In termini numerici le aziende condotte da uomini rappresentano ancora la maggioranza – secondo l’associazione nazionale Le Donne del Vino le imprese al femminile sono pari al 28 per cento - ma a livello comunicativo il ritratto della vignaiola è fortissimo e lo è da anni. Meno appeal suscitano tutte quelle figure che gravitano intorno agli aspetti più tecnici e scientifici del settore. Queste donne ci sono ma non compaiono pubblicamente, non salgono sui palchi dei dibattiti, non appaiono nei calendari degli eventi, non conducono degustazioni.

Tanti nasi femminili nei calici, pochi alla conduzione di masterclass

Nel settore si dicono masterclass le degustazioni di vino condotte da un degustatore che guida il pubblico alla scoperta e alla comprensione di diverse bottiglie. Compito che, date le medesime conoscenze della materia, non dovrebbero prevedere alcuna disparità di genere. Eppure, scorrendo i calendari delle degustazioni in giro per l’Italia, il numero delle donne appare irrisorio: partendo dall’estate del 2022  e arrivando alla fine di questo 2023 la differenza è evidente, la conduzione dei tasting è ancora saldamente nelle mani degli uomini (su circa un centinaio di tasting analizzati i nomi di donna si fermano a una decina).

Quello di Cristina Mercuri è tra i pochi nomi femminili che compare con più frequenza, con un diploma Wset (Wine&Spirit Education Trust) e probabile futura Master of Wine, il titolo mondiale più ambito nel settore del vino. Ex avvocato, oggi wine educator a tempo pieno, Cristina si è imposta, negli ultimi dieci anni, una disciplina “militare” per raggiungere il suo scopo. In questo peregrinare tra calici e bottiglie anche a lei salta all’occhio l’assenza delle donne: «Fino a qualche anno fa – spiega Mercuri – gli imprenditori del vino a cui facevo visita negli stand delle fiere neanche mi rivolgevano la parola. Questi atteggiamenti mi portano a studiare il doppio rispetto a un uomo per risultare inattaccabile, ma al contempo non devo ostentare la mia preparazione: se sei donna e rivendichi la tua bravura risulti una sbruffona, se lo fa un uomo scatta l’applauso. Devi affermarti esercitando una sorta di finta modestia». Sul perché ai tavoli di degustazione siedano poche donne, Mercuri sostiene che la colpa è di un’impostazione vecchia: «Le organizzazioni di questi eventi attingono da anni alle stesse liste monolitiche, che presentano sempre gli stessi nomi che accontentano clienti e pubblico. In pochi puntano su nomi nuovi o inconsueti, meno ancora se femminili».

La wine educator scommette però sulle nuove generazioni: «Per loro l’orientamento sessuale non è così importante e questo approccio cambierà molte cose”. Ne fa un discorso evolutivo anche Leila Salimbeni, direttrice editoriale della rivista Spirito di Vino che riconosce uno status quo piuttosto rigido: “I critici e i degustatori di vino ritenuti meritevoli sono per lo più uomini e non succede solo in Italia, ma è così anche in Francia dove ho partecipato a cene organizzate da produttori di vino dove l’unica donna presente, oltre a me, era la guardarobiera». Dieci anni di gavetta hanno portato la giornalista a dirigere una rivista di settore, un cammino non senza inciampi: «Gli attacchi più duri – continua Salimbeni – li ho ricevuti da donne che hanno proiettato su di me modelli maschili per delegittimarmi. Nessun uomo mi ha mai detto “chissà come sei arrivata fin qui”, le donne sì. Poi è vero, il comparto tende a coinvolgere sempre le stesse persone, perché il mondo del vino è avvitato su di sé, ma le cose stanno cambiando, serve solo più tempo perché è un ambiente lento».

Le donne amano il mondo del vino. E il mondo del vino ama le donne?

Lento è anche il cammino della certificazione della parità di genere introdotta dalla L. 162/2021 e prevista anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Sono appena 600 le aziende in Italia – in totale, non nel vino - che hanno intrapreso il percorso per il riconoscimento. Tra queste c’è Valoritalia, società italiana leader nella certificazione dei vini a Denominazione di Origine.

Tra i loro compiti c’è quello di valutare l’idoneità dei vini alle DO e a farlo sono le commissioni di degustazione: «Su un totale di 1381 commissari, ci sono solo 164 donne – spiega Giuseppina Amodio- direttore tecnico operativo Valoritalia – mentre va un po’ meglio sul fronte degli ispettori (chi effettua o assiste al prelievo dei campioni coadiuvato dal personale tecnico di cantina, n.d.r.), con 91 donne e 238 uomini». 

