La signora Li Quing non si è persa in tanti giri di parole: «Noi cinesi siamo molto ghiotti di pistacchio». Sorridente, elegante, nei primi giorni di quest'anno, alla vigilia dell'Epifania, è sbarcata all'aeroporto di Catania e meno di un'ora dopo aveva già cominciato il suo specialissimo tour fra le colate di lava raffreddata, le sciare dell'Etna.

Era finalmente arrivata a Bronte, la capitale italiana del pistacchio. Una missione esplorativa per conto del suo governo: voleva capire come portare a Pechino l'oro verde della Sicilia e, soprattutto, quanto ne avrebbe potuto portare.

La signora Li Quing si è subito posta, prudentemente, un problema abbastanza serio: i cinesi sono supergiù un miliardo e cinquecento milioni, e ammesso che a ciascuno dei suoi connazionali ne toccasse almeno uno a testa, quanti pistacchi di Bronte sarebbero partiti realisticamente da Bronte? L'emissaria di Pechino - riferiscono le cronache locali - ha comunque lasciato l'isola molto soddisfatta, promettendo che tornerà presto sul versante occidentale del vulcano.

Tremila ettari

Magari per visitare anche l'antico castello che fu dimora del famoso ammiraglio Horatio Nelson, nominato duca di Bronte da Ferdinando IV di Borbone per ricambiare una cortesia dopo i moti rivoluzionari napoletani del 1799. E forse si farà raccontare pure il valore del monumento in ferro, ai piedi della collina di San Vito, che ricorda la rivolta dell'estate 1860 soffocata nel sangue dal generale Nino Bixio e dai suoi garibaldini. Ma, sicuramente, verrà ancora in questo paesone della provincia di Catania con l'intento di accaparrarsi la maggior quantità possibile di quel piccolissimo frutto color smeraldo che ha fatto la ricchezza di una piccola comunità.

Gli abitanti sono quasi ventimila e più di duemila coltivano e trasformano o esportano pistacchi che crescono in tremila ettari chiamati “lochi” o "frastuche” (frastuch per gli arabi, che lo fecero conoscere ai siciliani nei loro due secoli e mezzo di dominazione dell'isola), alberi con fusto scuro e ampia chioma che lambiscono anche i territori di Biancavilla e di Adrano.

La raccolta è ogni ventiquattro mesi e avviene sempre negli anni dispari, fra la fine di agosto e i primi di settembre, duemilacento le tonnellate prodotte nel 2021. Saranno sufficienti ad appagare, anche solo in parte, i desideri della signora Li Quing? È una questione squisitamente di numeri. E la matematica rischia di non accontentare del tutto la cinese abbagliata dal pistacchio più ricercato.

Su quello di Bronte c'è una discussione che non finisce mai: ma com'è possibile che, in giro per l'Italia e anche per il mondo, ci sia tutto questo pistacchio proveniente e soltanto da lì?

«I cinesi non sono interessati solo a quello sgusciato ma anche ai suoi derivati come farina per gelati, il pesto per la pasta, la farcitura per panettoni e dolci vari», spiega Pietro Bonaccorso che con i suoi figli guida la “Evergreen“, azienda nata nel 1960 e che ai primi di gennaio ha incontrato Li Quing insieme ad altri imprenditori. Ancora Bonaccorso: «Il pistacchio di Bronte è come la Ferrari, non è che tutti lo possono acquistare, il nostro se lo possono permettere solo le gelaterie più prestigiose, i negozi di grandi qualità. Il resto...».

Ce n’è sempre troppo poco

Il resto è genericamente “pistacchio siciliano” o ancora più vagamente ”pistacchio del Mediterraneo”. Il prodotto in guscio costa poco più di 16 euro al chilogrammo, il prodotto sgusciato (con un peso per ogni pistacchio che varia da gli 0,66 grammi agli 0,75 grammi) arriva anche e oltre i 50 euro al chilo.

Il settanta per cento del vero pistacchio di Bronte viene venduto in Italia, il trenta per cento all'estero. Ma ce n'è sempre troppo poco, sempre di meno, elevatissisma invece la richiesta del mercato. Ed è così che si mischiano le carte e, qualche volta, naturalmente anche i pistacchi.

Il camion dal Lussemburgo

Una notte di due estati fa - era il 21 di luglio 2021 - stavano arrivando pure dal Lussemburgo. Ventitré tonnellate, nascoste nei cassoni di un autoarticolato a tre assi fermato al traforo del Monte Bianco. Quale fosse il tortuoso percorso del camion nessuno l'ha mai scoperto, qualcuno diceva che le ventitré tonnellate fossero state caricate in un porto turco o forse greco, però non si poteva escludere neppure che provenissero da qualche campagna della Sicilia stessa. Forse dall'entroterra agrigentino, perché anche lì abbondano le “frastuche”.

In ogni caso erano andate su e giù, giù e su attraverso l'Europa per poi giungere miracolosamente sempre lì, a Bronte.

Qualche anno prima in due stabilimenti della zona, guardia di finanza e corpo forestale avevano sequestrato tre tonnellate e mezzo di pistacchi "per l'ingannevole etichettatura”. Venivano spacciati come locali e provenivano dalla Tunisia e dall'Iran.

«Sono cose che non succedono più o che succedono molto meno di prima, da quando nel 2009 il nostro pistacchio è tutelato dal marchio Dop è più difficile spacciare quello che è coltivato altrove », dice Enrico Cimbali, presidente del Consorzio che riunisce quasi 400 coltivatori ma che a gennaio non ha conosciuto la signora Li Quing.

Come mai? «Nessuno ci ha invitato, nessuno ci ha detto niente». Siete il più grande consorzio di pistacchi di Bronte e nessuno vi avverte? «Sicuramente sarà stata una dimenticanza», minimizza e mimetizza Cimbali mentre se la prende con la cattiva pubblicità diffusa dai giornali intorno a veri o presunti traffici internazionali di pistacchio. E comunque racconta: «Qui a Bronte si produce il nostro pistacchio ma si lavora anche quello che cresce in altri luoghi, altrimenti solo con il nostro - che è pochissimo - le aziende lavorerebbero al massimo due settimane l'anno».

Scorte sempre esaurite

Prodotto pregiato e scorte che finiscono subito, non è difficile immaginare che qualcuno possa approfittarne Dop o non Dop.
E intanto si aspetta con ansia la raccolta di agosto-settembre 2023 dopo l'anno di "scarico” di questa pianta che esiste da quando esiste il mondo che conosciamo. La parola pistacchio è citata nell'Antico Testamento, era noto a Giordani e Greci e Babilonesi, nel sesto secolo avanti cristo una citazione del frutto è riportata nell’obelisco fatto innalzare da Assurbanipal I°, re dell’Assiria, nella città di Kolach.

Ma a quei tempi non era ancora scoppiata la pistacchio-mania dei nostri giorni, allora non si tostavano, non si riducevano in farina, non si trasformavano in crema o in paté. E, soprattutto, non si era aperta la caccia dei cinesi al pistacchio.

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