Ergastolo e condanna al pagamento di due milioni di dollari. È questa la sentenza emersa al termine dell’ultima udienza di venerdì 7 aprile del processo svoltosi a Kinshasa, presso il tribunale militare, ai cinque presunti colpevoli (un sesto è latitante, ndr) delle uccisioni dell’Ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista del Pam (Programma Alimentare Mondiale) Mustapha Milambo, accorse nella Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio del 2021.

Gli imputati dovevano rispondere delle accuse di «omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra» e, sebbene tre siano stati assolti dal reato di detenzione di armi da guerra, gli altri capi di imputazione sono stati ritenuti sufficientemente gravi per la corte, da giustificare l’ergastolo.

Il verdetto accoglie le richieste della famiglia che, per bocca della moglie Zakia, che aveva anche lanciato una petizione attraverso la Fondazione Mama Sofia da lei presieduta, e del padre Salvatore, si era espressa contro la prima richiesta di pena di morte dei pm congolesi dell’8 marzo scorso, e quella dello stato italiano, parte civile nel procedimento, e pone fine a un processo dai contorni per nulla lineari.

Si attende di sapere se le difese impugneranno la sentenza o se il giudizio pronunciato oggi dai magistrati congolesi metterà la parola fine al percorso.

Il processo

Inaugurato il 12 ottobre scorso all’interno del carcere militare di Ndolo, il processo trae le sue origini dagli arresti operati dalle forze di polizia del Nord Kivu sotto gli ordini del generale Aba Van Ang, a gennaio del 2022. Gli imputati erano inizialmente sette. Oltre a uno, come detto sopra, latitante (Ikunguhaye Mutaka Amos detto Uwidu Hayi Aspera), era stato arrestato anche Mauziko Banyene. Quest’ultimo, non si è mai capito sulla base di quale motivazione, è stato rilasciato a luglio scorso e, tornato alla sua attività estorsiva nella zona di Mubambiro, alla periferia di Goma, all’indomani del rilascio, è stato immediatamente identificato dalla popolazione locale che lo considerava un pericoloso malvivente, e linciato a morte dalla folla.

La famiglia segue fin dall’inizio il processo con ovvio interesse quanto perplessità. Dopo essersi costituita parte civile per avere accesso agli atti, una volta ottenute le carte («ci hanno consegnato solo le principali» ha affermato l’avvocato Rocco Curcio), ha ritirato la costituzione.

La pena, sebbene più mite rispetto a quella capitale (che sarebbe rimasta simbolica visto che non viene eseguita ormai da decenni in Congo, ndr) lascia ugualmente perplessi per la durezza espressa, al culmine di un percosso disseminato di irregolarità, incidenti, irritualità e conclusosi tra mille aspetti da chiarire. L’elenco è davvero lungo, andiamo per ordine.

Le perplessità

Già attorno all’arresto dei sei imputati a gennaio del 2022 si concentrano molti dubbi. Intanto a rivelare la svolta nelle indagini che dovrebbero assicurare alla giustizia gli esecutori dell’omicidio di un ambasciatore, è un ufficiale locale, il comandante della polizia del Nord Kivu, generale Aba Van Ang, senza che la notizia venga confermata da Kinshasa.

A processo iniziato, poi, si verrà a sapere che i sei nel primo interrogatorio, sono stati sentiti senza l’assistenza di legali, un aspetto cruciale per il prosieguo dell’inchiesta, visto che in quell’occasione confessarono di aver progettato e condotto l’agguato a scopo estorsivo salvo poi ritrattare all’unanimità fin dalla prima udienza sostenendo che le confessioni furono estorte sotto tortura.

