Per i calabresi il coronavirus si sta già trasformando in uno tsunami, una pandemia politica e sociale. Dopo la miserabile figura fatta davanti alle telecamere di Titolo V, trasmissione della terza rete Rai, si dimette il generale Saverio Cotticelli, impotente supercommissario alla sanità. Ma lo fa un minuto dopo che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ne annunciava la rapida sostituzione. «Va sostituito con effetto immediato. Voglio firmare il decreto già nelle prossime ore: i calabresi meritano subito un nuovo commissario pienamente capace di affrontare la complessa e impegnativa sfida della sanità». Inconsapevole finanche delle sue responsabilità sul piano della lotta al virus, parafulmine delle scelte sbagliate della regione, erede di anni di sfascio del sistema sanitario calabrese, l’ex generale dei carabinieri esce di scena nel peggiore dei modi. Ormai il video della trasmissione è diventato virale. Da commedia all’italiana la scena con la sua vice che, a telecamere accese, lo rimprovera («tu ti devi presentare preparato»). Pietoso quando chiede all’intervistatore di non fargli fare figuracce, tragicamente comico quando un suo usciere mostra maggiore competenza sui numeri delle terapie intensive. Quando il 7 dicembre del 2018 è stato nominato, al governo c’era lo stesso Conte che oggi gli appoggia il capo sulla ghigliottina. Matteo Salvini, all’epoca vicepresidente del Consiglio aveva approvato la nomina, oggi lo attacca («i cittadini non meritano uomini come Cotticelli»). Il ministro dell’economia ha firmato, la ministra della Sanità, la grillina Giulia Grillo non aveva trattenuto il suo entusiasmo: «Nomina cruciale per questi territori». E lui, generale con al petto le medaglie di missioni nei Balcani, si era convinto di poter vincere anche la guerra contro una sanità devastata da anni di malapolitica e clientele, strozzata da una mafia che controllava ospedali pubblici e aziende sanitarie, era proprietaria di cliniche, laboratori e residenze per anziani che succhiavano milioni di euro di soldi pubblici. Basti pensare che il primo commissario alla Sanità è stato l’ex “governatore” Giuseppe Scopelliti (Forza Italia), che nel 2010 ha accettato il piano di rientro, ha chiuso 18 ospedali e non ha tagliato un euro ai privati.

Paladino della legalità

«Legalità, legalità, legalità», questo era il motto del generale, che all’arrivo in Calabria ha voluto incontrare subito il procuratore Nicola Gratteri. Applausi per il gesto, applausi a scena aperta per il carabiniere col camice bianco, anche dai deputati grillini calabresi, Dalila Nesci, Nicola Morra, Francesco Sapia. È finita in un disastro annunciato. L’inefficienza di Cotticelli era nota al governo (Conte due che lo ha confermato nel ruolo ed era pronto a rinominarlo col nuovo decreto sul commissariamento approvato giorni fa), già dagli inizi di ottobre. Al tavolo di verifica ministeriali sul risanamento, era emerso un disavanzo di 200 milioni sull’esercizio 2019 delle aziende sanitarie calabre, e mancanze gravi sul pianto anti Covid.

La figuraccia in tv ha fatto precipitare la situazione, e agitato le acque della politica calabrese. La parola d’ordine è marciamo tutti su Roma. Per dire no alla zona rossa, ma ieri il Tar ha rigettato il ricorso della giunta regionale, e no al commissariamento della sanità al grido di «la salute torni nelle mani del calabresi». «Basta con gli attacchi volgari e telecomandati e asserviti. Ai media e alla stampa tutta chiedo la tutela della nostra terra», ha detto il presidente facente funzioni Spirlì aprendo la seduta del Consiglio regionale. A tutta voce, la destra chiede un impossibile ritorno della sanità nelle mani della regione. Di chi dovrebbero essere le mani non si capisce visto che giunta e consiglio sono in carica solo per gli affari correnti, dopo la morte della presidente, Jole Santelli. Le elezioni, pandemia permettendo, sono alle porte. La realtà è drammatica con i 400 nuovi contagi di ieri.

Rianimazioni, terapie intensive e ventilatori, ancora all’anno zero. I numeri sono impietosi e li rivela al Corriere della Calabria il dottor Domenico Minniti, presidente degli anestesisti-rianimatori, che ha fatto un censimento dei posti in terapia intensiva. «Saranno 115-116, mentre sono 146 quelli che la Calabria avrebbe dovuto avere. Mancano gli anestesisti-rianimatori e infermieri di area critica». Questa è la situazione in una realtà dove tutti sanno cosa si dovrebbe fare, ognuno ha una responsabilità, nessuno fa. La salute dei calabresi in tempo di Covid è nelle mani di un supercommissario per il piano di rientro nominato dal governo (si fa il nome di Giuseppe Zuccatelli, che gestisce l’azienda ospedaliera di Catanzaro, ed è vicino ad Articolo 1), che avrà compiti di lotta al Covid e sarà affiancato da due vice; un direttore generale, Francesco Bevere, un soggetto attuatore per il piano anti Covid, Antonio Belcastro, con una sorta di supervisione romana di Domenico Arcuri che ha trattenuto per sé le deleghe sulla Calabria.

Le elezioni alle porte

In più c’è Nino Spirlì, l’eccentrico cabarettista leghista, presidente pro tempore e per disgrazia, come usa dire. Con sullo sfondo la politica. Qui presto si dovrà votare. Nella destra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia), le acque sono agitatissime. Da Catanzaro muove le sue truppe il sindaco Sergio Abramo, ex berlusconiano con simpatie leghiste, da Cosenza risponde Mario Occhiuto, Forza Italia, che era già pronto con le liste alle ultime elezioni ma è stato stoppato, i seguaci di Giorgia Meloni hanno una candidatura pronta, è Wanda Ferro, senatrice, già sconfitta dal centrosinistra di Mario Oliverio. Tutti divisi, ma tutti uniti contro Roma, il commissariamento e la zona rossa. La destra sceglie la strada di sempre. L’orgoglio calabro, la mobilitazione dei calabresi contro il potere centrale. Non c’è un Ciccio Franco, non siamo ancora ai “boia chi molla” di cinquant’anni fa, ma il fuoco sul quale soffiano a Reggio come a Cosenza, dove nei giorni scorsi ci sono state affollate manifestazioni di piazza, è lo stesso. Il centrosinistra è all’opposizione, e al momento le acque sembrano calme in casa Pd e dintorni. Si muove la società civile che auspica un profondo rinnovamento e un accordo tra i partiti di governo, Cinque stelle compresi, e i movimenti. L’idea di fondo è quella di un ticket che metta insieme lavoro e impresa pulita. I nomi che circolano sono quelli di Angelo Sposato, segretario generale della Cgil, e Nino De Masi, imprenditore della Piana di Gioia Tauro, più volte minacciato dalla ‘ndrangheta.  

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