L’immenso palcoscenico è già diventato un cortile. Dominano le squadre europee, quelle del Sudamerica inseguono e danno qualche spallata, resiste la galassia Leo Messi. Asia, Oceania, Arabia: tutte le altre stanno a guardare. I dati delle presenze negli stadi parlano di un mezzo flop. Dopo 36 partite la media spettatori è vicina ai 37mila, il tasso di riempimento è quasi del 58%. L’evento si guarda più dalla tv che dal vivo
L’immenso palcoscenico del Mondiale per club è già diventato un cortile. Dominano le squadre europee, sempre loro. Quelle del Sudamerica inseguono e danno qualche spallata (vedi l’uscita dell’Atlético Madrid per il Botafogo). Resiste la galassia Leo Messi, una realtà a parte. Asia, Oceania, Arabia: tutte le altre stanno a guardare. E come tutto il resto, anche il calcio si è fatto abbagliare dall’utopia.
Doveva essere un torneo globale, il mega evento dell’estate, prove generali degli anni senza Mundial. Un gioco allargato fino ai confini della realtà. Ma la realtà è chiara: chi ha più soldi fa meglio. È vero, qualche exploit non è mancato. Il Boca Juniors che viene fermato dall’Auckland City (1-1), per esempio. Ma è l’eccezione che conferma la regola. A dieci giorni dal via della manifestazione che prometteva fuochi d’artificio si sono sentiti più che altro mortaretti.
Il presidente della Fifa Gianni Infantino difende il suo show come mangiafuoco con i burattini. «Forse alcuni lo criticano un po’, ma è qualcosa di nuovo. È qualcosa di speciale. Penso che i giocatori che sono qui lo adorino», ha detto il numero uno del calcio mondiale.
Un ideale ben lontano dalla realtà. Difficile pensarlo per i calciatori dell’Inter, arrivati alla partita numero 61 della loro stagione. E non è diverso per molte altre: il Psg, il Real, il Chelsea. Tanto per fare un parallelo: nel basket squadre come Fenerbahçe e Virtus Bologna, rispettivamente campioni d’Eurolega e d’Italia, hanno sfiorato le 80 partite. Arrivate alle porte dell’estate non ne potevano più.
La scoperta dell’America
Usa ’94 fu l’evento della modernità. L’Europa teneva la luce accesa la notte per vedere il calcio diventare pop, iconico, di tendenza. Il Mondiale per club voleva essere l’esperimento in vista della Coppa del Mondo in programma l’anno prossimo tra Canada, Messico e Usa. Il mondo nel frattempo è cambiato e l’overbooking di match e partite al di qua dell’oceano rende l'evento per Club un appuntamento per pochi sonnambuli.
Ci sono però paradossi di non poco conto che il Mondiale per club ha rivelato. I dati delle presenze negli stadi parlano di un mezzo flop. Dopo 36 partite disputate dal 14 giugno, la media spettatori è vicina ai 37mila a gara, mentre il tasso di riempimento è quasi del 58%. Numeri piuttosto bassi.
L’evento si guarda più dalla tv che dal vivo. Su Canale 5 la partita tra l’Inter e i giapponesi dell’Urawa Red Diamonds ha toccato il 20,5% di share, con due milioni e 790mila spettatori. Ha vinto la serata: Raiuno si è fermata a 1,9 milioni. E domenica alle 18 Juventus-Wydad Casablanca ha fatto registrare 1 milione e 900mila spettatori e il 17,3% di share: record della fascia oraria, nessuno ha fatto meglio di Italia1.
L’Inter Miami di Messi contro il Porto ha raggiunto 1 milione e 400mila spettatori con l’8,5% di share. A questi dati andrebbero aggiunti quelli di Dazn.
L’aspetto economico
L’altro paradosso è economico: l’ingaggio faraonico è diventato un boomerang. Essere pagati molto sembra giustificare l’idea di dover giocare di più e di più, sempre. Sarà il maracaibo, il sole, l’ombrellone: mentre ogni inverno impazza tra gli addetti ai lavori la polemica sui calendari troppo fitti, gli incontri troppo ravvicinati, gli infortuni inevitabili, in estate è quasi paradise beach. I giocatori non dicono, si limitano a giocare. E se la cavano con qualche frase buona per ogni situazione: «Siamo qui per fare il massimo».
Ma ingaggi e patrimoni sono anche il rapporto di forza di questa competizione. Chi si aspettava colpi di scena e sfide epiche è rimasto deluso, ancora non ci sono state. Il trionfo della normalità, questo Club World Cup. Puntuali e precisi, quelli di Calcio e Finanza hanno mostrato che al vertice della classifica fatturati dominano i soliti noti. A parte l’Auckland City (club dilettantistico neozelandese con un fatturato inferiore a 0,5 milioni di euro, cifra che mette in risalto il vastissimo divario finanziario tra i partecipanti al torneo), gli altri hanno budget enormi: Real Madrid con 1.085,9 milioni di euro l’anno, seguito dal Manchester City (1.014,3 milioni) e dal Paris Saint-Germain (989,2 milioni). Poi Chelsea (969,3 milioni), Bayern Monaco (951,5 milioni) e Borussia Dortmund (618,2 milioni).
Al di fuori dell’Europa, primeggiano Flamengo (233,8 milioni), Palmeiras (225,2 milioni) e River Plate (188,6 milioni).
Un trend che confeziona risultati più o meno scontati. Almeno in questa prima fase. Il bello, secondo molti, deve ancora arrivare. Agli ottavi sarà tutta un’altra manifestazione. Lo stesso Infantino non vede l’ora: «Da cento anni sappiamo qual è la nazionale migliore del mondo, ma fino a oggi non sapevamo davvero quale fosse la squadra migliore del mondo».
Ai Mondiali è un’altra cosa
Intanto il pianeta vende accorciare il divario tra nazionali. Ne è prova l’ultimo quarto posto del Marocco ai Mondiali in Qatar 2022. Ma anche una difficoltà ormai endemica del calcio italiano: l’Italia ha saltato le ultime due edizioni (e rischia la terza). Dalla Svizzera alla Georgia, dagli Usa al Portogallo: l’evoluzione della specie è totale. Coi club, però, prevale ancora la disparità. E chi ha più soldi per gli ingaggi sembra avere più chance di successo.
Il Mondiale per club doveva ribaltare o confermare le attese? Le critiche variano. Il Guardian l’ha messa giù dura. «Nessuno ha dato alla Fifa il mandato di comportarsi in questo modo», ha scritto Barney Ronay da Miami. E ancora: «La sua missione è promuovere e regolamentare. Eppure, eccola qui a comportarsi come un perturbatore commerciale nel suo stesso sport e come un leccapiedi dei potenti, ignorando le frottole sui diritti umani e la neutralità politica sancite nei suoi statuti, senza offrire alcuna trasparenza o responsabilità».
Non piace la forma, ma pure il contenuto. Usa Today ha scritto che «il Mondiale per Club è l'ultimo modo in cui Infantino e la Fifa tradiscono il calcio». Molte delle critiche sono legate all’impiego sconsiderato dei talenti. Come se il miliardo di dollari in palio bastasse a rendere lo sport un gioco a premi. Da anni il business soverchia l’atletismo, ma conti alla mano i numeri stanno raggiungendo dimensioni incontrollate. Eppure si continua a giocare.
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