi con fatica negli anni precedenti. Lo scorso maggio Valenti annunciava di aver individuato da Nord a Sud una decina di potenziali nuovi hotspot.

«E se serve siamo pronti anche ad aprire un hotspot per chi arriva dalla rotta balcanica e hotspot volanti in altre città del centro-nord», diceva in un’intervista a Repubblica. Oggi, con l’estate quasi alle spalle, mancano ancora le strutture dove ospitare i migranti. «Per trovare i posti bisogna aprire i Cas, ma Valenti condivide l’orientamento politico del governo che preferisce creare strutture di mero trattenimento.

Tuttavia gli hotspot, oltre a portare problematiche di legittimità giuridica, non si aprono da un giorno all’altro», dice Gianfranco Schiavone, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «Se ora devi trovare decine di migliaia di posti, non puoi aprire migliaia di hotspot ma collaborare con gli enti del terzo settore per aprire strutture di accoglienza sostenibili», aggiunge.

«Avevamo preavvisato il governo che scelte rigide e securitarie, di fronte a una situazione che va affrontata con una logica strategica, non sono fattibili», dice Silvia Stilli, presidente delle Associazioni delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale.

Da quando Valenti è al Viminale, le associazioni raccontano di averlo incontrato due volte. L’ultima volta il 4 agosto, quando hanno presentato al prefetto un documento di 30 pagine per sanare una situazione complicata. «Non abbiamo mai ricevuto risposta», dice Schiavone.

Gare deserte

Nonostante l’”approccio hotspot” del governo, le gare pubbliche per l’apertura di Cas sono in corso. Alcuni bandi sono partiti in ritardo, come quello che si chiuderà a metà settembre per realizzarne uno ad Agrigento, mentre altri vanno deserti perché le risorse stanziate non permettono di fare un’accoglienza di qualità.

«Questo risultato non è solo una chiusura ideologica di Valenti, ma di tutta l’attuale maggioranza. Il prefetto è stato scelto non per i meriti, ma per vicinanza politica. Non scordiamoci che, da prefetto di Trieste, è stato il “gestore” delle riammissione illegale dei richiedenti asilo nel confine italo-sloveno nella seconda metà del 2020», dice Schiavone.

Carenze al ministero

A una strategia sbagliata e complicata da attuare in tempi brevi si sommano le carenze di organico. Secondo quanto si legge sul sito del Viminale, nell’organigramma del Dipartimento guidato da Valenti ci sono ancora undici posti vacanti. Alcuni di essi sono strategici, come quello nell’ufficio per la “seconda accoglienza e minori stranieri non accompagnati” o quello all’ufficio “Affari internazionali e comunitari” della Commissione nazionale per il diritto all’Asilo.

L’arrivo in massa di minori stranieri non accompagnati, infatti, sta causando non pochi problemi alle amministrazioni locali: da Bologna a Napoli e Milano, i comuni sono in difficoltà. Solo da gennaio ne sono arrivati oltre 10mila, contro i 7mila dello scorso anno.

Al momento il governo ha prorogato i bandi del governo Draghi che garantiscono oltre 1000 posti in più, ma se il trend di arrivi aumenterà serviranno altre sistemazioni. A complicare la gestione dell’accoglienza è anche il fatto che lo stato di emergenza, dichiarato su tutto il territorio nazionale, non è stato adottato da tutte le regioni.

Toscana, Campania, Puglia e Valle d’Aosta, tutte guidate dal centrosinistra, ad aprile avevano scelto di non aderire, perché contrarie alle misure adottate nel decreto Cutro (specialmente quelle sullo smantellamento della protezione speciale). Questo crea di fatto una disparità tra le regioni nella gestione dei migranti.

Il bando per Lampedusa

Per gestire i flussi migratori servono soldi. Al momento il governo ha allocato cinque milioni oltre il budget previsto, mentre la commissaria europea Ylva Johansson ha promesso che Bruxelles è disposta a darne altri 14 per gestire la situazione a Lampedusa. Ma i soldi non sono ancora stati erogati.

Dalla Commissione fanno sapere che sono in attesa di concludere l’accordo con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’ente Onu che gestirà i fondi. «Tuttavia, le azioni sono già in corso di attuazione dal 1° luglio», rispondono dalla Commissione a Domani. Per Lampedusa il Viminale ha invitato il comune a partecipare a un progetto dal valore di 2.5 milioni di euro.

Parte dei soldi serviranno a migliorare i servizi sanitari e di integrazione per i migranti, gli altri invece per il «rafforzamento e la diffusione dell’immagine di Lampedusa come terra di accoglienza e “Porta d’Europa”». Ma questo rimane solo sulla carta: nell’hotspot la realtà è tutt’altra.

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