«Del tutto incompatibile con gli obblighi internazionali sui diritti umani del Regno Unito»: così Amnesty International ha bocciato “Prevent”, la strategia antiterrorismo del governo di Londra, analizzandone l’applicazione negli ultimi anni.

Al centro di questa strategia, il cui obiettivo dichiarato è «impedire che persone vulnerabili diventino terroriste», c’è l’obbligo di insegnanti, medici e operatori sociali di identificare e segnalare alla polizia coloro che rischiano di compiere azioni di terrorismo: in altre parole, di determinare la futura minacciosità di singoli individui, spesso ragazze e ragazzi di seconda generazione e del tutto incensurati: segnalati dunque in base a una percezione istintiva, che è spesso frutto di stereotipi islamofobi.

I dati parlano chiaro: tra le persone segnalate dai professionisti del settore sanitario, quelle di religione musulmana sono otto volte di più rispetto alle altre. Le persone al di sotto dei 15 anni di età sono quasi un terzo del totale di quelle segnalate e la metà di loro è di origine asiatica e/o di religione musulmana.

Autismo scambiato per terrorismo

Zain, 14 anni, vive nell’Inghilterra del Nord. La sua scuola lo ha segnalato a “Prevent” nell’ottobre 2020, quando era appena undicenne. Durante un’esercitazione antincendio, aveva espresso l’auspicio che la sua scuola andasse a fuoco. Sei mesi dopo uno studente aveva fatto la spia, aggiungendoci qualcosa di suo: Zain voleva «dare fuoco alla scuola con gli insegnanti dentro». Sua madre, Jasmine, aveva più volte segnalato alla direzione dell’istituto scolastico che il figlio soffriva di ansia e stress, acuiti durante la pandemia. Manco l’hanno informata che il figlio era stato segnalato a “Prevent”. Il motivo della segnalazione? “Radicalizzazione”? “Estremismo”? Di un ragazzino di 11 anni?

Una incredibile percentuale di persone con neurodivergenze, soprattutto persone autistiche, viene segnalata a “Prevent”.

Dunque, l’autismo induce al terrorismo? Se n’è reso conto anche Jonathan Hall, il Revisore indipendente sulla legislazione antiterrorismo: il numero delle persone autistiche è «clamorosamente alto, come se un problema sociale fosse rimasto irrisolto e fosse stato individuato solo dai professionisti dell’antiterrorismo».

Conor, una persona autistica di 24 anni, è stato segnalato a “Prevent” dagli operatori sociali perché così, secondo loro, “avrebbe avuto maggiore sostegno”. Invece, è finito nella lista nera.

L’effetto stressante di Prevent

L’impatto della segnalazione, come rilevato dalle testimonianze raccolte da Amnesty International, è pesante: ansia, stress, perdita di fiducia nelle autorità, elevati costi finanziari e violazione del diritto alla riservatezza: le persone segnalate non sanno cosa verrà fatto delle informazioni su di loro (e costerà tanto in ricorsi giudiziari cercare di saperlo), se saranno considerate “minacciose” per tutta la vita e cosa questo significherà nella loro sfera privata e professionale. Su tutto, regna la mancanza di trasparenza.

I tempi dei ricorsi sono stretti: tre mesi per una revisione giudiziaria, sei mesi per un ricorso per discriminazione ai sensi dell’Equality Act, un anno per violazione dello Human Rights Act. Molte persone rinunciano anche perché l’Home Office (il ministero dell’Interno) rifiuta di fornire informazioni per asserite ragioni di sicurezza.

Nel caso, sopra menzionato, di Conor, il padre si è rivolto invano a vari studi legali:

«Non c’è modo per fargli dire che si sono sbagliati, per il semplice fatto che l’errore non è contemplato nella strategia ‘Prevent’. È un sistema oltraggioso. E io sarei uno in grado di combatterlo, parlo un buon inglese, so come si presenta una denuncia. Ma mi sono arreso pure io. Pensa gli altri…»,

Il Regno Unito sarebbe un paese migliore se, al posto della strategia “Prevent”, ci fossero investimenti nell’istruzione e nella protezione dei minori; se al centro dell’operato dei docenti e degli operatori sociali non ci fosse il meccanismo pregiudizievole della segnalazione alla polizia bensì il migliore interesse dei minorenni.

Invece, nella vita di ragazzini che non hanno commesso alcun reato irrompono le politiche di sicurezza nazionale e la polizia antiterrorismo.

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