Sulla questione di Autostrade per l’Italia (Aspi) il governo sembra essersi infilato in un vicolo cieco e la confusione cresce di giorno in giorno. L’ultima novità è una lettera ufficiale di Placido Migliorino, direttore generale della vigilanza sulle concessionarie autostradali, ai vertici del ministero delle Infrastrutture e Trasporti (Mit). A quanto si racconta il “poliziotto” delle autostrade avrebbe scritto una frase che va prima letta e poi spiegata: «Gli importi inseriti nella proposta del piano finanziario di Aspi sono sensibilmente inferiori rispetto alle reali necessità dell’infrastruttura». Perché è una bomba?

Perché Migliorino di fatto sta avvertendo il governo che, nel cosiddetto Pef (piano economico finanziario) con cui verranno dettate ad Aspi le regole per i restanti 18 anni di concessione, le spese di manutenzione necessarie alla messa in sicurezza del patrimonio autostradale sono fortemente sottostimate.

Migliorino avrebbe fatto riferimento ai problemi delle autostrade liguri, di cui si è direttamente occupato dopo il crollo del ponte Morandi, nelle quali le sue analisi dimostrerebbero una necessità di spesa doppia rispetto alle cifre inserite nel Pef da Aspi e approvate dal ministero. Una lettera del genere lascia il segno. Chi si assumerà la responsabilità di ignorarla, visto che, con il passaggio all’ufficio protocollo, è destinata a rimanere a futura memoria indelebilmente scolpita sui muri del ministero di Porta Pia?

Ogni giorno la sua pena

Un’altra grana si aggiunge dunque alle mille che il Mit non riesce a risolvere e che sembrano destinate a piombare sulla scrivania del premier Giuseppe Conte, già impegnato nella partita un po’ più seria del Covid-19. Si sta creando una situazione paradossale. Atlantia, la holding controllata dalla famiglia Benetton con il 30 per cento delle azioni, proprietaria dell’88 per cento del capitale Aspi, partita due anni fa nello scomodo ruolo di responsabile oggettiva del crollo del ponte Morandi, sta riuscendo a passare dalla parte della ragione proprio grazie alle incertezze strategiche del governo.

Non volendo o non potendo procedere alla revoca della concessione autostradale di Aspi come reazione dello stato alla strage di Genova, l’esecutivo si è avventurato in una sconcertante trattativa con Atlantia e Aspi in cui la sanzione è diventata la vendita di Aspi a un prezzo da decidere consensualmente. I vertici di Atlantia, avendo azionisti stranieri per almeno il 51 per cento del capitale, non possono regalare niente e devono vendere cara la pelle. Il governo, essendosi di fatto privato dell’unica vera arma a disposizione, la revoca, tratta con una grande società quotata in Borsa come se fosse un partito politico, con pressioni, slogan e telefonate.

Trattativa complicata

Nelle ultime ore l’affare si è ulteriormente complicato. Era inevitabile. Lunedì la Cassa depositi e prestiti (Cdp) avrebbe dovuto presentare ad Atlantia un’offerta per l’acquisto dell’88 per cento di Aspi. La Cdp ha formato una cordata con due fondi internazionali, Blackstone e Macquarie.

La quota della banca pubblica è del 40 per cento, mentre i due fondi avrebbero il 30 per cento ciascuno. Ricevendo l’offerta, Atlantia avrebbe dovuto concedere la trattativa in esclusiva a Cdp, e quindi il cda convocato per martedì mattina avrebbe dovuto annullare l’assemblea degli azionisti del prossimo 30 ottobre, chiamata a deliberare una procedura di vendita di Aspi aperta al miglior offerente.

Solo che Cdp l’offerta non l’ha fatta. Si è limitata a scrivere che valuta Aspi tra 8,5 e 9,5 miliardi, ma che il prezzo ovviamente dipenderà da cosa ci sarà scritto nel Pef, cioè da quale redditività dell’investimento sarà garantita dalle regole tariffarie. È complicato, ma dietro questi tecnicismi si nasconde il tentativo di sfilare qualche miliardo dalle tasche dei contribuenti.

Nel Pef definito dai tecnici di Aspi con il Mit c’è scritto che nei prossimi 18 anni la concessionaria autostradale distribuirà dividendi per 21 miliardi, oltre 1.100 milioni all’anno. È un livello di redditività addirittura superiore a quello degli anni precedenti al crollo del Morandi, che pure era talmente alto da far accusare Aspi di aver fatto i profitti risparmiando sulle manutenzioni.

L’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) ha dato il suo parere (obbligatorio per legge ma non vincolante per il governo) secondo cui il Pef andrebbe abbondantemente riscritto limando quei dividendi da 21 a 13-14 miliardi. Il valore di Aspi calerebbe automaticamente dagli 11 miliardi di cui si parla da mesi a 6-7. Cdp lunedì non ha fatto l’offerta che aveva promesso e Atlantia non ha concesso l’esclusiva.

Anche perché nel frattempo è intervenuta una feroce nota dell’Aiscat, l’associazione delle concessionarie autostradali, che contesta la decisione del governo di obbligare Atlantia a vendere a Cdp senza verificare altre proposte. Nei giorni scorsi il gruppo Gavio e il gruppo Toto, che sono dopo Aspi i due soci forti di Aiscat, avevano manifestato interesse anche loro a comprarsi Aspi.

L’attesa

Atlantia è in posizione di attesa. Se il Pef venisse modificato, facendo precipitare il prezzo di Aspi da 11 a 6-7 miliardi, potrebbe anche non vendere più. A quel punto il governo avrebbe difficoltà a motivare la revoca della concessione, anziché con il crollo del Morandi, con il rifiuto da parte di Atlantia di svendere la sua azienda.

Così il governo può solo rimescolare le carte, modificare il Pef ma non troppo, e far comprare a Cdp e ai suoi soci stranieri a un prezzo intermedio tra 11 e 6-7, appunto quei nove miliardi di cui si parla. La spedizione punitiva contro i responsabili dei 43 morti di Genova rischia di concludersi nel modo più beffardo: un regalo miliardario equamente diviso tra i fondi stranieri soci di Cdp e i fondi stranieri soci di Atlantia, con Cdp e Benetton beneficiati per la loro parte, tutto a carico degli automobilisti e autotrasportatori per i quali è stato predisposto un aumento dei pedaggi del 2,75 l’anno per i prossimi 18 anni.

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