A Roma litigano per il commissario alla Sanità, nelle strutture del territorio, in prima linea, si combatte come si può. Le immagini che arrivano dalla Calabria mostrano una realtà al limite. Un video ritrae la barella con un malato Covid-19 mentre attraversa il lungo corridoio dell’ospedale di Reggio Calabria, trasportata da due infermieri bardati con tute isolanti. Non è un sentiero dedicato ai positivi. «Tornate indietro», urla uno dei barellieri ad alcune persone nel corridoio, «anzi accostatevi al muro». La barella nel suo peregrinare incontra anche una donna con un bambino. Come se nulla fosse.

Sono immagini, che pubblichiamo qui sopra, che arrivano dall’interno del Grande ospedale metropolitano della città, considerato un’eccellenza, e che descrivono bene la situazione generale delle strutture sanitarie calabresi e la condizione di disagio in cui sono costretti i cittadini che vivono in questa regione. Malati Covid che dormono sulle barelle perché non ci sono posti letto a sufficienza, assenza di percorsi differenziati, carenza di medici, infermieri e operatori sanitari, strutture ospedaliere fatiscenti.

Cercasi piano Covid

Chi alla fine la spunterà sulla nomina a commissario, si troverà davanti a un’impresa difficile: riportare alla normalità, il sistema sanitario calabrese commissariato da oltre dieci anni e che ha un disavanzo di 160 milioni di euro.

Archiviato Saverio Cotticelli che da commissario non sapeva che toccasse a lui realizzare il piano anti Covid, defenestrato il successore Giuseppe Zuccatelli che in un video sosteneva che «le mascherine non servono a un cazzo» e che i virologi sono «la coda della coda dei medici» cioè gli ultimi della fila, anche Eugenio Gaudio, ex rettore della Sapienza ha rinunciato all’incarico giustificando il suo passo indietro non tanto per la notizia che è ancora indagato a Catania nell’ambito dell’inchiesta sui concorsi universitari, ma frapponendo tra sé e l’incarico questioni familiari insormontabili: «Mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro».

La Calabria è zona rossa, ma le criticità non sono soltanto i contagi di Covid-19 che aumentano di giorno in giorno (ieri i casi totali sono cresciuti di altre 936 unità), quanto la gestione dell’emergenza, perché se a marzo scorso la pandemia era passata senza fare troppo rumore, la seconda ondata ha fatto emergere un quadro incerto e allarmante: molti ospedali non riescono a garantire neanche i livelli minimi di assistenza tanto che Emergency e Protezione civile, hanno firmato un accordo per fornire supporto nei triage e negli ospedali da campo. Il presidente facente funzioni della regione, Antonino Spirlì, l’uomo di Salvini che ha sostituito Jole Santelli, aveva detto che sarebbero dovuti passare sul suo cadavere prima di inviare Gino Strada in Calabria. Alla fine si è arreso anche lui.

«Eppure», denuncia Massimo Scura, ex commissario della Sanità calabrese, «la regione Calabria ha avuto 88 milioni di euro per il piano Covid. Soldi che sono arrivati, ma non sono mai stati distribuiti alle singole Asp e aziende ospedaliere perché queste non ne hanno mai predisposto uno». La maggior parte delle strutture sono inadeguate. Ne è convinto Nuccio Azzarà segretario generale Uil Reggio Calabria che spiega: «La Calabria non è preparata a gestire un’emergenza. Questa è una situazione drammatica e annunciata, da tempo manca chi dovrebbe organizzare le cose sul campo. Serve concretezza».

Ci sono ospedali che non hanno mai visto la luce, come quelli di Rosarno, Palmi e Scalea e ce ne sono altri che non riescono a garantire l’assistenza ai malati pur essendo stati identificati come “strutture Covid”.

Corridoi misti

Al Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, ad esempio, la “torre Covid” è stata creata dall’integrazione dei reparti di neuroradiologia, pneumologia, malattie infettive, osservazione breve intensiva e radiologia, dando quindi fondo a risorse interne. «La struttura è vecchia, come tutto l’ospedale. Apprezzabile lo sforzo della direzione sanitaria, ma il punto è che i posti letto non bastano più. Ne hanno creati 100, ma se si guarda il report, i malati sono 125 e infatti, c’è gente che sta in barella», ci spiega un operatore sanitario che chiede di rimanere anonimo.

C’è poi un aspetto che preoccupa, dopo il triage, i malati Covid che devono essere trasferiti nella torre percorrono in barella lo stesso corridoio in cui passano altri malati, visitatori e personale medico-sanitario. «Una sorta di viaggio lunghissimo, senza alcun tipo di tutela», spiega ancora. Abbiamo provato a contattare la direzione sanitaria per chiedere il perché di questa situazione, ma non abbiamo ricevuto risposta.

«Facciamo turni massacranti, siamo costretti a lavorare con la tuta per oltre sei ore e spesso non andiamo neanche in bagno, perché non c’è nessuno che ci possa dare il cambio», spiega l’operatore socio sanitario, che aggiunge: «Ci sono due infermieri, due socio sanitari e un dottore per 30 o 35 malati che hanno bisogno di un’assistenza h24. Siamo troppo pochi e qualcuno inevitabilmente rimane fuori. Qua il punto è che tu puoi mettere quanti posti letto vuoi, ma se manca il personale non ha senso».

Senza ambulanze

Secondo Azzarà, servirebbero almeno 500 unità tra medici, infermieri e operatori socio sanitari. Qualche giorno fa, con un’ordinanza il presidente facente funzioni della fiunta regionale, Nino Spirlì, aveva autorizzato il reclutamento di 150 medici e 150 infermieri professionali per l’assistenza ai pazienti affetti da Covid-19. Un’ordinanza finita al centro delle polemiche perché prevedeva contratti a partita Iva. Ma il tanto chiacchierato piano Covid prevedeva anche l’acquisto di ambulanze. «In tutto dovevano essere 50», dice Azzarà, «ma attualmente a Reggio Calabria, ce ne sono solo due, di cui una il più delle volte senza medico a bordo».

© Riproduzione riservata