Sono tornati i figli e i figliocci, i cognati e i generi, sono tornati i nipoti. Palermo si ripopola degli eredi della mafia con quattro quarti di nobiltà, la “crema”, l'aristocrazia criminale siciliana. Prima o poi doveva succedere, Totò Riina e i suoi Corleonesi non ci sono più e quegli altri hanno tirato fuori le corna. Orfani e superstiti, sacrificati per parentela, perdenti con tanto bollo di giustizia.

In mezzo ci sono pure gli “scappati”, i boss che per salvarsi la pelle erano stati condannati a un esilio dorato dall'altra parte dell'Atlantico, nelle ville di Cherry Hills. Tutti insieme si stanno riprendendo la città che avevano perso per un quarto di secolo e per colpa dei "peri incritati”, i piedi sporchi di fango dei mafiosi scesi dalla Rocca Busambra. Stanno occupando fisicamente le loro terre e le loro case un tempo abbandonate, in via Castellana a Passo di Rigano, a Villagrazia e a Villa Ciambra, ai Ciaculli e a Croceverde Giardina. Sono gli Inzerillo e gli Spatola, i Gambino e i Di Maggio, sono i Bontante, ma sono anche anche i discendenti dei Greco, dinastia che governa da cinque generazioni.

La tradizione

È la tradizione che si impone dopo la spaventosa e anomala era dei "picciuttunazzi” di Corleone, la fazione che ha regolato con le bombe conti propri e altrui e poi è stata ricacciata nei bracci del 41 bis per l'eternità. La mafia siciliana è sempre diversa ed è sempre uguale a se stessa, i nomi di centocinquanta anni fa sono i nomi di oggi, 8 erano i mandamenti mafiosi (la zona d'influenza di più famiglie) a Palermo con l'Italia appena fatta e 8 sono i mandamenti mafiosi a Palermo in questo inizio d'estate del 2021.
Le ultime indagini sembrano quasi la fotocopia delle relazioni che il questore Ermanno Sangiorgi a fine Ottocento inviava al procuratore del Re, rapporti e atti scovati negli archivi e magistralmente spiegati da Salvatore Lupo nella sua Storia della mafia, una ciclicità del male che si tramanda implacabilmente e che arriva sino alla cronaca delle ultime ore.

Il 20 luglio l’ultima operazione antimafia dei carabinieri nelle borgate orientali di Palermo ha portato all'arresto di Giuseppe Greco, figlio di Salvatore detto "il senatore” e nipote di Michele detto "il papa”, razza padrona, possidenti, coltivatori di mandarini, ossequiati in ogni salotto, nella loro tenuta della Favarella ospiti fissi erano il presidente della Corte d'Appello Sua Eccellenza Giovanni Pizzillo e sua eminenza il cardinale Ernesto Ruffini.

Il rampollo dei Greco - che ha preso il comando ai Ciaculli dopo la cattura di suo cugino Leandro - è attorniato da vecchi consiglieri come l'imputato del maxi processo Giuseppe Giuliano o come Ignazio Ingrassia inteso "il boiacane”, uno che era in contatto con i boss d'oltreoceano, gli amici degli odiatissimi nemici. Perché oggi a Palermo, i nemici sono diventati amici.

I figli e i nipoti degli scannati di quarant’anni fa camminano mano nella mano, felicemente uniti nel business. «Niente di personale, gli affari sono affari», è anche una famosissima battuta del Padrino di Coppola. Anche si ti hanno ammazzato il padre e un fratello, anche se ti hanno fatto sparire due cugini, anche se ti hanno squagliato nell'acido il compare d'anello.

Prima della cattura

Qualche giorno prima della cattura di Giuseppe Greco  le telecamere della polizia avevano ripreso dall'altra parte di Palermo due uomini che parlavano fra loro, incontro ancora tutto da decifrare. Uno era Giovanni Inzerillo e l'altro Lorenzo Di Maggio.

Il primo è figlio di Totuccio Inzerillo, uno dei grandi capi di Cosa Nostra ucciso da Totò Riina. Il secondo è Lorenzo Di Maggio, l’uomo che gestiva i pizzini dei mafiosi palermitani diretti al superlatitante Matteo Messina Denaro. Lontani parenti ma su fronti opposti durante la guerra di mafia, da qualche mese pare che siano  in misteriosissima intimità. I mafiosi per i piccioli dimenticano tutto. Così Giovanni Inzerillo ha dimenticato suo fratello Giuseppe, un ragazzino di diciassette anni che davanti al cadavere del padre aveva giurato vendetta.

Dopo qualche settimana i macellai di Totò Riina lo presero, lo sequestrarono e gli tagliarono il braccio con un coltellaccio, prima di ucciderlo Pino Greco urlò: «Degli Inzerillo non deve restare nemmeno il seme». Cose che si dicono, perché gli Inzerillo adesso si intrattengono con gli assassini dei loro cari.

L’intensa attività

Le informative poliziesche registrano in queste settimane un' «intensa attività», movimenti, summit, parlate e mangiate. Un report segnala pure Giovanni Inzerillo "strettamente legato” a Tommaso Pecorella, suo cugino Stefano nel 1981 fu rapito con Giuseppe Inzerillo. Ma anche Francesco Paolo Bontate, il figlio del capo della mafia palaermitana Stefano, è stato avvistato con quel Tommaso Pecorella. Incroci, avvicinamenti, nessuno di loro è indagato ma tutti sono "attenzionati”.
Erano bambini in quei primi violentissimi anni Ottanta, alcuni di loro nati a Brooklyn fra il 1970 e il 1972, altri rimasti in Sicilia imprigionati nei loro quartieri, risparmiati dai Corleonesi  ma condannati a "non mafiare”. Presenze inquietanti che si stanno riproponendo sulla scena criminale palermitana. Per esempio Giuseppe Inzerillo, entrato ed uscito recentemente da un'inchiesta («Coinvolto solo per il nome che porta», ha dichiarato il suo avvocato il giorno che la sua posizione è stata archiviata) fa l'imprenditore edile come ufficialmente faceva suo padre Totuccio e qualche anno fa è stato pizzicato dalla polizia canadese a Toronto, seduto per nove ore a un tavolo del ristorante "da Peppino" con il vecchio Filippo Casamento, un pezzo grosso della Pizza Connection.

È il passato che riaffiora in una Palermo non più "occupata” dagli sgherri di Totò Riina, un dittatore della Cosa Nostra che ha costretto i sopravvissuti della guerra a diventare gli "scappati”, gente che per tornare in Sicilia aveva bisogno di uno speciale nulla osta che rilasciava un fedelissimo del boss di Corleone. Ma uno dopo l'altro, alla spicciolata e senza far rumore - mentre i mafiosi legati a Riina venivano sepolti dagli ergastoli - sono tornati liberi di circolare nella loro Palermo. E non per fare la guerra. Gli Inzerillo sono tornati per fare gli Inzerillo, i Di Maggio per fare i Di Maggio, i Greco per fare i Greco.

© Riproduzione riservata