L’avvento di Oleato, linea di caffè all’olio extravergine d’oliva creata da Starbucks, ha fatto sollevare qualche sopracciglio. Ma questa ricetta è figlia di un mood planetario, che considera l’olio un superfood.

È considerato un alimento nutraceutico, cioè capace di unire benefici medici a quelli nutrizionali: a dirlo, numerosi studi. Inoltre, nel 2018 anche l’americana Food and Drugs Administration ha riconosciuto i benefici dell’olio d’oliva per le patologie cardiovascolari, sdoganando l’impiego di questo alimento nel settore farmaceutico. Quindi la bevanda di Starbucks non doveva essere solo gustosa, ma anche salutare, oltre che simbolo di italianità.

Col tempo gli studi e le applicazioni alternative dell’olio extravergine d’oliva si sono moltiplicati. Dall’utilizzo nei cosmetici al riuso degli scarti di lavorazione nei frantoi per creare conservanti naturali e portare i polifenoli nei mangimi animali: l’olio evo può andare oltre la tavola. Gli usi alternativi dell’olio extravergine d’oliva, con l’aumento delle esportazioni e l’oleoturismo, potrebbero diventare un “secondo raccolto” utile al Pil italiano e alla lotta contro l’abbandono dei campi.

Il balzo dell’export

Negli ultimi trent’anni le esportazioni di oli d’oliva italiano (evo e sue frazioni ottenuti esclusivamente dai frutti dell’ulivo attraverso procedimenti meccanici o fisici) nel mondo sono quasi triplicate. L’incremento è pari al 170 per cento. Nel 2022 sono state esportate 360mila tonnellate. Il primo mercato di riferimento sono gli Stati Uniti, con 110mila tonnellate di prodotto esportato.

Seguono Germania (45mila tonnellate, +403 per cento rispetto al 1992), Francia (34mila tonnellate, + 208 per cento), Giappone (20mila tonnellate, +895 per cento), Canada (19mila tonnellate, +178 per cento), Gran Bretagna (16mila tonnellate, +226 per cento; dati: Istat-Coldiretti). Motore del fenomeno sono la Dieta Mediterranea e le 533 varietà di olive coltivate in Italia, per un totale di 250 milioni di piante. Da qui nasce il maggior numero di oli extravergine a denominazione in Europa, con 42 Dop e 7 Igp.

“Miracolo verde”

Il "miracolo verde" potrebbe essere ancora più grande se connesso agli studi scientifici che valorizzato i benefici nutraceutici dell’olio evo e i suoi impieghi alternativi. C’è chi non teme di pagare 15 euro un litro d’olio. Invece c’è chi non è disposto a spendere tali cifre per un alimento, ma potrebbe farlo per un cosmetico.

«Già gli antichi greci e romani utilizzavano l’olio d’oliva per proteggere la pelle e renderla lucente – spiega Nicola Di Noia, direttore generale Unaprol e responsabile olio Coldiretti – Utilizzare l’olio evo in cosmesi significa tornare a un prodotto naturale, non di sintesi, con tanti vantaggi per la cura della persona. Molte aziende olivicole, frantoi e realtà industriali stanno studiando gli usi alternativi dell’extravergine e suoi derivati all’interno di prodotti di bellezza, prendendo in considerazione sia il prodotto finito sia i residui di lavorazione».

Ma il fenomeno è ancora limitato e non ancora indagato a livello economico. Tuttavia, le alternative alla vendita dell’olio evo stanno interessando diversi segmenti, tra cui quello turistico. La produzione olivicola ha un fatturato di 3,3 miliardi di euro (Ismea). Le aziende del settore stanno affiancando a questo reddito ospitalità e attività legate all’extravergine, come visite guidate a campi e frantoi, degustazioni e persino trattamenti a base di olio evo. Tutto ciò può produrre reddito aggiuntivo. Inoltre, la tutela degli ulivi attraverso le buone pratiche di gestione del suolo e il contrasto alla diffusione sempre più allarmante della Xylella, concorrono a rendere gli alberi monumenti da vedere, e la raccolta delle olive un’esperienza da fare.

Il futuro è negli scarti

Intanto, sei università italiane sono al lavoro per valorizzare gli scarti di lavorazione dell’olio. Ne è un esempio il progetto "SOS" (Sustainability of the Olive-oil System), finanziato da dieci fondazioni bancarie (Ager) con 7 milioni nel triennio 2018-2021. Secondo la ricerca coordinata da Francesco Caponio, professore del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, anche molecole bioattive recuperate da scarti e sottoprodotti della filiera olivicolo-olearia possono essere utilizzate in farmaceutica.

In particolare, è emerso che estratti di foglie di olivo sono in grado di bloccare l’azione genotossica del cadmio ed espletare attività antiossidante con conseguente riduzione dello stress ossidativo. Sul versante alimentare, invece, gli stessi estratti si sono rivelati adatti ad aumentare la shelf-life di diversi alimenti, come i tipici taralli pugliesi, il paté di olive, le olive da tavola fermentate in salamoia, la stracciatella. Grazie alla loro attività antiossidante e antimicrobica, i conservanti chimici potrebbero diventare un ricordo.

Dall’abbandono a una nuova redditività

Il felice dato dell’export ha un triste controcanto. Infatti, nonostante la presenza di 650mila aziende olivicole e 4500 frantoi attivi, dal 2010 ad oggi la produzione di olio è quasi dimezzata, passando da 500mila tonnellate a circa 329mila della campagna 2021/2022. Ismea stima che nella prossima stagione si arriverà a circa 240mila tonnellate. La scarsa produzione è collegata a bassa redditività di settore e al progressivo abbandono delle campagne, che Di Noia stima in un dato medio nazionale pari a 25 per cento.

Gli usi alternativi dell’olio evo e l’interesse dei mercati esteri potrebbero far crescere l’economia degli uliveti. «Tuttavia, i produttori e i frantoi impegnati sugli usi alternativi dell’olio evo, dagli impieghi farmaceutici all’oleoturismo, sono ancora una minoranza. Azzardando un dato, forse solo il 5 per cento di queste imprese realizza prodotti non alimentari all’olio evo e li esporta. La strada è in salita e passa anche dalla formazione, focus della Fondazione Evoo School, in cui si fanno corsi per professionisti e appassionati del mondo dell’olio».

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