Sulla somma della presunta estorsione, poi, c’è un’infinita distanza tra le stime degli inquirenti congolesi (un milione di dollari) e quella della procura di Roma successiva ai colloqui con i Ros tornati dalla missione a Kinshasa lo scorso luglio (50mila dollari). Ma ancora più sorprendente, restando sulla motivazione dell’agguato, è la conclusione a cui sono giunti i magistrati congolesi che, dopo aver impostato l’impianto accusatorio per mesi proprio sull’estorsione, l’8 marzo scorso parlano per la prima volta di «esecuzione». Come si è giunti a questa nuova definizione completamente diversa dalla prima? E soprattutto, chi avrebbe ideato e deciso di uccidere un ambasciatore di uno stato europeo, e perché?

Nel frattempo, in un’udienza di dicembre, uno degli imputati, Amidu Sembinja Babu, che aveva firmato il verbale in cui si accusava Shimiyimana Prince Marco di aver materialmente sparato ad Attanasio, smentiva tutto al magistrato Bamusamba Kabamba: «Poiché non so né leggere né scrivere hanno riportato cose che non ho mai detto né firmato con il mio nome» mentre un altro, Bahati Kiboko, ha addirittura riferito che all’epoca dei fatti non poteva trovarsi sul luogo dell’attentato perché in stato di detenzione nel carcere di Goma. Sull’evenienza, non è mai stata fatta chiarezza.

A tutte queste irregolarità, si aggiunge l’enorme difficoltà di collaborazione che i nostri inquirenti e le autorità  politiche si sono trovate ad affrontare fin dall’inizio con la controparte congolese, a cominciare dal presidente.

L’incontro

Felix Tshisekedi, ha prima rilasciato a maggio 2021 una dichiarazione di «assicurazione alla giustizia degli esecutori degli omicidi», poi rilevatasi una bufala marchiana, ed è poi volato due volte a Roma nel corso del 2021. Ha incontrato, il 2 settembre, il presidente Sergio Mattarella per una visita lampo durata meno di un’ora e ha poi partecipato a Roma al G20 a ottobre in qualità di presidente di turno dell’Unione africana. In quell’occasione ha parlato con il premier Mario Draghi. Chi si aspettava che dopo aver parlato con le cariche più alte italiane, il presidente Tshisekedi avrebbe attivato ogni canale possibile per facilitare le indagini dei nostri inquirenti e dare finalmente risposta alle due rogatorie fin lì inevase, rimarrà deluso.

Bisognerà attendere il luglio del 2022 perché finalmente ai Ros, andati e tornati a casa due volte senza aver sostanzialmente toccato palla, venga consentito di interrogare i sei indagati e acquisire materiale probatorio, e l’ottobre scorso per l’inizio di un processo.

Si conclude così la parte congolese dell’indagine sulla morte dei due nostri connazionali e dell’autista Milambo. La Farnesina, sentite a varie riprese in precedenza, sostiene di essere cautamente soddisfatta della nuova fase che si sarebbe aperta all’indomani della missione dei Ros e dell’indizione del processo.

«Le perplessità restano – dichiara invece Salvatore Attanasio sentito appena giunta la notizia della sentenza -. Innanzitutto, ci chiediamo se siano davvero loro gli esecutori, date le tante cose da chiarire attorno al processo, ma anche se fossero, resta da capire chi siano i mandanti. Anche sul capo di imputazione originario, poi, noi alla rapina a scopo estorsivo finita male non abbiamo mai creduto. Attendiamo che i nostri legali e gli inquirenti valutino bene gli atti. Uno stato che si rispetti deve esigere la verità con gli artigli specie se a essere ucciso è un suo rappresentante diplomatico».

La palla passa ora alla procura di Roma che prosegue il lavoro nell’ambito del secondo filone d’inchiesta (il primo chiusosi a febbraio 20220 vede rinviati a giudizio i due funzionari del Pam Rocco Leone e Mansour Rwagaza indagati per omesse cautele, ndr) sul tentativo di sequestro a scopo di terrorismo di cui sono state vittime i nostri connazionali. Finito il processo a Kinshasa, ha ora a disposizione elementi che, si spera, potranno fare un po’ più di luce.

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