Pio La Torre è uno degli uomini simbolo dell’antimafia del Novecento. Parlamentare, comunista, attivista, fino al giorno della sua morte, il 30 aprile del 1982, si è battuto per una Sicilia e un’Italia senza mafie, denunciando i legami tra la criminalità organizzata e la politica non soltanto a livello locale ma anche nazionale, da dentro l’aula di Montecitorio.

La politica

Pio La Torre, figlio di due contadini siciliani, nasce in una frazione di Palermo. La sua condizione lo porta a sostenere le istanze dei braccianti e fin da giovane inizia la sua carriera politica iscrivendosi prima alla Cgil e poi al Partito comunista italiano.

Nel 1952 viene eletto nel Consiglio comunale di Palermo e sette anni più tardi diventa segretario regionale della Cgil. Parallelamente alla sua carriera sindacale coltiva e cresce anche la strada della politica e diventa segretario regionale del Pci nel 1962. L’anno seguente viene eletto all’interno dell’Assemblea regionale siciliana dove rimane fino al 1971.

La sua caratura etica e professionale gli fece guadagnare la stima del segretario Enrico Berlinguer che decise di farlo entrare nella segreteria nazionale del partito. Nel 1972 venne eletto alla Camera dei deputati e fin dai primi mesi del suo mandato si batté per far approvare la proposta di legge sui beni confiscati e sul reato di associazione mafiosa, un testo che ha fornito agli investigatori e ai giudici nuovi strumenti di contrasto alle mafie.

Il titolo del testo era: «Norme di prevenzione e di repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una commissione parlamentare permanente di vigilanza e di controllo». Ma Pio La Torre non ha fatto in tempo a vederne i frutti, dato che è stata approvata centotrenta giorni dopo la sua morte.

Insieme al giudice Cesare Terranova, La Torre ha scritto la Relazione antimafia del 1976 in cui, tra le altre cose, accusava diversi esponenti politici di spicco come Vito Ciancimino e Salvo Lima di avere rapporti con i clan mafiosi di Palermo. In un articolo pubblicato sull’Unità dal titolo Il legame tra mafia e potere, Pio La Torre ha denunciato  le mancate procedure adottate dal governo per integrare i lavori della commissione parlamentare antimafia.

«È dal febbraio del 1976 che il parlamento ha a disposizione le conclusioni della commissione antimafia. Non sono bastati alla Dc e ai suoi governi ben quattro anni di tempo per mettere appunto i provvedimenti da adottare?», scrive La Torre.

L’allora deputato chiedeva agli uomini della Democrazia cristiana e a quelli collusi con la criminalità organizzata di attuare una «una bonifica capace di rimuovere quell’intreccio tra potere mafioso e gruppi dirigenti che è aspetto non secondario del blocco sociale elettorale conservatore». 

La relazione antimafia del 1976

Come ha scritto Attilio Bolzoni nel Blog mafie di Domani, che ha dedicato una serie alla relazione antimafia di La Torre e Terranova, il testo «è il primo documento completo sulla mafia siciliana, una bussola per capire cosa è stata e cosa ancora è Cosa Nostra». 

Non è soltanto un semplice documento che raccoglie ed enuncia i fatti di mafia più importanti dell’epoca. È anche una mappatura che a cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale dato che alcuni nomi delle cosce ritornano tramandati di generazione in generazione. A firmare quel testo sono stati anche i deputati Gianfilippo Benedetti e Alberto Malagugini e i senatori Giulio Adamoli, Gerardo Chiaromonte, Francesco Lugnano e Roberto Maffioletti.

Riletta oggi, la relazione antimafia del 1976 ci racconta la mafia agraria, il sacco edilizio di Palermo, gli attentati e le guerre di mafia, i rapporti del sindaco Salvo Lima e dell’allora assessore Vito Ciancimino con i clan. Ma non solo. Quella relazione antimafia denunciava anche la speculazione edilizia e i grandi appalti consegnati dal mondo politico alla criminalità organizzata.

Nel 2016 la presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, ha voluto pubblicare l’intera relazione in un libro per omaggiare il lavoro di La Torre che anni prima già aveva capito cosa era la mafia.

Comiso

Nel 1979 La Torre entrò a far parte della Commissione Difesa e si batté per evitare l’assegnazione dell’aeroporto militare di Comiso, distante solo quindici chilometri da Ragusa, come base Nato. La Torre ha aiutato a catalizzare le istanze del movimento pacifista che ha organizzato diverse manifestazioni di protesta contro quella scelta voluta dal governo Spadolini.

Manifestazioni, però, che non portarono agli effetti sperati. A partire dal 30 giugno del 1983 112 missili da crociera erano operativi e guardavano verso l’Unione Sovietica. In quegli anni, Comiso è diventato uno dei più importanti avamposti Nato nel sud dell’Europa durante il periodo della Guerra fredda.

L’omicidio

Il 30 aprile del 1982 a colpi di una pistola Singer calibro 45 e di un fucile mitragliatore di fabbricazione americana, la Thompson, dei sicari uccisero La Torre e Rosario Di Salvo, il suo autista. 

A oggi quell’omicidio “eccellente” non ha una firma. C’è chi dice che si tratta di un omicidio mafioso e chi lo attribuisce a una matrice politica. Le indagini furono complicate fin dall’inizio e oggi carte inedite ritrovate dopo tanti anni aprono un nuovo scenario, come raccontato da Enzo Ciconte su Domani.

Tra i moventi dell’omicidio nel documento si legge che una delle cause della sua morte è la «promozione di una estesa e incisiva campagna politica contro la installazione della base missilistica a Comiso» e anche il fatto che Pio La Torre «era divenuto il simbolo della lotta antimafia, non solo nell’ambito del suo partito ma anche in tutti gli altri ambienti cittadini».

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