La recentissima iniziativa del governo italiano di richiedere un tampone ai cittadini europei che entrano in Italia ha suscitato qualche reazione risentita in sede comunitaria e ulteriore confusione tra la gente comune. Ma come?

Non ci avevano appena detto che il super Green pass  (quello da vaccinazione e non da tampone) era lo strumento migliore per ridurre al minimo il rischio di contagio e che, al contrario, del tampone non c’era troppo da fidarsi? Perché adesso dovrebbero essere proprio  i tamponi a difendere i nostri confini?

Capire perché sia stata presa questa decisione e  quali vantaggi potrebbe portarci nella lotta contro la nuova variante Omicron non è difficile, ma richiede  un po’ di pazienza e un minimo di confidenza con i numeri.  Proverò allora a procedere  con ordine, partendo da alcuni concetti generali per fare subito  dopo un po’ di conti.

Un primo importante concetto da assimilare è che, con tutti i se e tutti i ma del caso, la vaccinazione con due sole dosi non protegge adeguatamente da Omicron, anche se per fortuna quella con tre sembra funzionare decisamente meglio. 

La maggior parte della popolazione italiana ed europea (quella che ha ricevuto solo una o due dosi di vaccino) resta dunque sensibile a questa variante del virus e potrebbe venirne infettata (in modo quasi sempre asintomatico).

La differenza di Omicron

Una seconda considerazione è che l’Italia ha un numero di casi di Omicron decisamente più basso del resto d’Europa e che sta procedendo speditamente con le terze vaccinazioni. Ogni giorno che passa  aumenta dunque il numero di soggetti vaccinati resistenti al virus e la speranza che la diffusione di questa variante  possa essere, almeno in parte, contenuta.

Il modo più semplice per passare adesso ai numeri è quello di  ricordare la famosa leggenda (volta per volta raccontata come indiana, persiana, o egiziana) del riso e della scacchiera, perché aiuta molto bene a comprendere il concetto di crescita esponenziale.

Se mettiamo un chicco di riso sul primo quadrato della scacchiera, 2 sul secondo, 4 sul terzo, 8 sul quarto, 16 sul quinto e via raddoppiando, sul ventunesimo quadrato dovremmo mettere circa un milione di chicchi e sul sessantaquattresimo circa 18 milioni di miliardi di chicchi, cioè l’intera produzione mondiale di riso di 500 anni.  

Se torniamo a Omicron (la cui esponenzialità prevede un raddoppio di casi ogni 2-3 giorni) e alla sua diffusione, possiamo analogamente calcolare che, partendo dai circa 50 casi italiani di oggi, ci troveremo ad averne  cinquantamila entro la  Befana.

Questo in un paese dove il tasso di positività dei tamponi  e la percentuale della variante Omicron sui positivi sono da 3 a 5 volte più basse di quelle di molti altri paesi europei.

Facciamo ora il caso di un paese dove ogni 1000 tamponi i positivi siano 200 (come avviene per esempio in Germania) e dove di il 5 per cento di questi  (come non è ancora, ma potrebbe essere nel giro di pochi giorni) sia portatore della variante Omicron.

Se un milione di cittadini  di questo ipotetico paese entrasse in Italia nei prossimi giorni (in epoca pre-Covid circa 5 milioni di stranieri venivano in Italia per le vacanze di fine anno), tra di loro ci sarebbero 10.000 soggetti infettati da Omicron, indipendentemente dalla loro condizione vaccinale. 

Sulla nostra scacchiera questo ci farebbe fare un balzo in avanti di almeno una quindicina di caselle, cioè di altrettanti giorni.  

Abbastanza per rovinarci Natale e l’ultimo dell’anno. La decisione di Draghi mira ad evitare questo rischio, consentendo  nel frattempo a qualche milione di Italiani in più di fare la terza dose.

Una buona cosa in fin dei conti, anche se i tamponi non riusciranno a identificare tutti i casi e non saranno purtroppo sufficienti per modificare  la previsione che Omicron diventerà anche in Italia la variante di SARS-CoV-2 prevalente entro il mese di febbraio.

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