Benedetto/maledetto Gérard Depardieu e con lui noi costretti a interrogarci su chi abbiamo molto amato davanti all'ultima notizia arrivata da Parigi, non così inattesa, della nuova disavventura giudiziaria, un fermo di polizia per due accuse di aggressione sessuale nei confronti di donne, anche ragazze che potrebbero essere sue nipoti, le ultime di una serie di sedici. Un elenco troppo lungo per accettare la solita difesa, troppo banale per un uomo che è sempre stato originale, per la quale erano consenzienti, sedotte dal fascino del grande attore. Non tutto è perdonabile per le molte ore di ottimo cinema, di risate e lacrime, che hanno accompagnato l'esistenza delle generazioni dai boomer in poi. Abbiamo visto crescere repentinamente il mito e poi siamo stati costretti ad assistere alla lunga decadenza, con l'indulgenza iniziale a causa del credito accumulato, le giustificazioni per una personalità esagerata a cui era obbligatorio concedere le bizzarrie degli artisti. Salvo doversi arrendere, a poco a poco, all'evidenza di un personaggio invecchiato male, nell'interpretazione peggiore di se stesso, come se anche lui dovesse percorrere la parabola di ogni sceneggiatura riuscita, il protagonista che cambia nell'arco della pellicola per essere l'opposto alla scritta “the end”. La vita in questo caso pessima imitazione della finzione.

Un inizio differente

Era una favola, agli inizi, quella del figlio di un fabbro e di una casalinga, nato a Chateauroux, profonda Francia centrale a ridosso della valle della Loira, con un'adolescenza turbolenta senza scuola, tra furti, risse, sbornie, persino testimone di uno stupro, evento che lo indurrà, a 17 anni, a scappare dal paesello per inseguire il sogno di diventare attore di teatro e scoprire, molto precocemente, un enorme talento quasi senza bisogno di maestri. Una storia di riscatto immediato, osannato da una nazione intera come un astro da contrapporre al bellissimo Alain Delon e all'affascinante Jean-Paul Belmondo per l'energia vitale che sprigiona sul palcoscenico. Il proletario svantaggiato dichiaratamente di sinistra che, partendo dalla provincia, conquista la ville Lumière è l'alter-ego degli attori patinati nell'Esagono del post maggio Sessantotto, l'alternativa rivoluzionaria, il sovversore di un ordine costituito, la prova vivente di un ascensore sociale che funziona grazie al merito. Nel solo 1973, quando ha 25 anni, è cinque volte davanti alla macchina da presa ed è già stato scelto da registi come Bunuel, Marguerite Duras. L'anno dopo la consacrazione con “Les Valseuses” di Bertrand Blier e la sua fama ha già varcato i confini. Poi verrà Serge Gainsbourg che trasporrà al cinema la sua canzone scandalo “Je t'aime, moi non plus”, cantata dalla compagna Jane Birkin.

Due registi italiani lo gratificano nel 1976. Marco Ferreri ne fa il protagonista de “L'ultima donna” dove è Giovanni, ingegnere cassintegrato della grigia periferia parigina con una turbolenta vita sentimentale che fatica a gestire ed è accusato di fallocrazia dalle donne, un presagio di quello che succederà più avanti: sembra davvero l'arte che precede la vita. Finirà per evirarsi in un'indimenticabile scena con un coltello elettrico. Per Bernardo Bertolucci in “Novecento” è Olmo, il figlio di contadini cresciuto con il coetaneo figlio del proprietario terriero Roberto De Niro, in un dualismo che dividerà il pubblico tra due fazioni partigiane. Si chiama con il suo stesso nome Gérard in “Ciao maschio”, ancora di Ferreri, dove è lui il soggetto dello stupro da parte di Angelica, nel ribaltamento di un cliché che tuttavia insiste sul suo inappagabile appetito sessuale.

