Oggi Patrick Zaki, lo studente egiziano del Master in studi di genere dell’Università di Bologna, compie gli anni. Un compleanno a cifra tonda, il trentesimo. Quello in cui ricordi il decennio appena terminato, che ha segnato il passaggio definitivo all’età adulta, che ti ha portato a prendere decisioni sullo studio, sul lavoro, anche sulla vita. Quello in cui cerchi di darti obiettivi per il decennio a venire. Quello in cui chiami a raccolta le amicizie storiche, quelle nuove, per festeggiare. Io il mio trentesimo compleanno lo ricordo così: celebrato, tra l’altro, in un ristorante di Roma, “Maometto alla Piramide”, gestito da due immigrati egiziani.

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Patrick questo giorno importante lo trascorre, per il secondo anno consecutivo, in una lurida cella del complesso penitenziario di Tora, nella periferia del Cairo. Lì ha trascorso quasi tutti i circa 500 giorni della sua detenzione, formalizzata l’8 febbraio 2020 dopo lunghe ore di sparizione e torture al suo atterraggio all’aeroporto della capitale egiziana, il giorno prima.

Era arrivato da Bologna, la sua Bologna, la città che l’ha adottato dal primo giorno, la città cui continua a pensare con nostalgia e rimpianto e che oggi lo abbraccia idealmente con la mostra “Patrick patrimonio dell’umanità”, realizzata dall’artista Gianluca Costantini, che si dipanerà sotto i portici di via Saragozza.

Patrick viene a conoscenza di tutto ciò che si fa in suo favore e questo allevierà, speriamo, la sensazione di tristezza e solitudine che segnerà anche il tempo di questa giornata nella sua cella della prigione di Tora.

In quella prigione sono recluse centinaia e centinaia di persone nelle stesse condizioni di Patrick: detenzione senza processo e senza possibilità di difendersi. In quella prigione c’è sovraffollamento e le condizioni igienico-sanitarie sono spaventose. Ci sono state morti per diniego di cure mediche, come quella del videomaker Shady Habash il 2 maggio 2020. Ci sono state morti per Covid-19 e Patrick, soggetto asmatico e dunque a rischio di contagio, non è stato ancora vaccinato.

Questi oltre 16 mesi sono trascorsi seguendo il copione della strategia repressiva della magistratura egiziana: per oltre 20 volte il “fascicolo” di Patrick è giunto sul tavolo di un giudice che, tra udienze rinviate e udienze svolte in tutta fretta, ha inesorabilmente disposto il rinnovo della custodia cautelare.

La ragione ufficiale è quella che chiameremmo “necessità investigative”. Occorrerebbe altro tempo, cioè, per indagare sui cinque capi d’accusa contenuti nel mandato di cattura esibito a Patrick al suo arrivo in Egitto: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo.

Quel mandato di cattura è un “copia e incolla” di innumerevoli altri atti giudiziari con cui il regime egiziano cerca di ridurre al silenzio persone scomode – giornalisti, blogger, avvocati, attivisti politici, oppositori, ricercatori, difensori dei diritti umani – attraverso una detenzione preventiva che può durare fino a 24 mesi e che sempre più spesso viene prolungata iscrivendo l’indagato prossimo alla scarcerazione a un’altra inchiesta giudiziaria.

Quei cinque “reati” Patrick li avrebbe commessi attraverso post pubblicati su una pagina Facebook a lui intestata, in un periodo – quello del settembre 2019 – di rinnovata protesta di strada incitata da un ex palazzinaro già amico del regime, poi caduto in disgrazia e in seguito riparato all’estero. Una protesta repressa con circa 4000 arresti e centinaia di mandati di cattura.

Quei post pubblicati su Facebook sono nelle carte, o forse solo nella mente, dei giudici egiziani. Patrick sostiene che siano stati prodotti da una pagina “fake”. Se venissero messi a disposizione degli avvocati difensori, ci vorrebbe un attimo a far crollare il castello delle accuse.

Il compleanno di Patrick cade, dal punto di vista del calendario, proprio in mezzo ai 45 giorni di detenzione preventiva stabiliti nell’ultima udienza. È il periodo nel quale di Patrick si tende a parlare di meno e si rischia di dimenticarsi, facendo il gioco del sistema repressivo egiziano che proprio sulla reiterazione e sulla monotonia dei medesimi atti punta per far diventare quella di Patrick una “non notizia”.

Oggi a Bologna si riuniranno i protagonisti della più grande campagna per i diritti umani svolta in Italia negli ultimi anni: gli amici, i colleghi e i docenti di Patrick fino alle massime cariche dell’università; il comune di Bologna, in rappresentanza di tutti quelli di cui Patrick è cittadino onorario; coloro che hanno promosso la richiesta di conferirgli la cittadinanza italiana; le organizzazioni per i diritti umani che hanno tenuto viva la campagna “Free Patrick Zaki / Patrick Zaki libero”.

Una campagna che, nonostante l’enorme mobilitazione, non ha ancora ottenuto il risultato scritto nel suo nome. Nessuno immaginava che la sola mobilitazione della società civile italiana potesse far girare la chiave della cella di Patrick.

Ma molti speravano, e sperano tuttora nonostante questi 16 mesi abbiano messo a dura prova questa speranza, in un’azione decisiva, determinata, continua e coerente del governo italiano.

Anziché invitare al silenzio, come se Patrick fosse ostaggio di un gruppo di sequestratori e si stesse negoziando il riscatto anziché un prigioniero di coscienza detenuto illegalmente da uno stato di cui ci si vanta di essere amici, la Farnesina dovrebbe esercitare il massimo delle pressioni sul presidente al-Sisi. Il governo Draghi, anziché continuare a inondare di armi le forze armate egiziane, dimostri attenzione alle decine di enti locali, alle centinaia di migliaia di cittadine e cittadini che ogni giorno fanno qualcosa per Patrick e ai parlamentari che sostengono il suo governo che il 14 aprile hanno chiesto, con un ordine del giorno, proprio al governo di attivarsi per la cittadinanza italiana e per l’avvio di una procedura negoziale tra Italia ed Egitto nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

Il ventinovesimo e, oggi, il trentesimo compleanno Patrick li ha passati da prigioniero. La campagna in suo favore andrà avanti fino a quando non tornerà libero ad abbracciare la sua famiglia, i suoi affetti, i suoi amici e la sua Bologna. Ben prima, perché lui e noi non possiamo aspettare altri 365 giorni, del suo trentunesimo compleanno.

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