Altri dati attestano l’interesse delle donne nei confronti del vino. Lo dicono le due più importanti scuole di formazione per sommelier: il 40 per cento degli iscritti all’Associazione Italiana Sommelier – AIS – è donna, mentre in Fisar – Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori - la percentuale si attesta poco sotto, sul 39,60 per cento. Sono donne coloro che, nel segmento enoturistico, prenotano le visite in cantina (58,4 per cento secondo il rapporto 2023 della società Divinea) e nel 2021 per la prima volta hanno superato numericamente gli uomini nei consumi di vino: 55 per cento contro 45 per cento (indagine Wine Intelligence per Osservatorio Uiv). Insomma, le donne amano il mondo del vino, ma non sembra vero il contrario. Soprattutto in ambito tecnico e scientifico. 

Alessandra Biondi Bartolini è un’agronoma e direttrice scientifica della rivista Millevigne. Vent’anni fu lasciata a casa dall’azienda in cui lavorava perché incinta. Da allora ha intrapreso la strada delle consulenze: «E tengo molto al fatto che mi chiamino agronoma e direttrice – sottolinea Bartolini – perché l’inclusione passa anche attraverso il linguaggio». Dopo un master in Giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale della scienza, Alessandra si è dedicata molto alla divulgazione ma, racconta, che nelle tavole rotonde sui temi dell’agricoltura e della viticoltura capiti che la invitino solo come moderatrice: «La parola viene data a relatori maschi e anziani. Nel mondo agrario ed enologico le donne non sono pochissime (una stima fatta dall’Associazione delle Donne del Vino parla di una quota che va dal 10 al 14 per cento, ndr), ma poche emergono nell’ambito della ricerca, altre lavorano in laboratorio e altre ancora finiscono nelle aree marketing e commerciali delle aziende. Insomma, si adattano all’idea di fare lavori ritenuti “più femminili”. Quelle che tengono duro e stanno in campo e in cantina devono accettare spesso stipendi più bassi dei loro omologhi maschi, un contratto da cantiniere, ad esempio, invece che da enologo».

Il vino non è un paese per donne. I social sì

Ancora più netta è la posizione di Lea Fiorentini, agronoma toscana che ha lasciato il mondo delle aziende per occuparsi di sviluppo di prodotti per la viticoltura in una multinazionale: «Sono stata costretta a farlo – dice Lea – perché il mondo agricolo è medievale. Pensa alle difficoltà che si hanno vivendo in campagna, avendo figli e nessun servizio, con i titolari che ti obbligano a vivere in azienda, oppure alle cene a cui devi presenziare perché devi parlare della vendemmia fino a notte fonda. Tempi e spazi sono ancora tarati sulle esigenze maschili. Girerò duecento aziende all’anno solo nel centro Italia e non conosco una direttrice responsabile». 

In molti comunicati stampa tra agosto e ottobre si legge della “vendemmia delle donne”, un racconto un po’ edulcorato di compiti, in verità, non sempre remunerativi: «Tra i filari le donne ci sono, è vero – continua Fiorentini - ma si occupano dei compiti più rognosi e peggio pagati come la potatura, la legatura e la defogliazione delle viti. Poi gli uomini raccolgono l’uva, spesso con macchine vendemmiatrici». 

Anche nel mondo agricolo, e quindi anche viticolo, la pervasività dei social media ha cambiato le cose e, se non ha modificato i rapporti di forza, di certo ha offerto canali di visibilità più liberi e meritocratici. Così è andata a Martina Broggio, agronoma ed enologa che arriva al web con la creazione di applicazioni dedicate all’individuazione dei patogeni della vite e all’uso corretto dei prodotti fitosanitari: «Era la mia tesi di laurea e da quel momento Facebook prima e Instagram poi sono stati “il mio canto libero”. A me, che mi occupo di viticoltura sostenibile in relazione ai cambiamenti climatici, serviva una piattaforma più agile del mondo accademico o delle riviste. Ho urgenza di far vedere quanto è drammatico ciò che sta accadendo e i social sono il luogo più veloce».

The grape vine girl, come la conoscono i suoi 20mila followers, conosce anche le insidie di un account donna in un mondo prevalentemente maschile: “Da anni mi ripeto che ho tre secondi di tempo per far capire che ho un cervello – spiega l’agronoma – non metto lo smalto sulle unghie da anni e indosso sempre t-shirt accollate. Ho puntato tutto su concetti scientifici spiegati in maniera semplice e pragmatica, vado diretta e non ammicco, cosa che purtroppo accade spesso tra le wine influencer con un’esposizione del corpo che non condivido”.

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