L’indagine sul naufragio di Cutro, costato la vita a oltre cento migranti, ha i primi indagati. Sono in corso verifiche sull’operato della guardia di Finanza e ufficiali della capitaneria di porto. Corpi dello stato che dipendono da due ministeri, il primo retto da Giancarlo Giorgetti, il secondo da Matteo Salvini, entrambi esponenti della Lega. I pm sospettano anche di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. 

Alcune notifiche hanno riguardato almeno tre militari delle fiamme gialle, appartenenti al reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia. L’inchiesta è condotta dai carabinieri del comando provinciale di Crotone, coordinati dalla procura, guidata dal procuratore Giuseppe Capoccia. 

«Più che di vere e proprie perquisizioni», ha dichiarato il procuratore capo di Crotone all’Ansa, «stiamo eseguendo dei riscontri puntuali su elementi che ritenevamo mancanti per completare l’indagine». L’atto della procura di Crotone indirizza l’attenzione verso i due corpi dello stato che, in quella notte di mancate comunicazioni, ritardi, omissioni e silenzi, sono stati protagonisti. La guardia di Finanza aveva tentato di intercettare l’imbarcazione prima di desistere e avvertire la guardia Costiera che ha lasciato ormeggiate le imbarcazioni inaffondabili senza uscire in mare. 

Dunque restano molte domande senza risposta. Ma una certezza c’è: quella tragedia si poteva evitare. 

Ritorno a Cutro

Quella notte l’intervento era stato rubricato come operazione di polizia di frontiera a seguito di una segnalazione di Frontex. Una segnalazione che è risultata generica anche se conteneva un dato che avrebbe suggerito un immediato intervento in mare. L’agenzia europea, alle ore 23.03 del 25 febbraio, inviava al centro di coordinamento nazionale presso il ministero dell’Interno l’indicazione di uno scafo con una sola persona sopraccoperta, gli oblò di prua aperti, mare forza 4, la risposta termica proveniente dagli stessi oblò che faceva supporre la presenza di persone in stiva e l'assenza di salvagenti a bordo. 

Da questa segnalazione si era scelto di far intervenire la guardia di Finanza che, impossibilitata a raggiungere lo scafo per il mare mosso, era rientrata avvisando la guardia Costiera. Quest’ultima, tuttavia, decise di non intervenire nell’immediato.  

Proprio le comunicazioni tra i due corpi sono un punto chiave per gli avvocati dei familiari dei dispersi che hanno presentato, nei mesi scorsi, diversi esposti in procura. In uno di questi chiedevano «se la guardia di Finanza, preso atto che le condizioni meteomarine rendevano impossibile la navigazione della motovedetta V.5006 della sezione operativa navale Gdf di Crotone e del pattugliatore veloce P.V. 6 “Barbarisi” del gruppo aeronavale Gdf Taranto, abbia segnalato la circostanza alla Capitaneria di porto di Crotone e come, nel caso, abbia risposto quest’ultima».

Proprio Domani aveva sollevato un altro punto di domanda, relativo al misterioso mayday ricevuto dal centro di coordinamento della guardia costiera il giorno 24 febbraio alle 20:51, più di 24 ore prima della segnalazione che porterà all’intervento non della guardia costiera ma della finanza con le imbarcazioni non adatte ad affrontare onde in quelle ore molto alte.

Tra rimpalli e indecisioni, si arriva così alla chiamata di soccorso proveniente dal barcone ormai alla deriva e l’attivazione dei soccorsi quando ormai lo scafo si era già schiantato. Nel mare hanno trovato la morte donne, uomini e bambini.

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