Le strategie politiche del governo di Giorgia Meloni in tema migratorio al momento si sono rivelate fallimentari. Le promesse fatte in campagna elettorale non sono state rispettate e gli accordi bilaterali come quelli siglati con la Tunisia in ambito europeo, ma di cui Meloni è stata grande sponsor, non hanno portato ai risultati sperati. I migranti continuano ad arrivare mentre sullo stato dei rimpatri i numeri sono come quelli dello scorso anno secondo i dati del Viminale. A confermarlo è Mauro Palma, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Lei ha condiviso alcuni dati forniti dal Viminale sul numero dei rimpatri. Cosa è cambiato realmente con il nuovo governo viste le promesse fatte in campagna elettorale da Giorgia Meloni?
Non è cambiato nulla se non nel numero degli arrivi che sono aumentati. Dall’inizio dell’anno quasi 124mila persone sono arrivate in Italia. Di queste, oltre 84mila sono arrivate con i barchini, oltre 39mila sono stati recuperati dai mezzi di soccorso e circa 5579 sono state salvate dalle ong. Eppure, noi abbiamo focalizzato tutto il dibattito politico sui soccorsi delle ong (additate come pull factor ndr), ma i dati evidenziano come i problemi siano altri.

Noi nel 2022 in tutto l’anno abbiamo rimpatriato 3275 persone, al 31 agosto del 2023, invece, siamo a 2293. Se proiettiamo i numeri sul resto dei mesi che mancano otteniamo quasi lo lo stesso valore del 2022, ma siamo in una situazione in cui gli arrivi sono drasticamente aumentati. La Tunisia continua a rimanere comunque il paese con il maggior numero dei rimpatri. A Tunisi sono volati 46 voli charter su 69 totali.

A livello europeo, invece, i numeri sono diversi?
I dati Frontex dicono che l’anno scorso nei paesi dell’Unione europea più quelli dell’area Schengen sono stati emessi 515 documenti di rimpatrio, ma di questi ne sono stati eseguiti 85761. Quindi meno di un quinto. Tuttavia, c’è un maggior numero di rimpatri volontari, circa la metà sul totale. Noi lo scorso anno ne abbiamo avuti 500 su 3275, una quota minimale. C’è tuttavia una nota positiva, per esempio l’Italia non rimpatria i minori non accompagnati, cosa che invece altri paesi fanno.

Tra le sue funzioni c’è anche il monitoraggio delle procedure di rimpatrio. Più volte ha evidenziato varie criticità, è cambiato qualcosa nell’ultimo anno?
Noi monitoriamo tre fasi dei rimpatri. Nella prima verifichiamo come le persone vengono portate via dai centri e se sono adeguatamente informati di dove stanno andando. La seconda fase è quella in aeroporto, che comporta i controlli di sicurezza, il riconoscimento consolare e l’imbarco dove spesso ci sono momenti di tensione con persone che vengono legate con le fascette ai polsi. La terza fase, invece, è quella del volo vero e proprio ma è meno problematico perché una volta imbarcate, le persone hanno preso atto del fallimento della loro permanenza in Italia. Noi stiamo cercando di stringere accordi bilaterali con altri accordi per continuare a monitorare una quarta fase, cioè quella del land over, per accertarci delle tutele riservate alle persone. Ma è un lavoro complicato, finora siamo riusciti a farlo solo con la Georgia e l’Albania, è in via di definizione con il Marocco.

A marzo il ministero della Giustizia ha siglato un accordo con le autorità del Marocco per rimpatriare i detenuti irregolari presenti nelle carceri italiani. Funzionerà?
In Italia i detenuti possono scegliere se tornare su base volontaria nel loro paese di origine, questa come una misura alternativa alla pena quando mancano due anni. Personalmente sugli accordi su base involontaria ci credo poco, i paesi di origine tendono a non prendersi i detenuti.

Lo scorso anno si è parlato molto delle violazioni che accadono all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Ci sono stati cambiamenti anche alla luce delle denunce della società civile?
Per i Cpr la situazione è uguale: non ci sono tutele di tipo giurisdizionale, c’è un vuoto del tempo con le persone che non fanno nulla durante la loro permanenza e c’è il caso della non relazionalità con l’esterno. Sono tre difetti che ancora si tenta a stento di superare.

Eppure il commissario all’emergenza migranti, Valerio Valenti è convinto che i Cpr siano un modello giusto da seguire. Ha annunciato l’intenzione di costruirne altri, così come per gli hotspot…
Per ora non ne vedo. Sui Cpr credo che il modello in quanto tale vada rivisto, se non hai un accordo con lo stato di destinazione che possa dare una prospettiva di rimpatrio perché con quel paese non hai un accordo di riammissione il Cpr è un luogo dove si sottrae tempo a una persona, dove si dilungano i tempi e si spera che questa persona se ne vada. Sugli Hotspot, invece, mi sento di dire che altre strutture servirebbero, Lampedusa non può accogliere tutti.

Qual è invece lo stato delle carceri in Italia alla luce del nuovo cambio al vertice del Dap?
Gli istituti penitenziari sono in situazioni che mantengono tutte le stesse criticità, quello che è cambiato in peggio sono i numeri. Siamo arrivati a oltre 58600 detenuti, mentre abbiamo chiuso il 2022 a oltre 56mila. È un buon aumento che però non ha portato parallelamente a nuovi posti. Quello che spero rispetto al dipartimento è che ci possa essere uno sguardo più di lungo profilo. Prima ancora di avere impostazioni ideologiche, dico che il sistema deve avere una sua capacità di funzionare. Lo dico anche per chi opera, per la polizia penitenziaria, che deve credere che ci sia una progettualità sul tema.

I nuovi provvedimenti del governo, però, rischiano di facilitare la detenzione minorile. Cosa ne pensa?
Attualmente ci sono 427 detenuti minori e giovani adulti su 428 posti. Se questi provvedimenti introdotti, come si pensa rischiano di portare a una maggiore carcerazione, non vedo dall’altra parte che si sia progettato contestualmente un aumento di spazi e di personale. Cioè, dove li metti i nuovi detenuti?

Al momento la maggior parte dei nomi che sono stati fatti per la sua successione riguardano persone che hanno militato nei partiti di maggioranza. Non pensa che figure di questo tipo rischino di minare l’indipendenza dell’istituzione che lei attualmente ricopre?
Sui nomi non rispondo perché non mi compete. Mi preme, però, che ci sia una continuità di indipendenza e che venga chiamata una persona di alto profilo e multidisciplinare per questa istituzione.

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