Dalle centinaia del 1945, che lottavano «per salvarci dalla fame, per difendere il pane ai nostri figli, per difenderci dal freddo e dalla miseria», alle maree delle scioperanti con Non Una Di Meno, che nella sua piattaforma di quest’anno chiede il salario minimo e si oppone al ddl Sicurezza
«L’8 marzo sarà dunque per noi giorno di lotta per salvarci dalla fame, per difendere il pane ai nostri figli, alle nostre famiglie, per difenderci dal freddo e dalla miseria e sarà pure giorno di impegno da parte nostra e di speranza per un domani di libertà e di progresso». È il 1945, anno della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, e Noi Donne, il periodico dell’Unione donne italiane (Udi), si rivolge alle «sorelle dell’Italia liberata» e alle «donne dell’Italia occupata».
L’articolo battuto a macchina si intitola 8 marzo – giornata internazionale delle donne. Secondo diverse fonti, già nel 1922 il Partito comunista d’Italia aveva provato a organizzare la giornata internazionale delle donne, ma l’8 marzo 1945 per le italiane acquista un significato diverso, politico, perché porta con sé il concetto di lotta e di resistenza.
L’edizione lombarda di Noi Donne del marzo 1945 racconta che «a Milano la giornata dell’8 marzo è stata una giornata di mobilitazione generale. All’appello e sotto la direzione del G.D.D. (Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà, ndr) le operaie, le impiegate, le casalinghe, le intellettuali, tutte le donne milanesi sono scese in campo».
Non bisogna immaginarsi migliaia di donne in strada a rivendicare il diritto alla parità di genere contro ogni forma di sopruso, come accade oggi. La rivista parla di «alcune centinaia» di donne accompagnate da una squadra del Fronte della gioventù, nota organizzazione impegnata nella lotta di liberazione dell’Italia, che sono andate al cimitero a ricordare i caduti e poi alla sede del Sepral, la sezione provinciale dell’alimentazione costituita in periodo di guerra, per reclamare cibo, sale e legna. Quel giorno le italiane manifestavano «contro la fame, le violenze nazifasciste» e ricordavano «le combattenti che lottano clandestinamente, che sfidano ogni giorno la deportazione, il carcere, le torture e anche la morte».
Festa e rivendicazioni
Con la caduta del fascismo e la liberazione di tutta l’Italia, l’8 marzo diventa una ricorrenza nazionale. Nei volantini del 1947 si parla di «Festa della donna», ma accanto al carattere gioioso non mancano le rivendicazioni: «Chiediamo che per le donne che lavorano l’indennità di contingenza sia uguale a quella degli uomini, perché il pane costa uguale per tutti», e che «non ci siano più guerre a distruggere le nostre case».
Negli anni si susseguono lotte incentrate sul salario, sul lavoro e sulla famiglia. L’edizione romana del quotidiano socialista Avanti! dell’8 marzo 1960 scrive che «il mondo femminile romano reclama parità di diritti», mentre sull’edizione milanese si racconta che quel giorno sono state organizzate «numerosissime manifestazioni indette dall’Unione donne italiane». Negli anni Sessanta in alcuni manifesti accanto alle rivendicazioni degli anni precedenti, acquista spazio il tema della guerra del Vietnam e la solidarietà ai popoli oppressi.
Con il passare del tempo le richieste diventano sempre più ampie, si moltiplicano in tutta l’Italia le iniziative ed entrano a far parte delle rivendicazioni femminili anche altri temi. L’8 marzo 1980 La Stampa scrive che «le donne socialiste» torinesi hanno presentato otto proposte di legge su «diritto di famiglia, violenza sessuale, delitti contro l’assistenza familiare, attribuzione della cittadinanza italiana, scioglimento del matrimonio, causa d’onore, adozione, aborto». E l’ampliarsi del dibattito è visibile anche dall’edizione dell’8 marzo 1991 dell’Avanti!, che pubblica un inserto di otto pagine in cui affronta temi ancora attuali: la sotto rappresentazione delle donne in ambito politico, la cultura sessista dei libri scolastici, la condizione femminile nel sud Italia e in altre parti del mondo.
La marea
Per decenni l’8 marzo è stata principalmente la giornata delle donne, in cui talvolta facevano capolino argomenti che andavano anche al di là della condizione femminile in senso stretto, come il tema dei popoli oppressi dalla guerra. Negli ultimi anni l’8 marzo ha saputo allargarsi a molte altre istanze e rivendicazioni, è diventato una marea che accoglie tutte le soggettività, siano esse italiane, straniere, donne, trans*, omosessuali, persone con disabilità, escluse, marginalizzate, sfruttate.
È il 2017 quando per la prima volta l’8 marzo Non una di meno (Nudm) organizza in Italia quella marea aderendo a uno «sciopero globale» con una cinquantina di altri paesi. «Le donne di tutto il mondo hanno recuperato il valore rivoluzionario della giornata dell’8 marzo. Perché l’8 marzo non è una giornata di festa ma una giornata di lotta», scriveva Nudm nel 2017. Quel giorno i cortei sono stati l’occasione per ribadire l’opposizione a misoginia, xenofobia, transfobia, razzismo e femminicidi, battaglie che continuano ancora oggi.
Respondemos todas
Dal 2022, anno dell’invasione della Russia in Ucraina, Non una di meno ha fatto suo anche il tema dell’opposizione alla guerra. «Lo sciopero femminista e transfemminista è la nostra risposta alla produzione e riproduzione di un sistema basato sulla violenza strutturale, di cui le guerre sono una delle espressioni più organizzate e intense – si legge nel manifesto di tre anni fa –. Quest’anno lo sciopero femminista e transfemminista sarà anche uno sciopero contro la guerra e contro il riarmo».
Anche quello di oggi è uno sciopero «contro la guerra. Dal genocidio a Gaza e in Cisgiordania, la guerra dilaga in tutto il Medio Oriente. Spacca l’Europa sul confine russo-ucraino, divampa in Congo e in Sudan». Le persone oggi scendono in piazza non solo contro le discriminazioni, la violenza patriarcale e le guerre. Ma anche contro il disegno di legge “Sicurezza”, le “zone rosse”, le destre che «non hanno freni nella loro esibizione di odio, potere e brama di rivincita». Per il salario minimo, il finanziamento di percorsi di fuoriuscita dalle relazioni violente, il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito.
Nel 1945 le donne lottavano per salvarsi dalla fame e dal freddo. Ottant’anni dopo in Italia non ci si batte più per superare la miseria post-bellica, ma si continua a lottare perché la parità non è stata raggiunta. Perché le donne continuano a essere picchiate, violentate, discriminate, perché molte soggettività non hanno ancora gli stessi diritti della maggioranza, perché molte persone non hanno accesso a una vita dignitosa. E quelle «centinaia di donne» a Milano oggi sono diventate migliaia in tutte le principali piazze d’Italia perché «si tocan a una, repondemos todas».
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