Davanti ai giudici viene raccontato il terrore dei migranti bloccati dall’allora ministro Matteo Salvini: avrebbero fatto qualunque cosa per non tornare in Libia. L’8 aprile si tiene a Palermo, presso l’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, la seconda udienza istruttoria del processo che vede imputato l’ex ministro degli Interni e leader della Lega, Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per i fatti relativi all’agosto del 2019, quando la Open Arms fu costretta ad attendere 20 giorni in mare con oltre 160 persone a bordo, prima di poter garantire loro un porto di sbarco sicuro.

  • L'udienza ha approfondito le condizioni fisiche e psicologiche dei naufraghi a bordo, e la situazione igienico-sanitaria della nave dopo 20 giorni di attesa in mare.
  • Oltre a chiarire lo stato dei migranti, attraverso la testimonianza del capitano della Open Arms,  Marc Reig Creus, vengono ripercorse le varie fasi giuridiche e operative che caratterizzarono quella missione. Presenti il leader della Lega Matteo Salvini e il suo avvocato Giulia Bongiorno.
  • Insieme a Creus, presenti i testimoni richiesti dalla procura che, nel caso specifico Dario Caputo, prefetto di Agrigento; Rosa Maria Iraci, questore di Agrigento; Vincenzo Asaro, direttore sanitario ospedale Licata; Cristina Camilleri, responsabile CTA Dipartimento salute mentale di Agrigento; Alessandro Dibenedetto, psicologo Emergency; Katia Valeria Di Natale, medico in servizio presso lo staff Cisom.

La testimonianza

La dottoressa Camilleri ha raccontato dell’angoscia che provavano i naufraghi all’idea di dover tornare indietro, al punto che alcuni si erano gettati in acqua cercando di raggiungere Lampedusa a nuoto: «Per le esperienze che avevano avuto durante il viaggio avevano sviluppato il terrore di essere riportati in Libia. La Libia rappresentava la morte e per questo in diversi si erano buttati in mare, perché per loro, che non avevano alcuna fiducia nelle rassicurazioni dell'equipaggio, gettarsi in mare significava riuscire ad arrivare a Lampedusa e salvarsi».

La psicologa ha descritto in tribunale lo stato in cui trovò i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia dalla nave della ong spagnola Open Arms. «Specie il gruppo degli uomini - ha raccontato - aveva deciso di non tornare in Libia . Per loro buttarsi era l'unica possibilità».

La pm Giorgia Righi ha chiesto alla testimone come i profughi avrebbero eventualmente vissuto la decisione di proseguire il viaggio per la Spagna e non fermarsi sull'isola delle Pelagie: «La situazione era di urgenza - ha spiegato - e si doveva evitare che l'urgenza si trasformasse in emergenza».

Camilleri ha anche raccontato in particolare di due donne incontrate a bordo della nave. Una era la sorella di uno dei profughi che si erano buttati in acqua. «Aveva avuto una reazione grave- ha raccontato - tanto che era stata curata con tranquillanti. I compagni di viaggio avevano interpretato il suo comportamento secondo i loro parametri culturali: l'avevano ritenuta posseduta da forze demoniache e le avevano fatto rituali con danze per liberarla . Dai compagni di viaggio era ritenuta una presenza negativa».

Un’altra donna non reagiva: «Era in stato catatonico, non mangiava, non rispondeva». La teste ha riferito che diversi profughi le raccontarono di aver subito torture e violenze sessuali.

La replica di Salvini

Salvini dopo aver salutato i suoi follower su Instagram dall’aula bunker, continua a dire di aver fatto il suo dovere. Nessun naufrago sulla Open Arms, sostiene la difesa, «era stato ricoverato una volta ricevuto il via libera allo sbarco in Sicilia, le loro condizioni erano infatti “discrete” tanto che non era possibile escludere l’eventualità di un ulteriore viaggio verso la Spagna» ha sottolineato Bongiorno dopo le testimonianze di Asaro, dirigente dell’Asp di Agrigento e di Camilleri. Asaro in realtà ha rilevato ben altro: «Vivevano situazioni molto al limite, erano tutti molto provati. Come si può dire che potessero stare ancora a bordo?».

Per Bongiorno era possibile inviare i migranti altrove senza soccorrerli immediatamente: «La Open Arms – si legge in una nota diramata dai portavoce di Salvini - aveva rifiutato di sbarcare 39 persone a Malta e i governi di Madrid e Roma avevano già dato disponibilità per mettere a disposizione navi alternative per facilitare la navigazione verso la Spagna».

Malta e Spagna

Sulle possibilità degli sbarchi alternativi ha risposto il capitano Creus. Decidere di far sbarcare 39 migranti a Malta non era possibile ha spiegato ai giudici, e disse di no «per evitare disordini a bordo». I naufraghi, ha risposto alla pm Marzia Sabella «erano a bordo da 9 giorni, e se avessi consegnato i 39 profughi appena soccorsi avrebbe potuto creare disordini a bordo». Prevale sempre «il criterio del comandante che può fare valere a bordo l'autorità per la sicurezza della nave», e ha aggiunto che «non avrei saputo come spiegarlo». Prima di dirigersi in Spagna invece ha preferito attendere le risposte di Malta, Italia, Grecia e Francia.

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