L’omelia di Leone XIV al Giubileo dei migranti e del mondo missionario conferma la distanza verso l’uso politico e nazionalista del cristianesimo fatto da leader come Donald Trump
Mentre negli Stati Uniti, prosegue la politica aggressiva della Casa Bianca contro gli immigrati – da ultimo il presidente Donald Trump ha chiesto l’invio della Guardia nazionale a Chicago per supportare i raid messi in atto dall’Ice, l’agenzia federale responsabile delle frontiere e dell’immigrazione – a Roma il papa, originario proprio di Chicago, chiedeva di accogliere i migranti «come fratelli» e di «essere per loro una presenza di consolazione e speranza».
Il pontefice non chiama i governanti per nome, tuttavia celebrando il giubileo dei migranti e del mondo missionario, ha scelto di usare parole chiare sul tema. Parole che descrivono, nei fatti, un modello di cristianesimo incentrato sul vangelo, opposto a quello identitario e nazionalista promosso da leader come Trump.
Leone stesso, del resto, aveva approvato il metodo utilizzato da Francesco per criticare la politica migratoria messa in atto dall’amministrazione Trump; Bergoglio, infatti, aveva inviato, nel febbraio scorso, una lettera aperta ai vescovi degli Stati Uniti chiedendo loro di far sentire la voce della chiesa.
«Riconosco i vostri preziosi sforzi, cari fratelli vescovi degli Stati Uniti, mentre lavorate a stretto contatto con migranti e rifugiati, proclamando Gesù Cristo e promuovendo diritti umani fondamentali. Dio vi ricompenserà abbondantemente per tutto ciò che fate a protezione e difesa di quanti sono considerati meno preziosi, meno importanti o meno umani!», aveva scritto nell’occasione, fra le altre cose, papa Francesco.
Aggiungendo poi: «Esorto tutti i fedeli della chiesa cattolica, come anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo chiamati a vivere in solidarietà e fratellanza, a costruire ponti che ci avvicinino sempre più, a evitare muri di ignominia e a imparare a dare la nostra vita così come l’ha data Gesù Cristo per la salvezza di tutti».
Una scelta apprezzata dal suo successore che ha spiegato come il papa non possa intervenire in continuazione per criticare direttamente le mosse di un determinato governo in giro per il mondo.
Povertà e frontiere
«Fratelli e sorelle, oggi si apre nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova», ha detto Leone XIV, nel corso della messa celebrata in piazza San Pietro. «Se per lungo tempo alla missione abbiamo associato il partire, l’andare verso terre lontane che non avevano conosciuto il vangelo o versavano in situazioni di povertà, oggi le frontiere della missione non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi».
A testimoniarlo «è la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela, il rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!».
Terre martoriate
In questa prospettiva, ha precisato papa Prevost, «non si tratta tanto di “partire”, quanto invece di “restare” per annunciare il Cristo attraverso l’accoglienza, la compassione e la solidarietà: restare senza rifugiarci nella comodità del nostro individualismo, restare per guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane e martoriate, restare per aprire loro le braccia e il cuore, accoglierli come fratelli, essere per loro una presenza di consolazione e speranza».
Non solo: il pontefice chiede alle chiese occidentali e a quelle del sud del mondo di mettere in atto «una cooperazione missionaria», perché «nelle comunità di antica tradizione cristiana come quelle occidentali, la presenza di tanti fratelli e sorelle del sud del mondo dev’essere colta come un’opportunità, per uno scambio che rinnova il volto della chiesa e suscita un cristianesimo più aperto, più vivo e più dinamico». Allo stesso tempo, «ogni missionario che parte per altre terre, è chiamato ad abitare le culture che incontra con sacro rispetto, indirizzando al bene tutto ciò che trova di buono e di nobile, e portandovi la profezia del vangelo».
Dunque, papa Leone, a partire dal tema migranti, ha stabilito il limite invalicabile lo separa dal cristianesimo brandito come un’ideologia nazionale, il modello che propone il papa, al contrario, è fondato proprio sul rifiuto di ogni forma di nazionalismo esasperato e si rifà al principio dell’annuncio del vangelo a tutti i popoli del mondo, al comune destino della famiglia umana, e per questo rilancia i valori universali della solidarietà e dell'incontro.
«Nessuno dev’essere costretto a partire » ha detto infine il papa all’angelus, «né sfruttato o maltrattato per la sua condizione di bisognoso o di forestiero! Al primo posto, sempre, la dignità umana!».
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