Alla fine, nord America 16, Europa 16. Chi aveva pensato a un tracollo europeo, deve rimangiarsi le previsioni degne di una Cassandra. È il primo dato quando si incolla l’occhio al caleidoscopio del Mondiali, l’unico appuntamento dello sport che permette a 46 paesi di avere accesso al medagliere. Calcio, rugby, pallavolo, basket, nuoto sono molto più esclusivi.

Atletica universalità

Chi ama ed è sedotto da questa universalità, ha oggi nuovi affascinanti elementi a disposizione: tre indiani nei primi sei del giavellotto (e Neeray Chopra, bello come un divo di Bollywood vincitore) e un pakistano secondo in quello che ha preso la fisionomia di un classico derby di cricket (il movimento del bowler è lo stesso…), una giapponese davanti a una colombiana nel lancio dello stesso leggero aliante, un tempo feudo esclusivo delle europee, l’irruzione a martellate del Canada che è andato a prendersi entrambi i titoli con Ethan Katzberg, molto somigliante al batterista dei Led Zeppelin (baffoni e capelli lunghi oltre le spalle, originario della bella e selvaggia British Columbia) e con Camryn Rogers che ha regolato le favorite americane, una era una ragazza comanche.

Il ruolo del Canada

Chi avrebbe pensato al Canada come seconda forza mondiale? Quelli con la foglia d’acero erano noti come velocisti: una genealogia che prende il via con Harry Jerome, il secondo dopo Armin Hary a toccare i 10.0, e prosegue con Ben Johnson, Lucifero precipitato dall’Empireo al più oscuro girone dell’inferno, Donovan Bailey, Bruny Surin, Andre de Grasse.

Ora, i martellisti, Sarah Mitton, rossa della Nova Scotia a tirare il peso oltre i 20 metri, Marco Arop, dalle movenze principesche e dal fisico statuario (arrivato in Canada dal Sudan insanguinato da una guerra endemica che dura dal tempo del Mahdi) a vincere gli 800, Pierce Lepage e Danmia Warner a dominare il decathlon, ma questa non è una novità: Warner, campione olimpico, ha una lunga scia di successi nel sacrario austriaco di Gotzis e Lepage è passato da vincitore dell’Hypomeeting del Voraalberg prima di lasciarsi alle spalle, per un centinaio di punti, il compagno d’avventura. Lepage, 8909 punti, ha un record: è il più alto (2,02 o 2,03 secondo diverse fonti) vincitore di un decathlon mondiale o olimpico. Merito a lui e merito ai suoi tecnici: non deve essere facile con quella statura coordinarsi e salire sino a 5,20 nell’asta.

Uomo lampo

L’uomo dei campionati è Noah Lyles che da uomo lampo non ha perso tempo chiedendo ai piani alti di World Athletics una secca svolta nelle strategie, nella visione: “vendere” meglio l’atletica, renderla sempre più professionale e così più ricca, irrompere nel mondo della moda, della musica (lui ha già inciso un disco in compagnia dell’astista Sandi Morris), avere in Netflix un supporto vasto e globale, come è capitato con la Formula1 e con il tennis.

Noah ha due vittorie nette e un pareggio, con Filipo Tortu nell’ultima frazione della staffetta.Guascone, amante della provocazione. Conquistato il suo terzo titolo, Lyles ha preso la parola: «Guardo le finali Nba. Chi vince è definito campione del mondo. Campione di cosa? Degli Stati Uniti? Vorrei fosse chiaro: io amo gli Stati Uniti – a volte – ma non sono il mondo. In atletica dobbiamo affrontare tutti i paesi». Kevin Durant, stella Nba, ha così commentato: «Qualcuno aiuti questo fratello». Lyles sarà una delle stelle del meeting di Zurigo, giovedì sera.

La prima

Il titolo di donna dei campionati andrebbe attribuito, guardando al cronometro, a Sherica Jackson, arrivata, con 21.41, a sette centesimi da Florence Griffith, ma contrariamente alla povera scomparsa, senza un alito di vento alle spalle. Interpolando i dati, il tempo di Shericka vale tra i 21.28 e i 21.30, sotto il 21.34 coreano della donna bionica.

In realtà, simpatia, inclinazioni personali e un affetto profondo per l’Africa spingono a identificare nella keniota Faith Kipyegon la prim’attrice della calda Budapest. La grande donna di Bornet, affacciata sulla Rift Valley, ha offerto ancora una volta quel crescendo spezzacuore (il cuore delle altre…) che le permette di alzare il numero di giri e di mantenerlo nelle fasi decisive. Non è importante il margine guadagnato quanto la capacità di conservarlo.

L’ultimo giro dei 5000, volato in 56.5, sotto l’arrembare disordinato di Sifan Hassan, l’instancabile orange d’Etiopia, è stato uno dei tanti capolavori scritti da Faith (Fede), la prima donna a metter le mani sull’accoppiata 1500-5000, riuscita ai Mondiali da Bernard Lagat e alle Olimpiadi – nobiltà assoluta – da Paavo Nurmi e Hicham el Guerrouj. Tre record mondiali in cinquanta giorni – 1500, miglio, 5000 spogliando le rivali etiopi – e ora questo meraviglioso bang bang sul Danubio.

L’Europa tiene

Il continente più vecchio ha retto e ha vinto molto. A volo d’uccello: se Francia (una medaglia nella 4x400 quando i Campionati stavano spirando) e Germania sono sparite, altri paesi hanno tenuto grazie a una programmazione mirata: la Norvegia ha un movimento piccolo, di grande qualità, l’Olanda è concentrata sul giro di pista con o senza ostacoli, (l’ultima violenta emozione è stata fornita da Femke Bol), la Svezia può contare su Daniel Stahl, e ha ricevuto in regalo Armand Duplantis; la Spagna, con un giovanotto di Badajoz e una ragazza di Murcia ha realizzato lo Slam della marcia; la Gran Bretagna ha poggiato su una raffinata scuola nelle due distanze più amate, 800 e 1500.

L’unico paese che continua ad agire su un telaio vasto è l’Italia che ha raccolto in pista, sul campo e sulla strada. Un vecchio amico, Igor Ter Ovanesian, diceva che se ti presenti a un appuntamento con x chance e nei centri la metà, hai fatto un eccellente lavoro. Come l’Italia che non ha fallito con Tamberi, Fabbri, la staffetta e Palmisano e ha “sballato” con un doppio Stano, Weir e Iapichino. Erano queste le possibilità più solide, più autentiche. La solidità del movimento, constatata nella vittoriosa Coppa Europa, ha prodotto più finalisti del solito, 13, e buone prospettive. Simone Barontini è la più promettente.

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