Se si sfoglia il massiccio Annuario pontificio (un «chi è» il cui antenato risale addirittura al 1716 e che nella forma attuale ha più di un secolo di vita), si resta colpiti dal moltiplicarsi di fondazioni vaticane dedicate allo studio dei papi.

Sembrerebbe normale, ma si tratta invece di una novità del papato non italiano. La prima di queste singolari istituzioni fu infatti la Fundacja Jana Pawła II nel 1981, anno dell’attentato che quasi uccise Karol Wojtyła, seguita nel 2010 dalla Fondazione Joseph Ratzinger Benedetto XVI – entrambe avviate con i due pontefici ancora in vita – e nel 2020 da quella intitolata a Giovanni Paolo I.

Il modello non era però nato in Vaticano. Nel 1979 era infatti stato costituito a Brescia un Istituto Paolo VI, pochi mesi dopo la morte del papa. Avviata con intento storico, l’istituzione ha promosso anche un premio assegnato a personalità indiscusse come Hans Urs von Balthasar, Olivier Messiaen, Oscar Cullmann, Paul Ricœur – ma infelicemente anche a Jean Vanier, il carismatico esponente cattolico di cui dopo la morte sono venuti alla luce ripetuti episodi di abusi sessuali – e il 29 maggio sarà lo stesso Bergoglio a consegnare il prossimo premio, che viene annunciato mercoledì.

Nel 2000 nasce poi a Bergamo la Fondazione Papa Giovanni XXIII, anche se rilevante per lo studio di Angelo Roncalli è stato – all’inizio grazie soprattutto al segretario Loris Capovilla, fedele e capace promotore dell’immagine del pontefice – l’Istituto per le Scienze Religiose. Centro di studi importante, l’istituto era stato fondato già nel 1953 a Bologna da Giuseppe Dossetti ed è stato poi diretto dallo storico Giuseppe Alberigo.

I documenti sul concilio

Per i due pontefici lombardi, e in particolare per Montini, le fonti storiche sono le più abbondanti. Di riflesso ne viene illuminato il concilio Vaticano II, intuito e aperto da Roncalli, ma governato e concluso da Montini, che per oltre un decennio, attaccato da conservatori e da progressisti, ne perseguì la difficile applicazione. Le interpretazioni della più grande assemblea mai convocata nella storia si sono intrecciate all’interno della chiesa alle aspre controversie sul Vaticano II, che restano comunque sullo sfondo anche se appaiono più attenuate.

Sono ormai disponibili in decine di monumentali volumi gli atti e i documenti del concilio, mentre lo stesso Bergoglio – primo papa a non avervi preso parte per motivi anagrafici – è intervenuto nel 2013 definendo inusualmente come miglior interprete («ermeneuta») del Vaticano II l’arcivescovo Agostino Marchetto. Storico di formazione, il diplomatico vaticano ha criticato con sistematicità l’interpretazione della cosiddetta scuola bolognese per l’eccessiva sottolineatura degli elementi di rottura con il passato. Con il tempo, però, le polemiche sembrano stemperarsi e le interpretazioni storiche si vanno via via affinando.

Significativo in questo senso era stato il discorso di Benedetto XVI, molto attivo negli anni del concilio come teologo del cardinale Frings, schierato con decisione sul fronte progressista. Il 22 dicembre 2005 papa Ratzinger presentò – in alternativa all’«ermeneutica della discontinuità» – quella «della riforma», richiamandosi esplicitamente a Roncalli e a Montini, ma sottolineando che proprio «questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa».

Dagli archivi vaticani

Decine di migliaia sono i documenti e non pochi gli studi pubblicati dall’istituto bresciano e dalla fondazione bergamasca. In parallelo, le progressive aperture degli archivi vaticani (accessibili fino al 1958) arricchiscono il quadro, con risultati che vanno al di là della storia del cristianesimo contemporaneo e gli stessi pontificati, che ovviamente non esauriscono la chiesa cattolica.

L’ultimo esempio sono i «fogli di udienza», appuntati da Montini dopo i regolari incontri con Pio XII e curati da Sergio Pagano, il barnabita che da oltre un quarto di secolo è prefetto dell’Archivio vaticano. In 1200 pagine suddivise in due volumi è così a disposizione degli storici una fonte particolare, vera e propria «tradizione vaticana» iniziata dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. In questi appunti sono riassunte brevemente le udienze con il pontefice da parte del «sostituto», carica che grosso modo si fa corrispondere a quella laica di ministro degli interni e che si colloca al terzo posto della gerarchia vaticana dopo il papa e il segretario di stato.

