Liste d’attesa interminabili, con misure varate dal governo Meloni, senza stanziare risorse, giusto per fare un po’ di battage propagandistico. Personale ancora in affanno, che si sgola per un potenziamento degli organici negli ospedali e il superamento del tetto di spesa. Spaccature e indecisioni addirittura sullo scudo penale per i medici, tema rinviato sine die nell’ultimo consiglio dei ministri prima dello stop estivo. E in questo quadro la spesa sanitaria in Italia resta lontanissima dagli standard dei paesi più avanzati.

Tra un litigio e l’altro sulle vaccinazioni, per un comitato tutto sommato secondario come il Nitag, la sanità nell’èra del governo Meloni resta ferma. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, deve schivare il fuoco amico, sull’obbligo vaccinale o meno, mentre ci sono tante altre questioni da affrontare e superare: la sanità pubblica è nel pantano. A dirlo sono i fatti, da cui emerge solo qualche aiutino previsto solo alla sanità privata

La fotografia dell’immobilismo è lo stallo dagli stessi provvedimenti annunciati dalla destra. E che restano privi di effetti. È trascorso oltre un anno dal decreto liste d’attesa, varato in tutta fretta prima della pausa estiva del 2024. Conferenza stampa e paroloni per i titoli: «Dopo anni di inerzia, questo governo interviene in maniera strutturale con misure che affrontano tutti i fattori che hanno contribuito a un aumento intollerabile delle liste d’attesa», aveva dichiarato Schillaci.

Le buone intenzioni si sono fermate agli annunci. Mancano ancora i decreti attuativi più importanti per avviare un processo di ricognizione sulle necessità. Sarebbe un primo passo, ma sarebbe qualcosa. Il ministero della Salute deve provvedere alla «definizione della metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del sistema sanitario nazionale­».

Dopo dodici mesi, appunto, il testo non è stato ancora pubblicato così come attende di vedere la luce il decreto che deve introdurre «un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e ottimizzazione delle agende di prenotazione». Al fianco era stato approvato un disegno di legge gemello sulle prestazioni sanitarie, sempre per provare a ridurre le liste d’attesa. Il ddl ha iniziato un faticoso iter parlamentare. Ad aprile il testo è stato approvato dal Senato, e ha iniziato il suo cammino alla Camera, in commissione Affari sociali.

All’interno, peraltro, mancano soluzioni strutturali e il provvedimento rischia di essere ricordare come l’ennesimo grande regalo alle strutture private accreditate. Nel testo è previsto un «ulteriore incremento del limite della spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati pari a 0,5 punti percentuali per l’anno 2025 e di 1 punto percentuale a decorrere dall’anno 2026». La soluzione è quindi la solita: ricorrere ai privati. Antico sogno della destra, che in parlamento conta su un illustre rappresentante del settore, il deputato Antonio Angelucci, re delle cliniche private.

Di fronte a uno scenario così complicato, il ministro della Salute Schillaci si è limitato da annunciare la richiesta per la prossima legge di Bilancio di altri due miliardi di euro. La somma che si andrebbe ad aggiungere ai 4 miliardi di euro già previsti quest’anno dalla precedente manovra. Le risorse potrebbero garantire un pacchetto di assunzioni, ma risultano comunque inadeguate a raggiungere il 7 per cento di spesa sul Pil, obiettivo fissato dallo stesso Schillaci in passato. L’Italia, secondo i dati del governo indicati nel Piano strutturale di bilancio, è al 6,3 per cento. Mezzo punto in meno rispetto alla media dell’Unione europea.

Un raffronto ancora più impietoso rispetto a Germania e Francia che investono quasi 4 punti percentuali in più. Insomma, l’investimento chiesto da Schillaci è un’inezia visto che resta il problema degli stipendi dei professionisti che restano tra i più bassi in Europa, scatenando la fuga all’estero.

«Avevano promesso di togliere il tetto di spesa sul personale che invece è ancora lì, e impedisce di coprire le carenze di ospedali e strutture del territorio. Sul Pnrr sono in ritardo nelle apertura delle Case della comunità e sono pochissime quelle che rispondono ai requisiti di personale previsti dalla legge», dice a Domani Marina Sereni, responsabile sanità del Pd. Nelle scorse settimane il governo ha pure annunciato un disegno di legge delega sulle professioni sanitarie, tanto per coltivare un po’ di più l’effetto annuncio. I tempi si annunciano lunghi, le soluzioni lontane.

Insomma, l’assedio intorno al ministro della Salute Schillaci è stato allentato dopo lo scioglimento del gruppo consultivo sui vaccini per la presenza di alcune figure contestate per le loro tesi. Dopo aver pubblicamente manifestato l’irritazione, Giorgia Meloni preferisce evitare showdown in pieno agosto, godendosi le ultime ore di vacanza in famiglia. Anche perché ritiene rischioso una sostituzione in corsa in vista della manovra. Meglio affidarsi alla soluzione interna: la capa segreteria, Rita Di Quinzio, in asse con il sottosegretario, il fedelissimo Marcello Gemmato, commissariano il ministro sotto la supervisione di Arianna Meloni. Una guerra per bande che però lascia la sanità pubblica nel limbo. Sempre più preda del privato.

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