Fisco e fiasco

Fioccano i premi per la star internazionale ormai riconosciuta, a Venezia come a Cannes, quanto all'Oscar una sola candidatura per il Cyrano de Bergerac nella patria del cinema che fatica a tributargli lo stesso consenso della filmografia d'autore più prettamente europea. Interpreta oltre duecento film, non disdegna i ritorni al primo amore, il teatro, memorabile una sua performance nel Tartuffe di Molière ed è conteso per gli spot pubblicitari. Accumula un patrimonio immenso. Investe soprattutto in immobili. Stabilisce il quartier generale all'hotel de Chambon di rue du Cherche-Midi nel sesto arrondissement di Parigi, ora in vendita per 50 milioni di euro. Nella stessa via possiede un famoso ristornate di pesce. Acquista il castello di Tigné e il vigneto che si estende su cento ettari per produrre Pinot nero e Chardonnay. La casa al mare è in Normandia a Trouville, quella di campagna nelle Yvelines. Appena oltre il confine francese, in Belgio, a Néchin, si rifugia per scappare al fisco. E' il 2012, subito dopo la vittoria di Francois Hollande alle elezioni presidenziali e la conseguente proposta di tassare al 75 per cento i redditi sopra il milione di euro (iniziativa poi bocciata dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato). Gérard Depardieu si ribella, sostiene di aver pagato nella sua vita 150 milioni di euro al fisco, vuole restituire la cittadinanza francese, prendere quella belga e anche quella italiana per il conclamato amore verso il paese dove ha avuto un appartamento a Lecce e sceglie Pantelleria per le vacanze estive.

Fortemente criticato nella patria che gli ha riconosciuto il cavalierato dell'Ordine della Legion d'onore, non esita a gettarsi nelle braccia di Vladimir Putin, disposto a consegnargli un passaporto russo insieme alla nazionalità, un'amicizia suggellata con un pranzo per il Natale ortodosso del gennaio del 2013 nella regale residenza del nuovo zar sul mar Nero. Riconoscente, sosterrà la causa di Mosca dopo l'annessione della Crimea, ragione per cui l'Ucraina lo ha inserito nell'elenco delle persone a cui è vietato l'ingresso nel Paese. La sua giravolta politica si completa nel 2017 quando si esprime a favore di Marine Le Pen nel ballottaggio contro Emmanuel Macron, considerato la longa manus della finanza internazionale. Lui che era partito da posizioni di estrema sinistra per approdare sulla sponda opposta del Front National.

Il declino del consenso, se non della popolarità, è punteggiato da episodi incresciosi come la volta in cui un volo aereo Parigi-Dublino è stato ritardato di un'ora e mezza perché Gérard, completamente ubriaco, aveva orinato nel corridoio, testimonianza di una pericolosa dipendenza dall'alcol. E nel declino affiorano le denunce e le testimonianze per stupro e molestie sessuali, alcune vecchie degli Anni Novanta, altre più recenti, una, due, tre, sedici. Nell'ottobre scorso con una lettera aperta al giornale conservatore “Le Figaro” cerca di difendersi: «Non posso più tacere di fronte a ciò che ho sentito, a ciò che ho letto su di me negli ultimi mesi. Pensavo non mi importasse ma no, in realtà mi importa. Tutto questo mi sta spegnendo... Non ho mai abusato di una donna. Fare del male a una donna sarebbe come dare un calcio nello stomaco a mia madre. Per tutta la vita sono stato provocatorio, schietto, a volte maleducato. Ho fatto spesso quello che nessun altro osa fare, testare i limiti, scuotere le certezze e le abitudini... Nel tribunale dei media, nel linciaggio che mi è stato riservato, ho solo la mia parola da opporre».

L’indulgenza di Macron

Una cinquantina di colleghi firma un appello dal titolo “Non cancellate Depardieu”, invocando la presunzione d'innocenza e sostenendo il sui diritto a continuare a lavorare. Anche Emmanuel Macron, nonostante l'endorsement del passato per la sua rivale, spende parole in sua difesa: “Contro di lui si è scatenata una caccia all'uomo”. La Francia è spesso indulgente con i suoi campioni nazionali dello spettacolo.

A 75 anni, esageratamente ingrassato, l'attore che ha segnato un'epoca è davanti al bilancio di una vita spericolata. Due matrimoni, tre convivenze, l'atroce dolore per la morte di un figlio Guillaume, a soli 37 anni per le conseguenze di una polmonite. Anche, nel curriculum, la conversione all'Islam durata due anni. Ora l'onta del fermo di polizia. E se certo vale la presunzione d'innocenza, non si può tuttavia sottacere la deriva triste della star che fu.

© Riproduzione riservata