Didier Drogba è un personaggio che in Costa d’Avorio si fa fatica a ignorare. Appartiene alla classe di grandi ex calciatori la cui influenza è incontenibile. Sin dall'inizio del suo percorso con la nazionale il suo impatto sulla società ivoriana è uscito dal terreno di gioco e ha contribuito a risollevare le sorti di un Paese che aveva toccato il fondo. Il 19 settembre 2002, undici giorni dopo il suo esordio, la Costa d’Avorio piombò in un conflitto civile che sarebbe durato quasi quattro anni e mezzo. La nazionale, che in rosa vantava già la generazione d'oro dell'Asec Mimosas capeggiata dai fratelli Kolo e Yaya Toure, mancherà la qualificazione alla Coppa d’Africa 2004. Un colpo duro da digerire. Erano ventidue anni e dieci edizioni consecutive che la squadra prendeva parte al torneo più prestigioso del continente.

Quel fallimento risvegliò la coscienza di una nazionale formata da giocatori di personalità, consapevoli che il calcio avrebbe potuto giocare un ruolo chiave nell'interrompere la guerra e avviare un percorso di riconciliazione. Un fallimento che risvegliò più di tutti Drogba. Con otto reti nelle qualificazioni trascinò la Costa d’Avorio alla prima fase finale di un Mondiale, nel 2006. Non solo. Nel post-partita della partita decisiva contro il Sudan, dallo spogliatoio dello stadio di Khartoum, Drogba invitò i suoi connazionali alla pace perché loro, i calciatori, dimostravano come si potesse convivere a prescindere dall'etnia o dalla religione di appartenenza.

In Germania gli Elefanti saluteranno la competizione già al primo turno, ma quell'impresa ottenuta da una squadra mista rafforzerà il messaggio lanciato da Drogba. Il suo impegno continuerà nei mesi e negli anni a venire. Sempre nel 2006 Drogba porterà il trofeo del Pallone d'Oro africano a Bouaké, linea di frontiera e città al tempo comandata dalle forze ribelli del nord. Nel 2011 sarà tra i membri della Commissione della Verità e della Riconciliazione voluta dall'attuale presidente Alassane Ouattara in seguito alla crisi post-elettorale sfociata in un altro, più breve, conflitto militare.

Drogba, che ha lasciato la Costa d’Avorio in tenera età, rappresentava la diaspora ma anche la speranza di un futuro di pace. Oggi che i conflitti sono alle spalle, vorrebbe ridare speranza al calcio locale. Per questo motivo nel 2022 si è candidato alla presidenza della federazione. Ha perso al primo turno, raccogliendo solo 21 voti sui 130, ma non ha rinunciato all'idea di prendere il comando di un'istituzione che l'anno prima era stata commissariata dalla Fifa, perché ritenuta incapace di organizzare le elezioni.

«I giovani ivoriani vedono Drogba come colui che può davvero cambiare il calcio locale», afferma il consulente sportivo Prince Akabla. «I risultati negativi di club e nazionali hanno accentuato la crisi di fiducia tra il popolo e i dirigenti e spinto gli appassionati a seguire meno le vicende del calcio ivoriano», continua Akabla. La sua idea è che Drogba si sia affidato a una strategia comunicativa inefficace in campagna elettorale. «Sono i presidenti dei club che votano il presidente federale – conclude Akabla – Drogba avrebbe dovuto convincere loro, non la popolazione che lo sostiene da sempre ma non ha voce in capitolo».

Drogba è comunque rimasto accanto alla nazionale, ancor di più durante questa Coppa d'Africa in corso in Costa d’Avorio. In qualità di ambasciatore della Caf e di analista sportivo della televisione locale Nci, sta osservando da vicino l'andamento di una federazione che non sembra avere tutto sotto controllo, come suggerisce la decisione di esonerare il ct Gasset tra l’ultima partita del girone e gli ottavi di finale. Appuntamento al 2026 con le prossime elezioni.

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