Giovanni Battista Montini è sostituto dal 1937 al 1952 ma continua a incontrare due o tre volte alla settimana papa Pacelli fino al 1954 nella veste di pro-segretario di Stato, quando la corrente più conservatrice della curia ottiene la sua rimozione con la nomina ad arcivescovo di Milano: ma «chissà che il Signore non abbia preparato, con questo fatto, il suo Vicario di domani» scrive a un amareggiato Montini l’amico Giorgio La Pira.

Inspiegabilmente, come sottolinea lo stesso prefetto dell’archivio, i fogli d’udienza che vi sono conservati iniziano però nel luglio del 1945. Manca dunque il periodo più controverso del pontificato pacelliano, su cui continuano senza posa studi e polemiche. La fonte, corredata da una larga annotazione, è dunque importante solo per il primo decennio successivo al conflitto mondiale.

Montini e il Risorgimento

I tratti del papa più amico del Risorgimento sono confermati dal suo carteggio, che l’Istituto Paolo VI sta curando in più volumi: finora oltre cinquemila pagine in cinque volumi, dal 1914 al 1929. Dalla vigilia della guerra, dunque, fino all’anno della Conciliazione che, scrivendo ai familiari il 19 gennaio, il giovane Montini accoglie con poco entusiasmo: «Se la libertà del Papa non è garantita dalla forte e libera fede del popolo, e specialmente di quello italiano, quale territorio e quale trattato lo potrà? Ora sembra che i tempi che corrono e gli uomini che comandano siano tutt’altro che ben intenzionati per il rispetto di quella forza morale e spirituale del popolo».

Inviato a studiare a Roma nel 1920, poco dopo l’ordinazione sacerdotale, il giovane Montini aveva iniziato a frequentare la Gregoriana ma anche la Sapienza, attratto dagli studi storici e con il progetto di una tesi sull’influenza religiosa nel Risorgimento.

Ma l’anno successivo, entrato nell’istituto di formazione dei diplomatici della santa sede, deve abbandonare l’idea vagheggiata, affronta l’ostico studio del diritto ed è assunto in segreteria di Stato, dove – a parte un apprendistato di pochi mesi nella nunziatura di Varsavia durante il 1925 – resterà per un trentennio.

Il succedersi quasi quotidiano della corrispondenza permette di ricostruire la formazione personale, i durevoli affetti familiari e le amicizie che il giovane prete mantiene con decine e decine di studenti. E soprattutto ai familiari indirizza lettere lunghe, con riflessioni dalla prosa che a tratti cattura, come il 23 gennaio 1922 quando la scomparsa di Benedetto XV lo induce meditare sulla «umanità che non sa di vivere se non quando muore».

L’esperienza con la Fuci

Dal 1923, per un intero decennio, Montini si divide tra la segreteria di Stato e l’assistenza agli universitari cattolici: dapprima a Roma e poi in tutta Italia, che percorre in viaggi sacrificati, in anni segnati da contrasti sempre più aperti con il fascismo e da opposizioni interne, soprattutto da parte dei gesuiti, che nel 1933 ottengono finalmente le sue dimissioni. L’impegno – lungimirante – è per la formazione spirituale e culturale, impegnativa e rigorosa, dei giovani, che accompagna con traduzioni di libri, centinaia di articoli, lezioni, convegni, attività editoriale.

È la preparazione di una stagione futura. Secondo un destino che, appena diciassettenne, Montini indica come proprio ideale: «La mia vita passerà rivolta in alto». Così, quando nel 1937, il prelato bresciano arriva ai vertici della segreteria di Stato, è reduce da un’esperienza che, per la formazione di parte della futura classe dirigente democristiana, si rivelerà importante per l’Italia della ricostruzione e dell’impetuoso sviluppo economico.

E proprio allora Montini, alla testa della più importante diocesi del mondo, si profilerà come il successore più probabile del nuovo papa Giovanni XXIII, che lo conosce dal 1925 e subito, nel 1958 lo crea cardinale.

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