Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

Il cronista giudiziario del "Giornale di Sicilia", Mario Francese, venne ucciso intorno alle ore 21.15 del 26 gennaio 1979, mentre faceva ritorno nella propria abitazione, sita a Palermo in Viale Campania n. 15. Dopo avere lasciato la sede del "Giornale di Sicilia", era giunto in Viale Campania a bordo della sua autovettura Alfa Romeo, che aveva posteggiato sul lato sinistro della carreggiata; mentre stava attraversando la strada, a piedi, fu raggiunto da quattro colpi di arma da fuoco, esplosi da un individuo che si era posto alle sue spalle e che subito dopo fuggì a bordo di una autovettura Alfetta di colore blu, guidata da un complice.

In un articolo pubblicato sul quotidiano “La Sicilia” del 27 gennaio 1979, il giornalista Franco Viviano descrisse così quanto era accaduto subito dopo il delitto: «Dai balconi e dalle finestre delle vicine abitazioni si è affacciata molta gente, molti curiosi passando per la strada si sono fermati, qualcuno si è preoccupato di coprire pietosamente con un lenzuolo il cadavere del giornalista, immerso in una pozza di sangue. Uno dei figli di Francese, Fabio, udita la sparatoria, ha telefonato al "Giornale di Sicilia" per avvertire che «c’era stato un delitto», senza sapere che la vittima era il padre. Poco dopo un altro figlio di Francese, Giulio, cronista del “Diario”, arrivava per fare il servizio sul delitto: il capo della squadra Mobile, Boris Giuliano, lo ha preso paternamente per le braccia e gli ha dato la triste notizia. È stato lo stesso Giulio Francese, dopo essersi ripreso dallo choc, ad avvertire la madre e gli altri suoi tre fratelli».

La prima testimone

Una precisa descrizione dell’accaduto fu offerta dalla testimone oculare Ester Mangiarotti, che abitava in un appartamento situato nel piano rialzato dello stabile di Viale Campania n. 15, ed ebbe la possibilità di percepire visivamente l’episodio criminoso da una distanza di circa otto metri. Nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 27 gennaio 1979, la Mangiarotti riferì che, intorno alle ore 21.15 del giorno precedente, mentre si trovava nella stanza da letto, seduta dietro i vetri del balcone affacciato su Viale Campania, aveva udito una forte detonazione, aveva quindi rivolto lo sguardo verso la strada - in un momento in cui la vittima era già caduta per terra - ed aveva notato «un individuo con il braccio destro teso verso il basso, impugnando una rivoltella, esplodere diversi colpi»; il killer, il quale si trovava «nascosto tra un paio di auto posteggiate a spina di pesce e un’autovettura posteggiata in doppia fila», dopo avere commesso il delitto aveva preso posto sul sedile posteriore di quest’ultimo autoveicolo (secondo il ricordo della teste, un’Alfetta di colore blu), che si era allontanato velocemente in direzione di Viale Trinacria.

La teste aggiunse: «Stante la breve distanza e dal momento che l’autovettura dell’assassino aveva gli sportelli aperti e i fari accesi, ho potuto notare bene l’uomo che sparava. Poteva avere circa 35 anni, era alto m. 1,72-1,75, corporatura robusta, di taglia atletica, ben vestito penso con l’abito intero, dai capelli lisci, folti e credo color castano scuro e tirati all’indietro e con dei baffi molto folti (…). Il volto rotondo, non ovale, e comunque molto pieno ed ho notato che aveva il naso corto e grosso».

La Mangiarotti specificò che l’autore del delitto aveva sparato «con tremenda determinazione», ed in questo brevissimo arco di tempo aveva indirizzato ripetutamente lo sguardo verso il balcone della sua abitazione; i loro sguardi si erano incrociati, e lei, per un istante, aveva temuto per la propria vita.

Nel verbale di sommarie informazioni del 17 maggio 1979, la Mangiarotti evidenziò di essere rimasta particolarmente colpita dall’eleganza del vestire e dai modi del killer, e di averlo distinto bene in quanto era illuminato dalla luce proveniente dall’interno dell’autovettura.

Un uomo che sparava

Convergono con la ricostruzione del fatto esposta dalla Mangiarotti le indicazioni fornite dal testimone oculare Ivano Cavani, il quale, nel processo verbale di sommarie informazioni testimoniali del 26 gennaio 1979, riferì quanto segue: «Questa sera, verso le ore 21,15 (…), mentre mi trovavo fermo al semaforo di Viale Campania, angolo Via Brigata Verona, a bordo dell’autovettura Dyane 6 targata PA 334759 (…) ed in compagnia della mia amica Tagliaferri Antonella, sono stato attratto dalla esplosione di due colpi di arma da fuoco. Rivolto lo sguardo nella direzione da dove provenivano i colpi, e cioè a circa 50 metri dopo il semaforo, sempre nel Viale Campania, ho notato una persona per terra, vicino a delle auto parcheggiate sul lato destro, ed un’altra persona appiedata che sparava contro l’individuo per terra».

«Dopo avere esploso altri cinque o sei colpi – continua il racconto – quest’ultimo saliva su di un’autovettura, ritengo un’Alfetta di colore scuro che si trovava quasi al centro del Viale Campania. Penso che alla guida di detta auto vi si trovasse qualche complice ad attenderlo, poiché è salito sul lato opposto alla guida. L’Alfetta si è quindi diretta a gran velocità in direzione della Via Trinacria. (…) Dell’individuo che ha sparato posso dire che era alto 1,70, di corporatura regolare ed indossava un cappotto di colore scuro».

