In Italia c’è bisogno del salario minimo. Per il commissario europeo Paolo Gentiloni, ex presidente del Consiglio, intervistato dal direttore de La Stampa Massimo Giannini sul palco del festival dell’Economia di Trento, potrebbe essere la soluzione alla «perdita del potere d’acquisto degli stipendi» e all’«aumento delle diseguaglianze», temi che non possono essere ignorati.

Il commissario Ue per gli Affari economici evidenzia l’urgenza di garantire diritti ai lavoratori, soprattutto a quelli delle piattaforme digitali, perché si tratta di «un mondo completamente nuovo che abbiamo il dovere di tutelare in quanto tale». È poi necessario alzare «le tasse alle grandi multinazionali che escono vincitrici dalle crisi di questi anni, prima la pandemia e poi la guerra».

Potere d’acquisto e inflazione

«Non bisogna ignorare che l’inflazione mangia il potere d’acquisto, ma al tempo stesso bisogna evitare una rincorsa», spiega Gentiloni, secondo cui però non deve esserci un rialzo degli stipendi «al livello di inflazione straordinario che abbiamo adesso nell’Eurozona, all’8 per cento», ipotizzando un calo dell’inflazione. Ma è comunque necessario prevedere un salario minimo «indispensabile per affrontare i fenomeni crescenti di lavoro povero», dice il commissario.

I paesi dell’Unione europea non hanno una visione concorde sul salario minimo: i paesi scandinavi privilegiano la contrattazione collettiva, e ritengono la misura non necessaria, mentre altri paesi in difficoltà economiche «temono che un salario minimo sia difficile da sostenere», spiega Gentiloni, che non lo riduce a un problema di potere d’acquisto ma «è un problema di diritti essenziali dei lavoratori».

Intanto dall’Unione europea arriva la notizia che lunedì, a margine della plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, si lavorerà a un accordo politico perché il testo della Direttiva sul salario minimo legale Ue sia varato definitivamente. La direttiva non impone delle cifre ma stabilisce criteri e parametri per individuare salari minimi adeguati ed equi.

ll ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta però è già contrario: «Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali. Valorizziamo le nostre relazioni industriali. Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività», ha detto intervenendo a “La sfida dell'economia e il ruolo dell'Europa”, un altro panel del Festival dell'economia.

Tassare i ricchi

Sulla proposta del segretario della Cgil Maurizio Landini – di rivedere la tassazione e gravare di più sulle categorie agiate – Gentiloni non si sbilancia. Ma ricorda l’impegno della Commissione europea, e del governo italiano, a fronte della crisi dei prezzi dell’energia, verso «la possibilità di adottare forme di tassazione sugli extraprofitti straordinari», che però non costituisce una fonte di introiti permanente, precisa il commissario.

Per l’ex premier si giocherà una partita fondamentale sull’accordo storico raggiunto a livello internazionale: l’introduzione della minimum tax in tutto il mondo, la tassazione minima, che inciderà sui paesi cosiddetti «paradisi fiscali» e «l’introduzione della tassazione straordinaria sui grandi vincitori della crisi».

In italia

L’Italia è uno dei sei paesi europei a non avere una legge sul salario minimo. Lo scorso 30 maggio, il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, durante l’assemblea generale di Assolombarda a Milano ha rivolto un invito al mondo imprenditoriale, senza però far riferimento alla misura del salario minimo: «Assumete di più e pagate di più, soprattutto i giovani e i migliori laureati. Formandoli costantemente e combattendo con convinzione le discriminazioni».

Ha poi sottolineato che «le competenze più fresche e aggiornate vanno retribuite per quanto valgono veramente, senza risparmiare sui salari», che in Italia sono «ancora troppo bassi», mentre all’estero «i laureati migliori guadagnano in media anche il 90 per cento in più».

Subito dopo l’intervento del ministro è salito sul palco il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che non rispondendo all’invito ha attribuito la responsabilità al reddito di cittadinanza, definito «un grande competitor» nell’assunzione dei giovani, e alla politica dei redditi italiana.


 

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