Ulteriori dettagli sono stati esposti da Cavani nel verbale di sommarie informazioni del 9 maggio 1996. Il teste, infatti, ha specificato: «La mia attenzione è stata attratta da alcuni colpi esplosi da un individuo, che si trovava a circa cento metri dalla mia posizione. Ho avuto modo di notare il soggetto che impugnava un’arma e che si trovava esattamente in piedi, vicino al lato destro di un’autovettura, quasi sicuramente una Alfetta, di cui non ricordo il colore, che era parcata quasi oltre la linea di mezzeria del Viale Campania. L’uomo, che aveva poco prima sparato, immediatamente dopo i primissimi colpi, si è allontanato dall’automezzo dirigendosi verso alcune vetture parcate ad una distanza di circa sette o otto metri rispetto all’Alfetta, dove ha ulteriormente esploso altri colpi d’arma all’indirizzo di una sagoma verosimilmente di persona che giaceva a terra. Il soggetto, dopo aver terminato l’esplosione dei colpi, rimanendo sempre all'impiedi, ha guardato in direzione del bersaglio, quindi senza correre, ma con passo deciso è ritornato sui suoi passi, salendo sull’automezzo che lo attendeva e che ripartiva a velocità elevata facendo sgommare le ruote».

Cavani ha aggiunto che la zona era completamente buia, senza pubblica illuminazione; che il killer si pose all’interno dell’autovettura nel lato del passeggero (il teste non è stato in grado di precisare se accanto al conducente oppure dietro); che uno sportello (anteriore o posteriore) del lato destro del veicolo era aperto; che l’esecutore del delitto «si muoveva con fare deciso, sicuro e non correva»; che il medesimo soggetto esplose i primissimi colpi «con il braccio destro proteso in avanti ad altezza d’uomo», ed i successivi «dall’alto verso il basso e più precisamente in direzione del bersaglio a terra, quindi con il braccio proteso verso il basso»; e che la scena sopra descritta durò pochi istanti.

Il sicario, calmo e tranquillo

Antonella Tagliaferri, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 26 gennaio 1979, riferì di avere udito alcuni “botti” e visto alcuni “lampi” provenienti da Viale Campania, e di avere quindi notato che «un individuo sparava per terra, ed indietreggiava verso una autovettura di colore scuro che era ferma verso il centro della strada. Quindi l’individuo saliva sulla detta autovettura ed un altro individuo alla guida partiva di scatto». La teste aggiunse: «Non abbiamo avuto il tempo di prelevare la targa della macchina che scappava, anche perché il posto ove è avvenuta la sparatoria è buio».

Nel verbale di sommarie informazioni del 9 maggio 1996, la Tagliaferri ha esplicitato quanto segue: «La mia attenzione veniva richiamata dall’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco, sicuramente più di uno. Guardando sempre in direzione di Viale Campania, (…) notavo una vettura, una grossa berlina, forse una Alfetta, di colore scuro, a fari spenti ferma, quasi al centro della carreggiata. Preciso che la zona non era illuminata poiché ricordo che i lampioni di Viale Campania non erano accesi. Immediatamente dopo le esplosioni ho visto un individuo, sicuramente in movimento, nei pressi dell’autovettura, in direzione del marciapiede, credo percorrendo una traiettoria parallela alla parte posteriore della vettura, che si fermava poco prima di alcune autovetture in sosta sul lato dx della carreggiata, che abbassando la spalla ed il braccio, esplodeva altri colpi d’arma da fuoco, in numero superiore ad uno, probabilmente due o tre (…)».

«Fra la prima serie dei colpi e la successiva – si legge ancora – preciso che si è registrato un breve periodo di pausa, al termine del quale ho visto l’uomo muoversi verso il marciapiede. (…) Preciso che l’individuo si muoveva con estrema calma, palesando una notevole determinazione, tranquillità e sicurezza, peraltro, non si preoccupava neanche della eventuale presenza di testimoni, considerato che il suo sguardo non si è mai rivolto verso il semaforo e quindi nella nostra direzione. Sempre con movimenti decisi e rapidi, con freddezza, l’individuo andava verso la vettura, ove occupava sicuramente una posizione, sul lato destro, anche se non sono in grado di precisare se accanto al conducente o sul sedile posteriore. Escludo che la macchina avesse gli sportelli aperti, considerato che ho avuto modo di apprezzare l’intera sagoma del soggetto. La berlina di colore scuro, dopo l’ingresso di quest’ultimo, ripartiva velocemente, sempre a fari spenti, in direzione di Viale Trinacria».

I complici in auto

La presenza di una pluralità di complici si desume dalle sommarie informazioni testimoniali rese in data 16 marzo 1979 da Rosaria Ciolino, la quale - mentre si trovava ferma, a bordo di un’autovettura Fiat 500, in corrispondenza del semaforo collocato sull’incrocio tra Viale Campania e Via Brigata Verona - aveva udito la detonazione di tre colpi di arma da fuoco, ed aveva visto a breve distanza un’autovettura Alfetta (o Giulietta) ferma in Viale Campania, con lo sportello posteriore destro aperto, ed un individuo che “sparava all’indirizzo di altra persona”.

La teste aggiunse: «A bordo della stessa macchina ebbi modo di vedere che si trovavano altre persone, il conducente ed un individuo seduto sul sedile posteriore sulla sinistra di quello che avevo notato sparare. Presumo che altro individuo sedesse sul sedile anteriore a fianco del conducente».

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9

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